Paolo Siepi, ItaliaOggi 3/9/2014, 3 settembre 2014
PERISCOPIO
Il potere è l’afrodisiaco supremo. Henry Kissinger. Time.
Per il furto del motorino non basta sporgere denuncia ai carabinieri, devi anche pagare il bollettino per la «perdita di possesso»: cornuto e mazziato. Michele Ainis, giurista. L’Espresso.
Nessun reato, neppure la strage, potrebbe mai giustificare la pena accessoria di essere circondato e guardato a vista da Coppi, Ghedini, Longo, Letta Zio, Doris, Paolo minor, Del Debbio, più l’onorevole badante Maria Rosaria Rossi e la fidanzata Francesca Pascale col cane Dudù che, dice il Corriere della Sera «ha preso l’abitudine di dormirgli addosso» e «sceglie a piacimento come, quando e soprattutto dove fare i suoi bisogni» (in effetti, ultimamente, il colorito del pover’ometto tende un po’ al giallino). Marco Travaglio, il Fatto quotidiano.
Non sto a sindacare chi, fra Biagi e Berlusconi, avesse torto e chi ragione. Dico solo che una persona provveduta come Fenomeno Biagi, per usare il soprannome affibbiatogli da Sergio Saviane, avrebbe dovuto aspettarsi una vendettina del Cavaliere. Mica per altro: lo attaccava in tv una sera sì e una no. Non c’era vigilia di elezioni politiche in cui egli mancasse di tirare la volata al candidato del centrosinistra, intervistando Roberto Benigni per sbertucciare il leader del centrodestra, la cui «discesa in campo» fu persino paragonata alla cagata che il padre contadino del comico toscano andava a farsi ogni sera en plein air nell’orto dietro casa. Per Biagi questa era satira. Sarà. Sta di fatto che mai una volta lo si udì motteggiare sulle pisciate fuori dal vaso del suo amico Romano Prodi. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.
Jean Provost aveva inventato in Francia la stampa popolare senza avere altro contatto con la gente che le chiacchierate con Marcel, il suo autista. Lanciava una nuova formula? Egli sollecitava su di essa l’opinione di Marcel. Una copertina di Paris-Match faceva discutere in redazione? Era Marcel che decideva. Tenendo conto del ruolo che svolgeva presso colui che tutti (compresa sua moglie) dovevano chiamare «padrone», decise, un giorno, di sollecitare un piccolo aumento al suo stipendio che non era cresciuto da vent’anni. Jean Provost, che era sordo ma evitava di spendere soldi per una protesi uditiva spiegando che era inutile perché quelli che avevano qualcosa da domandargli potevano parlare più forte, ascoltò il suo fedele Marcel. Subito dopo, spiegò le difficoltà di tesoreria dovute alla necessità di creare sempre nuove testate. E, al fine di temperare il rifiuto, posò una mano sulla spalla dell’autista che gratificò con questa frase che è diventata storica: «Marcel, ci sono delle persone più sfortunate di noi». Philippe Bouvard, Je crois me souvenir... 60 ans de journalisme, Credo di ricordarmi... 60 anni di giornalismo. J’ai lu. 2013.
A mezzanotte squilla un sms sul cellulare: «Abbiamo passato ora il confine sloveno. Arriveremo a Cracovia domattina». E così questa sera ho nei pensieri una carovana di pullman carichi di ragazzi di diciotto o vent’anni che varcano il confine, diretti a nord, attraverso Slovenia, Austria e Repubblica Ceca, fino in Polonia. C’è anche un mio figlio, su uno dei pullman di Gioventù Studentesca, studenti reduci appena dalla maturità, o dalla laurea. Andranno pellegrini, a piedi, da Cracovia a Czestochowa: dieci notti in tenda, lo zaino sulle spalle, in marcia dalle prime luci dell’alba. Mi sembra di vederli quei pullman in colonna, grossi, lenti, dove fino a una cert’ora si è parlato e cantato e riso; poi, avvolgendo la notte la strada, il silenzio che si allarga. (A diciott’anni si può dormire anche su scomodi sedili, tanto generosa è la grazia del sonno). E i pullman marciano, adagio, nel buio di campagne straniere. I passeggeri sprofondati nei sogni, sogni in bilico fra l’ultima infanzia e la prima giovinezza. Vanno a portare domande e speranze e preghiere alla Madonna. Molti ancora non hanno deciso che faranno, di quei loro diciott’anni. Marina Corradi. Avvenire.
La stampa scritta suppone che si scriva, velocemente e in una lunghezza prefissata. Ma non si tratta di scrivere alla propria mamma. Se l’attenzione del lettore non è catturata nelle prime cinque righe di un articolo, egli non ne leggerà più la sesta. Non si tratta, a maggior ragione di confidarsi, ma di inviare, sotto la forma la più gradevole possibile, il maggior numero possibile di informazioni. Se un giornalista ha uno stile, una scrittura personale, tutte cose, queste che non si imparano, tanto meglio. Se egli scrive piattamente ma fornisce delle informazioni al lettore, sarà ancora meglio. Se non possiede la scrittura, né la capacità di raccogliere le informazioni e di dare loro una forma, avrebbe interesse a cambiare mestiere. Françoise Giroud, Leçons particulières. Fayard.
Non sono mai stato bravo a descrivere le folle: la massa indistinta, il corteo oceanico mi paralizzano, il loro muggito mi incute diffidenza. Non amo incoronazioni, partite di calcio, dichiarazioni di guerra. Mi riescono meglio i gruppi limitati: una cena, una palestra, un consiglio di facoltà, un briefing. Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli.
Il gran respiro era cessato e ricominciavano i bisbigli della notte, un fiato d’aria, un fremito di foglie nel bosco soprastante, lo stridìo lontano di un rapace. Piero Chiara, Viva Migliavacca! Mondadori, 1982.
L’ambiente dello show-biz è assurdo: bisogna avere successo perché ti diano una possibilità che tu abbia successo. Coluche, Pensèes et anecdotes. Le Cherche Midi.
Si può dire tutto a una donna, salvo la sua età. Grègoire Lacroix, On ne meurt pas d’une overdose de rêve. Non si muore con una overdose di sogno. Max Milo.
La camera dei ragazzi era un sottotetto dal soffitto spiovente, alle cui travi penzolavano lardi, salami e agli. Sul comò ingombro di mele, dentro una teca di cristallo, c’era una Maria Bambina fasciata come una mummietta, col faccino cereo e gli occhi così veri che a Silvia faceva una strana impressione; sull’altro lato, meraviglia delle meraviglie, un bastimento fabbricato in una bottiglia con velature e cordami, opera insigne dello zio Romolo adolescente. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori.
La storia d’Italia è stata fata da una nazione che non era una nazione e da un popolo che non era un popolo. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 3/9/2014