Maurizio Porro, Corriere della Sera 3/9/2014, 3 settembre 2014
NOZZE A TEL AVIV IN UN MONDO A PARTE
Il film che vi consigliamo oggi viene da Israele, da una famiglia chassidica di Tel Aviv, dove la prematura morte di parto di una figlia «costringe» secondo antiche regole la sorella minore, che vorrebbe sposare un coetaneo di sua libera scelta, a dover preferire il cognato vedovo affinchè il neonato abbia una famiglia. Una diciannovenne della più ortodossa comunità ebrea sfida le regole: Fill the void , colmare un vuoto, dice il titolo originale della Sposa promessa di Rama Bursthein, un discusso film del 2012 per cui Adas Yaron ha vinto la Coppa Volpi a Venezia.
Da una parte le regole impassibili di fronte alle passioni dei singoli, i vecchi che telecomandano il cuore dei giovani che vedono come un allestimento religioso i riti delle tradizioni e delle preghiere, pur sempre corrette con quel certo humour salvavita. Si tratta di una fiction con il dibattito incorporato come Un divorzio tardivo o come un apprezzato dittico di Amos Gitai, fra cui Kaddosh e Kippur , senza citare i film bellissimi di Riklis come Il giardino dei limoni e, visto a Locarno, Dancin Arabs sulla ricerca di identità di un ragazzo, tratto da un libro bello e introvabile di Sayed Kashua. È bello poter parlare di un film che viene da Israele o dalla Palestina – come il molto seducente Villa Touma di Suha Arraf, araba che vive a Tel Aviv ed ha scritto i film di Ricklis – senza avere davanti agli occhi le scene di sterminio, le grida di dolore, le case sventrate, ma la forza dialettica delle parole, magari i tre bellissimi racconti appena usciti da Feltrinelli del palestinese Mahamud Darwish (Una trilogia palestinese ).
Il cinema come la grande letteratura di quei paesi deve farsi carico di questo immane necessario compito pacificatorio, vedi i nomi di Oz, Yehoshua, Grossman etc. L’autrice deb del film di oggi è nata a New York ma si è convertita allo chassidismo trasferita a Gerusalemme e il suo miracolo è di guardare la materia controversa delle regole religiose che invadono per così dire la privacy, con una umana comprensione generosa ma non priva di una audace e ironica forma di rispettosa critica soprattutto per il mondo delle donne, che usano l’arma della tradizione come difesa ma su cui il cinema riesce con intelligenza a far sorgere un dubbio.