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 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

L’AGOSTO ROVENTE IN CUI TELECOM SI FECE METTERE ALL’ANGOLO

Telecom Italia è incastrata. La campagna brasiliana, che ha impegnato il vertice per tutto il mese di agosto, si è conclusa con una disfatta molto simile a uno scacco matto: sulla scacchiera delle telecomunicazioni mondiali, l’amministratore delegato Marco Patuano sembra non avere più mosse. Il suo primo azionista, la spagnola Telefónica, gli ha sfilato sotto il naso l’affare Gvt, l’azienda brasiliana a cui gli italiani puntavano fin dai tempi di Franco Bernabè. La rete fissa a banda larga di Gvt copre quasi tutto il Brasile, che è 28 volte l’Italia ed è il quarto mercato mondiale della telefonia mobile. In Brasile il mercato dei cellulari ha come leader Vivo, che è di Telefónica, seguita a ruota dall’italiana Tim Brasil. Aggiundicandosi Gvt, il numero uno di Telefónica, Cesar Alierta, acquisisce un vantaggio incolmabile.
A decidere la sfida, cioè a vendere a Telefónica anziché a Telecom Italia, è stata la francese Vivendi, alla quale adesso Alierta vuole scaricare le sue azioni nella società di Patuano. Così il presidente Vincent Bolloré, si potrebbe trovare primo azionista della società a cui ha inferto il colpo mortale. Un osservatore disincantato come Salvatore Bragantini ha scritto sul Corriere della Sera: “Ora Telecom è figlia di nessuno, una public company preterintenzionale, divenuta infatti tale non per volontà di alcuno, ma per la fuga ingloriosa dei suoi riluttanti azionisti attuali”. Basta rivedere alla moviola il tumultuoso agosto di Telecom Italia per capire il vicolo cieco in cui i “riluttanti azionisti” e il management hanno cacciato un’azienda decisiva per il futuro dell’economia italiana.
Il 5 agosto Alierta lancia la sua offerta per Gvt, mettendo sul piatto 6,7 miliardi. I vertici di Telecom, sotto choc, decidono di lanciare la controffensiva. Il giorno dopo, il consiglio d’amministrazione si riunisce per approvare i conti dei primi sei mesi 2014: i ricavi flettono del 6,5 per cento, il margine operativo lordo (differenza tra costi correnti e ricavi) cala del 5,3 per cento, il costo dell’indebitamento di 27,3 miliardi vola a 1,2 miliardi di interessi pagati. Gli investimenti industriali, quelli che contano per un Paese che ha la peggior rete telefonica in Europa dopo la Croazia, calano da 2 miliardi a 1,7. Nell’occasione il consiglio affida al presidente Giuseppe Recchi e a Patuano l’incarico di strappare ad Alierta l’ambito boccone Gvt.
L’ottimismo la fa da padrone. Nessuno dà peso al fatto che Bolloré il 29 luglio è stato a fitto colloquio con Pier Silvio Berlusconi in casa del padre Silvio, ad Arcore. Mediaset ha appena firmato con Alierta l’accordo per averlo come socio di Mediaset Premium, in cui sta entrando anche Bolloré. Vivendi sta disinvestendo dalle telecomunicazioni per concentrarsi sui contenuti televisivi. Se Alierta ha messo già nella sua offerta per Gvt il pacchetto di azioni Telecom che farebbero di Vivendi il primo azionista a Roma, non dev’essere estranea alla combinazione l’idea di ridimensionare Telecom nei confini italiani per farne un sottomesso distributore di prodotto televisivo targato Mediaset.
Con l’ottimismo della volontà, Patuano si affida alla consulenza della prima merchant bank italiana, Mediobanca. Non gli fa velo che proprio Mediobanca abbia spalancato a Telefónica le porte del mercato italiano e che tuttora sia socia di Alierta in Telco, la scatola che tuttora detiene il 22,4 per cento di Telecom Italia. Né gli fa velo che Bolloré sia il secondo azionista di Mediobanca. Insomma Nagel va come consulente dell’azienda di cui è azionista decisivo a convincere un suo azionista decisivo di accettare l’offerta di un’azienda di cui Bolloré potrà diventare primo azionista anche dicendole di no. Complicato, ma non è altro, per dirla con Bragantini, che “la cappa che soffoca le potenzialità di Telecom”.
Incuranti, Recchi, Patuano e Nagel vanno prima a Parigi, il 13 agosto, poi addirittura in Costa Smeralda, il 22, per specificare la loro offerta a bordo dello yacht di Bolloré. Se Alierta ha offerto 6,7 miliardi per Gvt, gli italiani offrono un paio di miliardi scarsi più azioni Tim Brasil e Telecom Italia, per un ammontare di circa 7 miliardi. Dicono che la loro offerta è migliore “industrialmente”, come dicono tutti quelli che non hanno soldi. Bolloré, educato e furbo, si mostra entusiasta: “Sono molto attento alla proposta di Telecom”, zufola riaccompagnando gli italiani sul molo. Loro sono sicuri di farcela. Cinque giorni dopo, mentre in Italia imperversa il tormentone dell’ice bucket, arriva anche per loro la doccia gelata. Il consiglio di Vivendi si riunisce il 28 agosto a Parigi e decide di trattare in esclusiva con Alierta, che nel frattempo ha rilanciato a 7,5 miliardi. L’offerta italiana è cestinata. Bolloré ha usato gli uomini di Telecom, facendogli saltare le ferie e costringendoli a raggiungerlo in Sardegna sul suo yacht, solo per obbligare Alierta al rilancio. Adesso si inseguono le voci sul nome del nuovo amministratore delegato a cui affidare le speranze di tirare fuori Telecom Italia dal baratro strategico in cui è stata cacciata. Gettonatissimo il nome di Flavio Cattaneo, ex direttore generale Rai ed ex amministratore delegato di Terna, che è già nel consiglio di Telecom e avrebbe il curriculum giusto per pilotarla verso un futuro televisivo sotto il segno di Mediaset. Ma c’è anche disponibile, appena uscito da Luxottica, Andrea Guerra, che già pensava alla poltrona Telecom nel 2007, quando fu poi scelto Franco Bernabè . Ma il dramma vero è quello dell’azionariato. Fino a fine anno non si chiuderà l’operazione Gvt e Telefónica non potrà girare le azioni a Bolloré. Inoltre per sciogliere Telco e disporre delle sue azioni (il 14 per cento di Telecom) Alierta deve aspettare un via libera dell’Antitrust brasiliano, sul quale non ci sono tempi prevedibili. Così Telecom rimane senza strategia e con il suo principale nemico come primo azionista. Un capolavoro su cui potranno ragguagliarci quelli che applaudirono l’avvento di Alierta al grido di “viva gli investimenti stranieri in Italia!”.
Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 3/9/2014