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 2014  settembre 03 Mercoledì calendario

STORIE DI GUERRA CIVILE NELLA JUGOSLAVIA DEL 1945


Con molto interesse ho letto Slovenia 1945 di John Corsellis e Marcus Ferrar (Libreria Editrice Goriziana) e appreso il dramma, a me sconosciuto, sofferto dai domobranci: civili e militari quasi tutti cattolici. Circa 18.000 di queste persone erano in fuga, in quanto oppositori del progetto rivoluzionario di Tito, cercando rifugio nell’Austria occupata dall’VIII Corpo d’armata britannico per sfuggire e sottrarsi, se fatti prigionieri dall’Esercito popolare di liberazione jugoslavo, a morte certa. Va ricordato che i domobranci erano stati collaboratori delle forze di occupazione italiane e tedesche nella prima fase del conflitto. Chiedo il suo parere sulla responsabilità dei britannici che fecero rientrare nella costituenda Federazione Jugoslava questi profughi, pur sapendo che Tito li avrebbe eliminati. Infatti solo 6.000 riuscirono a salvarsi, mentre gli altri 12.000 furono rimpatriati e al loro rientro subirono pestaggi, torture e alla fine vennero infoibati. Anche i cosacchi, che si erano insediati in Carnia, subirono la stessa sorte a opera di Stalin, così come tanti ucraini, polacchi, ungheresi e chissà quanti altri. I responsabili di questi rimpatri hanno sempre affermato che eseguivano ordini dettati dagli accordi e trattati internazionali.
Paolo Tempo

Caro Tempo.
I domobranci erano membri di una Guardia territoriale slovena costituita dalle forze tedesche quando subentrarono a quelle italiane dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Ma questa Guardia territoriale, a sua volta, era l’erede di una Milizia volontaria anticomunista (Mvac) creata dall’amministrazione italiana nel periodo precedente con il compito di difendere i presidi e perlustrare il territorio. Ricordo ai lettori che dopo la disintegrazione della Jugoslavia nel 1941, anche la Slovenia era stata divisa in tre parti: Lubiana e le regioni meridionali all’Italia, il Nord alla Carinzia (divenuta dopo l’Anschluss un land del Terzo Reich) e una parte più piccola all’Ungheria.
Nel suo libro su L’Italia e il confine orientale , edito dal Mulino nel 2007, Marina Cattaruzza ricorda che la Mvac, nel febbraio del 1943, era integrata nell’XI corpo d’armata italiano e comprendeva 5.153 uomini. I domobranci della Guardia territoriale slovena, invece, furono più del doppio ed ebbero una parte maggiore nelle operazioni militari contro i partigiani di Tito. Entrambe le organizzazioni, comunque, furono espressione di quel cattolicesimo anticomunista che considerava Tito, per le connotazioni ideologiche del suo movimento, molto più minaccioso di Hitler e Mussolini. Occorre ricordare, caro Tempo, che la Jugoslavia, durante la Seconda guerra mondiale, non fu soltanto teatro di una guerra fra l’Armata di Tito e quelle di due potenze occupanti (Germania e Italia). Fu anche teatro di altri conflitti: fra Tito e il generale Mihailovic, comandante delle formazioni monarchiche, fra i serbi e quei popoli (croati e sloveni) che avevano mal tollerato il primato dei serbi sorto dalla sconfitta dell’Impero austro-ungarico alla fine della Prima guerra mondiale.
La consegna dei domobranci a Tito, come quella dei cosacchi e altri militari all’Armata Rossa, è uno degli episodi più discussi e controversi della Seconda guerra mondiale. Non so se i britannici fossero consapevoli della sorte che sarebbe toccata ai loro prigionieri. Ma posso immaginare che non fosse facile negare a un importante alleato, decisivo per le sorti della guerra, la consegna di coloro che dal suo punto di vista potevano essere considerati traditori. Sarebbe stato necessario pretendere garanzie sull’equità del giudizio a cui i «traditori» sarebbero stati sottoposti. Ma i rapporti con Tito, nel caso dei domobranci, sembrarono evidentemente più importanti di qualsiasi considerazione umanitaria.