Massimo Gaggi, Corriere della Sera 3/9/2014, 3 settembre 2014
ESTONIA, PARADISO IN TRINCEA DAVANTI ALL’ORSO RUSSO
DAL NOSTRO INVIATO TALLINN — I tetti aguzzi di questa piccola capitale che sembra uscita da una fiaba di Hans Christian Andersen riflettono la luce di un tramonto caldo, appena velato. La gente nelle piazze del centro mangia zuppa di formaggio, il piatto nazionale, e si gode questo supplemento d’estate (anche se oggi qualcuno è rimasto a casa per via delle misure di sicurezza imposte dall’imminente visita di Barack Obama). I musicisti di strada cantano canzoni spensierate sui loro palchi improvvisati. Tallinn, capitale della più settentrionale delle Repubbliche baltiche, l’Estonia (piccola per superficie, come Piemonte e Lombardia messi insieme, addirittura minuscola per popolazione, appena un milione e 300 mila abitanti) sembra un’oasi di tranquillità e benessere nel cuore dell’Est europeo: una piccola Svizzera finnica ad alto reddito col livello di informatizzazione più elevato d’Europa tanto nel pubblico quanto nel privato.
Ma basta allontanarsi di poco dal centro, una passeggiata di venti minuti, per trovarsi in un quartiere assai più grigio delle piazze del centro, tra bar e bistrò affollati di gente di origine russa che qui vive come in una «enclave»: non hanno mai imparato l’estone, una lingua complicatissima di ceppo finnico, con ben 14 casi, faticano a trovare lavoro e, spesso, non hanno nemmeno la cittadinanza, pur essendo nati in Estonia o avendo risieduto a lungo nel Paese: il «passaporto grigio» che hanno in tasca, una specie di permesso di soggiorno, ne fa una sorta di cittadini di serie B. Niente diritto di voto, niente impieghi pubblici se non imparano a parlare l’estone superando un severo esame presso l’Ispettorato del linguaggio.
«L’Estonia ha creato una polizia della lingua per discriminare la minoranza russa» ha accusato qualche tempo fa Russia Today . E — fin dal marzo scorso, i giorni dell’occupazione della Crimea — Vladimir Putin ha minacciato ritorsioni contro la presunta ghettizzazione della minoranza russa dell’Estonia, più di un quarto della popolazione totale. Ma quella che Mosca propaganda, con qualche successo anche in Occidente, come discriminazione, per il governo estone (in cima a tutte le classifiche internazionali in quanto a libertà economiche e politiche) è una semplice precauzione dopo l’immigrazione forzata e la russificazione imposta dal regime sovietico nei decenni dell’occupazione. I nati dopo la dissoluzione dell’Urss e l’indipendenza (1991) sono cittadini estoni anche se figli di russi.
Tutto questo, però, a Putin interessa poco. Davvero l’Estonia rischia, allora, insieme alle altre due Repubbliche baltiche con forti minoranze o influenze russe, Lituania e Lettonia, di fare la fine dell’Ucraina?
Fin qui ben pochi, in Occidente, hanno messo in conto una possibile occupazione russa dell’Estonia, visto che questo Paese, come le altre Repubbliche baltiche e la Polonia, fa ormai parte, oltre che della Ue, anche della Nato che, in base all’articolo 5 del suo Trattato, sarebbe obbligata a difenderla in caso di aggressione così come dovrebbe fare per un attacco all’Italia, alla Francia o alla Germania. Il neoimperialismo di Putin, è stato fin qui il ragionamento prevalente, si fermerà ai confini della Nato. Nelle ultime settimane, però, questa certezza ha cominciato a traballare davanti all’atteggiamento sempre più aggressivo del presidente russo che è sembrato voler sfidare apertamente Washington e l’Alleanza Atlantica rendendo palese l’invasione «strisciante» dell’Ucraina proprio alla vigilia del vertice Nato di Cardiff, in Galles.
È proprio per questo che Obama ha deciso di venire a Tallinn, a rassicurare gli alleati baltici, prima del summit dell’organizzazione militare transatlantica. Ma, anche se a ottobre qui arriverà un certo numero di tank americani «Abrams» nell’ambito delle esercitazione e della rotazione nel dislocamento di forze Nato nei Paesi dell’Est, le garanzie militari che l’Alleanza può offrire all’Estonia sono limitate. Priva di un’aviazione e di armamenti pesanti per le forze di terra, senza protezioni naturali ai confini e senza basi permanenti della Nato sul suo territorio, l’Estonia potrebbe essere occupata da Putin in poche ore. Per capirlo basta arrivare a Narva, cuore dell’enclave russa, 200 chilometri a est di Tallinn.
La cittadina, 60 mila abitanti, è separata dal territorio russo da un ponte lungo appena 400 metri. Basterebbero tre ore ai «tank» russi per arrivare fino alle coste del Baltico, ha scritto l’analista del Center for European Politics Edward Lucas. Spiazzerebbero la nuova forza di intervento rapido che la Nato sta cercando di mettere in campo, operativa dopo 48 ore e costringerebbe la Nato a fare i conti con la sua reale volontà di rispettare obblighi che risalgono agli anni della Guerra fredda e della Cortina di ferro.
Gli analisti pensano che, per quanto spregiudicato e sfrontato, Putin non farà un passo simile. Ma non esiste solo l’attacco diretto: in Ucraina Mosca ha sperimentato le nuove tattiche della «guerra ibrida» infiltrando, istigando e organizzando la minoranza etnica russa, debitamente rimpinguata dai cosiddetti «little green men», soldati che solo formalmente non fanno più parte dell’esercito della federazione russa.
Gli estoni temono soprattutto questo perché Narva non è solo la città di confine dalla quale potrebbero arrivare i «tank» del Cremlino: è anche il luogo di una grande battaglia persa da Pietro il Grande contro l’esercito svedese nel 1700. L’imperatore russo imparò lì che doveva cambiare tattica, evitando i confronti in campo aperto e vent’anni dopo la sua coalizione vinse la Grande guerra del Nord sconfiggendo gli svedesi. Forse una fonte di ispirazione per Putin le cui ambizioni neoimperiali sono ormai abbastanza chiare.
La speranza è che una situazione simile non si materializzi perché, nonostante i disagi per il ruolo marginale ricoperto nella società estone, la minoranza russa in Estonia ha comunque migliorato sostanzialmente le sue condizioni di vita. I più sono consapevoli di vivere in un Paese libero, democratico e molto più ricco della Russia. La spinta alla ribellione non è forte come in alcune parti dell’Ucraina. «Questa non è la Crimea, qui nessuno ha voglia di combattere per il Cremlino contro l’Estonia» è la tesi di Aleksandr Dusman, un imprenditore di Narva di origini russe che nella Repubblica baltica ha sempre fatto buoni affari. Di ribelli in giro, in effetti, per ora non se ne vedono. Ma non è il caso di abbassare la guardia. Secondo gli analisti il Cremlino preparava da anni l’attacco all’Ucraina. E i sondaggi fatti tra i russi dell’Estonia dicono che favorevoli e contrari alla presenza di truppe russe in Crimea grosso modo si equivalgono.