Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 3/9/2014, 3 settembre 2014
COSÌ TOKYO HA SCONFITTO LA DEFLAZIONE
TOKYO.
Si fa presto a dire: l’Europa ha bisogno di una "Draghinomics" che prenda esempio dalla lezione giapponese. Dopotutto, il mondo si è davvero rovesciato e oggi l’inflazione in Giappone (al 3,3% quella "core") risulta di 11 volte superiore alla crescita anemica media dei prezzi al consumo nell’Eurozona (0,3%), con alcuni Paesi come l’Italia già piombati in deflazione. È vero che da aprile l’inflazione nipponica è temporaneamente gonfiata dal rialzo dell’Iva dal 5 all’8%, ma in ogni caso il Sol Levante ha anche caratteristiche molto diverse da quelle che si riscontrano in Europa.
Le ricette per combattere la deflazione e stimolare una crescita fiacca potrebbero non funzionare allo stesso modo se calate in contesti differenti.
IL MERCATO DEL LAVORO
A smussare i dubbi recenti sull’Abenomics è arrivato proprio ieri un dato che ha sollevato il morale dentro il governo e la banca centrale: per la prima volta in un decennio, il salario mensile medio dei lavoratori giapponesi (bonus inclusi) è salito in luglio di più del 2%, attestandosi a 369.846 yen (+2,6% rispetto a un anno prima). I bonus sono aumentati del 7,1%. Se pure in termini reali sembra ancora che i salari non stiano tenendo il passo con l’inflazione, si tratta di un primo segnale secondo cui potrebbe materializzarsi un’inflazione "buona" (quella derivante da una spinta al reddito delle famiglie, in grado di sollevare i consumi) anziché di quella "cattiva" provenienti dai più alti costi dell’energia provocati da una moneta deprezzata in un Paese importatore. La banca centrale conta moltissimo sull’irrigidimento in corso del mercato del lavoro per poter conseguire entro il 2015 un tasso di inflazione permanente del 2 per cento. La disoccupazione è al 3,8% e l’offerta di posti supera le richieste, mentre in alcuni settori - come costruzioni e servizi di assistenza - si sono già manifestate forti carenze di manodopera. Difficile che in Europa le dinamiche salariali siano determinate da una carenza di offerta.
LA SVALUTAZIONE MONETARIA
L’Abenomics, e in particolare la politica monetaria di allentamento quantitativo e qualitativo senza precedenti, ha provocato in fretta una svalutazione vicina al 30% dello yen, il che ha contribuito in modo determinante alla fine della deflazione. Per motivi politici oltre che tecnici, è difficile immaginare che l’euro possa deprezzarsi nella stessa entità e in modo tanto repentino.
BOND PUBBLICI E SISTEMA BANCARIO
La BoJ si è messa a fare man bassa di titoli di Stato, comprando fino al 70% delle nuove emissioni. Un accaparramento che fa sì che i tassi restino schiacciati su minimi storici (il rendimento del Jgb decennale viaggia sotto lo 0,5%) anche nel Paese più indebitato dell’Ocse in rapporto al Pil. Gli investitori istituzionali domestici non diversificano più di tanto e quindi continuano ad acquistare grandi quantità di Jgb a rendimenti oggi spaventosamente inferiori all’inflazione. Nessuno di questi fattori appare replicabile altrove. Di eurobond non si parla e anche limitati acquisti futuri di titoli di Stato da parte della Bce andranno incontro a forti opposizioni e critiche, anziché essere promossi da un entusiasmo governativo. È vero che anche in Europa si sono materializzati investitori contenti di comprare a rendimenti negativi, ma hanno pur sempre cercato di selezionare gli strumenti emessi dai Paesi più forti. E comunque senza manifestare l’apparentemente acritico entusiasmo/rassegnazione dei grandi investitori giapponesi. È poi il caso di sottolineare che in Giappone le politiche economico-finanziarie cadono in un contesto in cui il sistema bancario è tornato da anni in buona salute dopo risolutivi interventi pubblici: nazionalizzazione temporanea in casi limite, imposizione di radicale disposizione dei bad loans negli altri.
STIMOLI MONETARI E FISCALI
L’Abenomics, in quanto combinazione tra stimoli monetari e fiscali unita alla promessa di riforme sistemiche, rappresenta certamente un modello persino logico per economie stagnanti, ingessate e tendenti alla deflazione. Al dunque, però, i tanti suggeritori di Draghi possono essere suddivisi, in varie gradazioni, tra chi ha molta fiducia nelle virtù della politica monetaria e chi ne sottolinea invece i limiti, superabili solo con un’enfasi sulle presunte maggiori virtù della spesa pubblica in tempi di domanda strutturalmente carente.
Stefano Carrer, Il Sole 24 Ore 3/9/2014