Filippo Facci, Libero 4/9/2014, 4 settembre 2014
SABINA, CHE TRAVAGLIO... LA TRATTATIVA È SOLO UNA PALLOSISSIMA FICTION
È giusto, questo articolo deve girare e proseguire nella pagina degli spettacoli: è la sua giusta collocazione, anche perché la saga della «trattativa Stato-mafia» è proprio questo, uno spettacolo, un film, una fiction, un titolo per un Festival del cinema, un blobbone impastato con satira, politica, giustizia e soprattutto disturbo narcisistico della personalità. Il risultato finale è Frankenstein, e neppure l’originale, solo una pallida imitazione dei documentari di Micheal Moore, con la differenza che i documentari di Michael Moore hanno successo benché tra un pubblico disadattato e quelli di Sabina Guzzanti neanche quello.
Il suo film non l’abbiamo neanche visto, ma come dire: abbiamo letto il libro, conosciamo l’eterea inconsistenza della materia trattata e quindi possiamo sorridere mestamente di fronte dell’ennesimo tentativo di rivitalizzarla. Il risultato è che nella rassegna stampa della Camera, ieri, per fare un esempio, l’argomento non era neppure contemplato. Giornalisticamente non esiste: l’unico a occuparsene è stato giustamente Marco Travaglio sulla prima pagina del Fatto Quotidiano, giornale che da anni scrive e titola come se il Paese si macerasse attorno a un’inafferrabile trattativa Statomafia risalente a vent’anni fa.
Travaglio è divertente come al solito: prima sottolinea «l’importanza» dell’inchiesta siciliana (sesta riga) e poi deve ammettere (trentacinquesima) che ormai se ne occupa solo il cinema. Sempre che per cinema si possa intendere la Guzzanti, certo: che dire di lei? Poco, perché combina poco e perché vogliamo bene a suo padre Paolo.
Il che non toglie che sia un personaggio imbarazzante Sabina che un tempo vagava a cavallo di un palese delirio di onnipotenza (invocava programmi della Rai, invocava la Costituzione, invocava l’articolo 21, urlava fascista e piduista e inciucista a tutti, urlava al regime e alla censura) e poi neanche più quello, al punto che anche gli amici storici hanno progressivamente smesso d’invitarla e questo per via di un irredimibile peccato originale: resta una comica ma non fa più ridere da anni, unico peccato che un comico non può permettersi.
Sabina s’affanna a scrivere e montare film, s’imbuca in qualche comizio satiro/politico, ma alla fine su Wikipedia c’è scritto che nella vita fa «cabaret»; s’è beccata qualche querela e qualche condanna, s’è fatta buddista, s’è fatta truffare dal «Madoff dei Parioli» (cercava guadagni all’estero protetta dallo scudo fiscale) finché un paio d’anni fa le hanno affidato un programma su La7, anche se Sabina non ama parlarne: Un due tre stella, otto puntate in cui ciascuna aveva uno share inferiore alla precedente. Partì dal 4,4 per cento e arrivò al 2,8, nonostante i tentativi di riposizionarla cambiandole giorno. Non le hanno proposto più nulla.
Sabina Guzzanti e la «trattativa» sono dunque diventati la cronaca di un’assenza: e rieccoci a Marco Travaglio, che anche ieri cercava di ridestare un processo nato morto (non se lo fila nessuno, giornalisticamente è scoperto, nei talkshow non lo trattano perché la gente cambia canale) e che insiste a menarcela con Totò Riina e le sue minacce intercettate dal cortiletto del carcere.
Minacce che non solo in concreto non ci sono (Libero pubblicò gli originali delle intercettazioni, cioè non «trattate» dalle sintesi giornalistiche) ma hanno l’aria del delirio di chi comandava la mafia più di vent’anni fa e ora però è impotente.
Travaglio si lamenta, sul suo giornale, perché hanno reso note delle altre «minacce» di Riina contro don Luigi Ciotti che è stato puntualmente chiamato da Napolitano per solidarietà: e invece il minacciatissimo pm Nino Di Matteo niente, è lì che attende da nove mesi una telefonata che non è mai venuta. Sarà mica un condannato a morte
di serie B, Di Matteo? Se lo chiede Travaglio al quale riveliamo: sì, è un condannato di serie B, perché alle minacce di Riina non ci crede nessuno, e, a dirla tutta, valgono zero anche quelle a Don Ciotti come a tutti gli altri.
Riina vaneggia, nei suoi colloqui intercettati ha parlato di mezzo mondo, di Renzi, Grillo, Dalla Chiesa, Napolitano, Santoro, il Papa, ha pure detto che Berlusconi andrebbe ucciso: ma questo lo raccontò solo Libero («Quando siamo fuori lo ammazziamo...», testuale) e gli altri neppure lo scrissero.
Del resto neppure Berlusconi meritava l’allarme mediatico nazionale che hanno scomodato per il sopravvalutatissimo Nino Di Matteo: hanno riunito il Comitato per la sicurezza pubblica, gli hanno dato tre auto di scorta, nove uomini, l’elicottero, i voli di Stato, la possibilità di usate il bomb jammer e il blindato Lince, roba così.
Ma già lo scrivemmo: quelle di Riina restano cazzate in qualunque caso, è un generale senza più un esercito con l’aggravante che il suo bofonchiare viene strumentalizzato per sputtanare il capo dello Stato nel tentativo di rianimare queste due palle di «trattativa», la più clamorosa patacca processuale della Seconda Repubblica.