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 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

IL CALIFFATO E LA DUPLICE CATASTROFE PER L’OCCIDENTE

L’affermazione dello Stato Islamico in Mesopotamia costituisce una duplice catastrofe per l’Occidente. Sul piano geopolitico e culturale. Sotto i colpi di maglio dell’organizzazione di Al Baghdadi giungono, infatti, a compimento due dei fondamenti della cultura politica occidentale: lo Stato-nazione e la forma-partito. Il primo, prodotto nella sua versione locale dal tracollo dell’impero Ottomano e dal neocolonialismo, cede sotto il peso di dottrine transnazionali come il radicalismo islamista. Esito in linea con lo spirito del tempo, caratterizzato prevalentemente dalla scala globale/ locale. Nell’era della fine dei confini anche in quella regione perde di efficacia, e legittimità, ciò che sta in mezzo. Il radicalismo islamista intercetta sia il malessere nei confronti dello Stato-nazionale, rifiutato in nome di principi di aggregazione più estesi, come l’appartenenza confessionale; sia la “voglia di comunità” che premia i legami di prossimità capaci di generare un ordine condiviso: quelli clanici e tribali.
Insomma, nella sua totalizzante e devastante ideologia, lo Stato Islamico appare come un fenomeno molto meno estraneo alla dialettica della fase della Modernità che stiamo vivendo. Certo, lo Stato nazionale che fallisce è quello tracciato in modo assai superficiale dai geografi militari occidentali, indifferenti al fatto che un territorio fosse o meno culturalmente omogeneo. Laddove vi è gruppo etnoconfessionale marcatamente dominante e un sistema politico che garantisce, sotto varie forme, rappresentatività il fenomeno è meno evidente. Ma anche questo è significativo. Perché gli Stati nazionali in questione quella rappresentatività non sembrano più in grado di garantirla. Da qui la ritrovata legittimità dell’utopia totalitaria dello Stato religioso in versione islamista, come il Califfato; o la rivitalizzazione dei mai sopiti ‘ asabiyya, i legami tradizionali che non necessariamente trovano un contenitore nello Stato moderno. Dimensioni, appunto, transnazionali o locali. Significativo è anche il parallelo crollo del- la forma-partito che ha sin qui sorretto lo Stato nazionale. Sia in Siria, sia in Iraq, l’attore dominante, sino a trasformarsi in partito-Stato, è rimasto a lungo il Baath. Arabista e più o meno socialisteggiante, o nazionalsocialisteggiante a seconda dell’epoca e dei leader, il Baath si è trasformato in entrambi i paesi da organizzazione interconfessionale e interetnica in formazione che riproduceva e garantiva uno specifico particolarismo. Così in Siria, Assad padre ne ha fatto l’espressione del potere alauita e in Iraq Saddam Hussein il perno del dominio sunnita. A testimonianza della scarsa fiducia nelle moderne forme di solidarietà, entrambi gli autocrati ritenevano che solo i legami pre-politici potessero garantire lealtà e mantenimento del potere. Partiti di massa che tenevano originariamente insieme sunniti e sciiti, cristiani e yazidi, drusi e arabi, curdi e turcomanni, sono divenuti strutture omogenee. Producendo per reazione, da parte di quanti ne erano esclusi, ostilità sulla medesima base particolaristica. Il sequestro etnoconfessionale dello Stato è diventato, così, il volano del settarismo.
L’Iraq esplode quando, nel 2003, il “governatore” americano dell’Iraq Bremer scioglie il Baath, ormai espressione dei soli sunniti che, dopo quella fatale decisione, si ritrovano senza rappresentanza. In Siria la deflagrazione è scatenata, oltre che dall’autoritarismo degli Assad, dalla progressiva presa di potere nel partito della minoranza alauita, che si protegge dal sunnismo maggioritario mettendolo ai margini. È questa duplice crisi, del partito che non riesce più a essere pluriconfessionale e plurietnico, e dello Stato nazionale identificato come base esclusivista di potere dell’Altro, che prepara l’implosione mesopotamica, alimentata poi dalla duplice guerra, esterna e interna. Una crisi determinata, dunque, anche dal fallimento in loco delle categorie della politica occidentale, come del resto dimostra l’impasse dell’esportazione della democrazia in versione hard o soft power.
Se non si prende atto di questa duplice catastrofe, che attiene anche alla questione del dopo, difficilmente si comprendono le dinamiche endogene di un conflitto che interroga drammaticamente l’Occidente e va oltre le questioni, pur decisive, della stabilità e della sicurezza.
Renzo Guolo, la Repubblica 3/9/2014