Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 3/9/2014, 3 settembre 2014
IL TENNIS È DOLORE E BOTTAZZI SOFFRE CON NOI
La star italiana degli Us Open non è Flavia Pennetta e nemmeno Sara Errani: è Luca Bottazzi, telecronista di Sky ed Eurosport. Gli appassionati hanno goduto del suo avvento durante un Wimbledon di qualche anno fa e da allora nulla è stato più lo stesso: Bottazzi è Luce e Saggezza. La sua biografia è avvolta dalla leggenda. Si dice che sia nato a Milano nel 1963, che vanti un best ranking di 116 al mondo e che abbia allenato Bjorn Borg. Insegnante di tennis dal 1988, è spesso relegato a commentare le partite minori. Ciò nonostante, ogni sua apparizione entusiasma e inebria le masse. Nonciclopedia lo descrive così: “Pragmatico, semplice nel lessico, sintetico nelle spiegazioni, limpido, rappresenta senza dubbio il maestro che tutti noi vorremmo avere”. Una notevole descrizione al contrario.
Le caratteristiche di Bottazzi sono tre. Una: non emozionarsi mai. Per lui la vita è fatica, è sofferenza, è calvario. Da qui una narrazione da cyborg rancoroso, marziale e monocorde, teatralmente scandita (“Lopez ha sba-glia-to”). Due: trasformare un concetto facile in difficile. Se un tennista più debole perde con uno più forte, non è perché ha meno talento ma perché non ha probabilmente un progetto esistenziale e – quel che è peggio – ignora la differenza tra “errore tecnico” ed “errore strategico”. Il magico mondo di Bottazzi pullula di concetti astratti come “tennis percentuale”, “geometria proiettiva” e “lateralità funzionale”, che donano ai suoi commenti un avvincente surplus lisergico. Tre: sciorinare una logorrea prodigiosa. Sintesi e ironia non lo hanno mai intaccato.
Come tutti i supereroi, Luca “The Man” Bottazzi ha una kryptonite: il talento. Un concetto che lui nega, perché prossimo al funambolismo e alla “bracciologia”. Bottazzi detesta lo spettacolo e adora la noia, poiché la prima è priva di abnegazione e la seconda figlia del sudore. Meglio Berasategui di Safin. Per Bottazzi l’unico monolite venerabile è la Tattica: se fosse stato l’allenatore di Maradona nell’86, lo avrebbe certo redarguito per avere tenuto troppo palla in quella celebre azione contro l’Inghilterra. Durante gli Us Open ha scudisciato prima Janowicz, reo di essere odiosamente estemporaneo, e poi Tsonga, colpevole di avere addirittura esultato dopo una vittoria (l’esultanza è di per sé volgare, giacché la vita è dolore ). Qualche telespettatore si è lamentato, ma lui li ha zittiti con parole di ferma condanna: “Io avevo ragione”, “Io l’avevo detto”. Sostiene infatti Bottazzi che “il campione dispone di dote e genio in abbondanza, ma il talento è una fenomenologia che ha il limite di non essere un metodo”; grazie alla sua infinita competenza è invece possibile “ottimizzare l’apprendimento e gli spazi” e comprendere che “Nadal è il giocatore più ecologico in assoluto perché sa meglio cogliere le situazioni ambientali”. Il giornalista accanto a lui non osa mai contraddirlo, forse perché ammaliato o forse perché teme una tortoiata. La Rete gli ha dedicato una pagina Facebook (“Tutti pazzi per Bottazzi”, 121 like) e un forum assai sobrio: “Bottazzi genio o imbecille? Parliamone”. Qui si legge: “Lo prenderei a testate dalla mattina fino alla sera, è insopportabile”; “Non si può sentire con quel tono! È sempre li a spiegare tattica tecnica per 3/4 ore di seguito... che due palle”. Poi: “Logorroico, saccente, noioso, banale. A parte questo è bravo”; non esattamente campata in aria, come recensione.
Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano 3/9/2014