Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 04 Giovedì calendario

«PRENDETEVELA CON L’EURO VI HA DIFESO TROPPO»

«The game is over», il gioco per l’Italia è finito, sostiene Martin Wolf, classe 1946, principe dei commentatori economici sul Financial Times e autore di The Shifts and the Shocks, il libro che analizza i cambiamenti nell’economia globale e nel sistema finanziario e i drammatici effetti (gli shock) provocati dalla crisi economica e finanziaria cominciata nel 2007, da oggi in vendita in Gran Bretagna. «Senza un ampio programma di riforme strutturali a livello nazionale e un’effettiva politica per rilanciare la domanda nell’eurozona, coordinata a livello europeo, sostenuta contemporaneamente da un’adeguata politica monetaria della Bce, l’Italia è condannata a morire lentamente. Ed è un vero peccato, perché è un Paese straordinario che adoro, ma è come se fosse su un altro pianeta», afferma Wolf, che ogni anno trascorre le vacanze nella sua casa vicino a Lerici.
Se il libro affronta questioni di breve periodo e tematiche radicali di lungo termine, il tema dominante è il pessimismo. Soprattutto quando Wolf analizza l’eurozona. «La moneta unica è stata una vera idiozia. La cosa più sconcertante è che in nessuno Stato c’è stata una discussione seria sugli effetti reali che l’adozione dell’euro avrebbe avuto sulla competitività delle imprese e del sistema Paese. Solo Gran Bretagna e Germania hanno tenuto un vero dibattito. E infatti Londra saggiamente ha detto no all’euro, sapendo che sarebbe stato un suicidio, mentre Berlino, aderendo, ne ha capito la portata e non solo ha deciso le regole, ma ha fatto tutte le riforme necessarie per funzionare in un’unione monetaria. Gli altri Paesi sono stati pazzi. Tutti pensavano che l’euro avrebbe risolto tutti i problemi, invece li ha messi a nudo». Certo, «la produttività italiana ha smesso di crescere ben prima dell’euro, per la mancata modernizzazione del sistema produttivo, per la resistenza delle aziende familiari, per la chiusura agli investimenti esteri, e la debolezza del mercato dei capitali». La moneta unica e i cambiamenti nell’economia globale hanno però accentuato deficit e ritardi strutturali.
Ormai l’euro c’è. Ma per ridurre la massiccia disoccupazione che affligge molti Paesi europei e far ripartire la crescita in un quadro deflazionistico come quello attuale, senza dimenticare che «bisogna anche rimettere in sesto il sistema bancario», gli strumenti sono «limitati e particolarmente difficili da usare». La soluzione? Non può certo essere l’annuncio di un quantitative easing, cioè l’acquisto di bond sul mercato da parte della Banca centrale, afferma Wolf. Innanzitutto perché «c’è una tremenda resistenza politica nei confronti di qualsiasi misura anticonvenzionale, soprattutto in Germania». Personalmente Wolf sarebbe pronto a inondare il sistema di liquidità, dice che lancerebbe «i soldi con l’elicottero», come ha fatto l’ex presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, ma riconosce che «un quantitative easing è molto difficile da realizzare in Europa, in assenza di un debito federale, visto che non esistono gli eurobond». E anche se la Bce si spingesse a tanto, «servirebbero parecchi trilioni di euro, tenendo conto che l’Eurotower dovrebbe comprare titoli del debito pubblico in proporzione al Pil dei vari Paesi membri. Francoforte controllerebbe così una larga porzione non solo del debito pubblico italiano e spagnolo, ma anche della Germania, spingendo gli interessi tedeschi ancora più in basso».
L’altra faccia della moneta che complica terribilmente le cose è la competitività. «Un Paese a vocazione manifatturiera come l’Italia, che deve recuperare competitività nei confronti della Germania. In un quadro di bassa o zero inflazione non ha altra strada che far cadere in modo significativo i salari, una via che penalizza ulteriormente i consumi. Oppure può aumentare in modo considerevole la produttività, una soluzione che però fa crescere la disoccupazione nel breve periodo. È il dilemma competitivo italiano, che ha davanti a sé uno scenario davvero terribile. Se oggi il premier Matteo Renzi mi chiedesse cosa fare, non saprei cosa consigliargli», ammette Wolf. Sapendo bene che non c’è alternativa: il motore della crescita, nel breve periodo, può venire solo dal «recupero di competitività dell’export». E tra salari più bassi e maggiore disoccupazione, «è meglio la seconda ipotesi», dice auspicando una presa di coscienza collettiva per vincere la resistenza dei sindacati: «Serve un senso nazionale di stato di crisi», un consenso a fare subito tutte le riforme necessarie per cambiare l’Italia, che definisce «un disastro strutturale». Elenca: mercato del lavoro, giustizia, università, mercato dei capitali, legge sui fallimenti. Ma aggiunge anche che sarà «incredibilmente difficile evitare una ristrutturazione del debito pubblico». E continua: «Avete bisogno di un new game», un gioco nuovo.