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 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

EURO, L’INFLAZIONE NON CI SALVERÀ

In un discorso al Fondo monetario internazionale, Larry Summers ha cristallizzato una questione cruciale: l’economia mondiale è entrata in un periodo di “stagnazione secolare”? Summers ha recuperato un vecchio termine impiegato da Alvin Hansen (1939). Hansen si concentrava sull’importanza degli investimenti (pubblici) per centrare l’obiettivo della piena occupazione. Affinché tali investimenti arrivino, era la sua tesi, l’economia ha bisogno di nuove invenzioni, della scoperta di nuovi territori e nuove risorse e di crescita demografica.
L’argomentazione di Summers si basa sul fatto che i tassi di inflazione negli ultimi 20 anni sono stati in costante diminuzione e sotto le attese. C’è una caduta permanente dei tassi di interesse reali di equilibrio? Le nostre economie hanno bisogno di tassi di interesse reali del -2 o -3 per cento per generare una domanda sufficiente a raggiungere la piena occupazione? Il fatto che i tassi di interesse fossero così bassi e in caduta negli ultimi decenni sta a indicare che l’economia globale ha sofferto di una permanente debolezza della domanda?
LE BOLLE SONO IL PROBLEMA NON LA SOLUZIONE
Olivier Blanchard ha scritto che chi ha tenuto i conti in ordine prima della crisi ha avuto benefici evidenti. Poi si è concentrato sulla gestione di una trappola della liquidità. Se si conviene con la sua idea che gli effetti di una politica monetaria non convenzionale sono “molto limitati e incerti”, si giunge alla sua conclusione: in tempi normali sarebbe utile un’inflazione elevata. All’arrivo della crisi, questo renderebbe possibile abbassare maggiormente i tassi di interesse nominali così da ridurre ancora di più quelli reali. Paul Krugman si spinge ancora più in là e afferma che la nuova normalità potrebbe essere una trappola della liquidità permanente e che quindi non sarebbe consigliabile avere un basso indice di inflazione nell’eurozona.
Prima della crisi, l’economia globale generava una domanda appena sufficiente a determinare tassi di occupazione ragionevoli grazie a bolle rilevanti in molte economie importanti. Con lo scoppio della crisi è diventato evidente che l’indebitamento di famiglie, imprese e Stati, così come le bolle immobiliari, non erano fonti di domanda globale sostenibili. La risposta alla “stagnazione secolare” poteva essere quindi un incremento della domanda? O, per dirla in altri termini, come si sarebbero raggiunti livelli di inflazione più elevati prima della crisi, come ha suggerito Blanchard, senza produrre fenomeni tipo le bolle? Affrontare la trappola della liquidità facendo lievitare l’inflazione prima della crisi non è forse un modo di curare il problema con iniezioni del problema stesso? Se la domanda è insufficiente persino in tempi normali, il problema va affrontato con politiche strutturali. La risposta non può consistere in altre bolle per far salire il tasso di inflazione.
NIENTE DOPING MONETARIO, SERVONO RIFORME STRUTTURALI
Prendiamo l’esempio degli Stati Uniti: mentre la politica monetaria è stata di grande aiuto e ha contribuito a evitare uno scivolamento nella deflazione, prima della crisi ha contribuito a determinare molti dei problemi dell’economia americana. Le enormi bolle derivanti dalla combinazione tra politica monetaria lassista e inadeguata regolazione della finanza vanno considerate un problema, non la soluzione.
LA BCE NON PUÒ CAMBIARE L’OBIETTIVO DEL 2 PER CENTO
Un aspetto più importante della soluzione è accettare le politiche strutturali più idonee a determinare una ripresa: la ripresa americana è stata aiutata da una significativa riduzione del debito delle famiglie. Inoltre il sistema bancario è stato risanato in tempi relativamente brevi e anche questo ha aiutato la ripresa. Passando all’eurozona, penso che l’obiettivo della Bce di mantenere l’inflazione vicina ma inferiore al 2 per cento non vada modificato. Una iniziativa del genere minerebbe la fiducia in una istituzione giovane le cui politiche sono tuttora oggetto di critiche in alcuni Paesi europei. Sarebbe una violazione dei patti che convinsero la Germania a entrare nell’unione monetaria. L’eurozona è la prova dell’importanza di politiche strutturali che consentano ai capitali di essere incanalati verso impieghi produttivi, che permettano alle innovazioni di emergere e stimolino nuove invenzioni. Prima della crisi molti pensavano che l’eurozona avesse risolto il problema della “stagnazione secolare” e avesse costruito un contesto adatto a stimolare gli investimenti. I flussi di capitale verso la periferia dell’Europa erano considerati la prova del fatto che i capitali si dirigevano “verso il basso”, là dove erano garantiti margini di redditività più elevati.
OTTIMISTI DELUSI: I CAPITALI FINITI NEL POSTO SBAGLIATO
La realtà si è dimostrata meno rosea. Invece di essere usati in maniera produttiva, molti capitali sono finiti in spesa per consumi, inclusa quella per gli immobili. Come negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i prezzi in salita delle case hanno fatto da di acceleratore finanziario , stimolando la richiesta di prestiti e un boom dei consumi. L’esperienza europea dimostra che il flusso “verso il basso” dei capitali è positivo, ma contribuisce alla crescita sostenibile solo a condizione di trovare un ambiente favorevole agli investimenti, come sottolineava Hansen. La creazione dell’unione bancaria europea, ancorché incompleta, rappresenta un passo nella giusta direzione. Ma sono convinto che l’Europa debba essere in grado di creare migliori opportunità di investimento per risolvere il nodo della stagnazione. A tal fine sono essenziali le riforme in grado di ridurre il peso amministrativo, migliorare i sistemi scolastici e favorire la ricerca.
Anche guardando al Giappone si capisce l’importanza delle riforme strutturali. Dall’elezione di Shinzo Abe come primo ministro, il Giappone ha avviato un programma di alleggerimento quantitativo (quantitative easing) senza precedenti. Il risultato è stato uno yen molto più debole e un incremento dell’inflazione. È stata una politica di sviluppo accolta con favore. Ma a un anno di distanza appare chiaro che una strategia fondata sullo yen debole per incrementare le esportazioni come unica politica anti-deflazione non può funzionare per sempre. Per tornare alla crescita e all’inflazione è importante il terzo elemento dell’Abenomics: migliorare le condizioni per gli investimenti creando nuove opportunità per le imprese, incrementando la competitività dell’economia e integrando maggiormente i commerci.
Ma in che modo oggi nell’eurozona le politiche macroeconomiche possono affrontare la trappola della liquidità, la bassa inflazione e la carenza della domanda? A sei anni dall’inizio della crisi, la crescita rimane modesta e i tassi di inflazione bassi o in calo. L’eurozona rischia ancora di precipitare nella deflazione. Una inflazione sotto le attese redistribuisce ricchezza dai debitori ai creditori e incrementa il peso del debito. Di conseguenza la disinflazione nell’eurozona riduce la sostenibilità del debito privato e pubblico, in particolare in periferia dove il debito è maggiore.
LA SOLUZIONE PASSA PER LE SCELTE DI BERLINO
Per superare la bassa crescita e la bassa inflazione servono sia la politica monetaria che la politica di bilancio. La politica monetaria non deve intralciare il processo di aggiustamento dei prezzi, attualmente in corso, tra la periferia dell’eurozona e il suo nucleo centrale. Una politica monetaria che faccia salire l’inflazione solo in periferia minerebbe al rilancio dell’economia dell’eurozona. La politica monetaria deve invece garantire l’incremento dell’inflazione sia in Germania che in periferia. Idealmente, il tasso di inflazione in Germania dovrebbe superare abbondantemente la quel 2 per cento che è l’obiettivo della Bce per l’eurozona nel suo complesso.
Un programma di alleggerimento quantitativo fondato sull’acquisto di bond del Fondo salva Stati, della Banca europea degli investimenti o della Commissione europea, di obbligazioni di aziende e di derivati (Abs) supererebbe queste restrizioni e contribuirebbe a creare inflazione tramite un effetto di riequilibrio del portafoglio e un più debole tasso di cambio. La recente decisione della Bce – pur essendo una forma positiva di alleggerimento monetario e del credito – non pare essere sufficiente a rilanciare la domanda e l’inflazione. L’esperienza giapponese dimostra che un intervento consistente di politica monetaria può essere parte della soluzione anche se il tasso nominale di interesse è già al di sotto dello zero. Ma anche la politica di bilancio deve svolgere un ruolo più significativo. Uno dei principali problemi dell’eurozona è stata la scarsità di investimenti pubblici, al contrario di quanto avvenuto negli Stati Uniti dove sono cresciuti. Gran parte di questo problema va risolto attraverso l’incremento degli investimenti pubblici in Germania. In Europa devono salire anche gli investimenti in fonti energetiche innovative e reti digitali. E questo ci riporta al lavoro di Hansen: servono investimenti pubblici e nuove opportunità di investimento per affrontare il problema della “stagnazione secolare”.
* Guntram Wolff è il direttore del Think tank di Bruxelles Bruegel.
La versione integrale di questo articolo è disponibile sul sito www.bruegel.org . Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
Guntram B. Wolff, il Fatto Quotidiano 3/9/2014