Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 30 Sabato calendario

GLI CHEF DEL POTERE

Dietro a un grande uomo, c’è sempre una grande donna», si dice. Posto che sia vero, io questa sera sto imparando che dietro a ogni grande re, presidente o premier c’è un grande chef. È domenica e mi trovo al Hakkasan Hanway Place di Londra per assistere, da dietro le quinte, al raduno annuale del club gastronomico più prestigioso al mondo. Nemmeno il blasonato Bullingdon Club, il circolo super esclusivo dell’Università di Oxford, noto per le sue strabilianti e turbolente feste, è capace di eguagliare l’influenza globale di questa compagine riunita nel seminterrato del noto ristorante londinese. Oggi il Club des Chefs des Chefs si riunisce per la prima volta nel Regno Unito. Ogni membro - vestito di bianco dalla testa ai piedi - ha un filo diretto con un capo di Stato e ognuno gioca un ruolo chiave,
pur nell’ombra, nella vita del proprio Paese. Tra i 21 membri del gruppo ci sono gli chef del premier canadese, dei presidenti di Francia, Austria, Italia e Polonia e delle case reali, inclusi quelli del principe Alberto di Monaco e della regina Elisabetta. Il cuoco di Vladimir Putin manca all’appello.
Mark Flanagan, chef personale della regina e presidente
del Club des Chefs des Chefs, ha in mano la tabella
di marcia del gruppo per questa visita britannica. «Il club ha l’incarico di sostenere le tradizioni culinarie, è mio compito, quindi, far assaggiare ai colleghi i classici della nostra cucina. Oggi abbiamo mangiato fish & chips, mentre nei prossimi giorni andremo a scoprire come viene realizzato lo stilton e, per finire, tutti verranno invitati a cimentarsi con il famoso pasticcio di maiale di Melton Mowbray». Gli chiedo perché il programma non prevede l’altro piatto nazionale, l’anguilla in gelatina. «Non sono proprio riuscito a metterla in agenda», risponde sorridendo Flanagan, in passato definito «un cuoco con la tempra di Gordon Ramsay ma senza il suo talento».
Per entrare a far parte di questo club devi essere lo chef personale di un capo di Stato oppure, in mancanza di un leader, lo chef incaricato di gestire i ricevimenti ufficiali. Il club, fondato nel 1977 da Gilles Bragard, oltre a preservare le tradizioni, consente ai suoi membri di incontrare persone che viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, professionisti capaci di comprendere lo stress insito in questo mestiere. «Molti di noi pianificano le vacanze in occasione del nostro incontro annuale», spiega Tim Wasylko, chef del primo ministro canadese. «È una splendida opportunità per rilassarsi e per imparare qualcosa l’uno dall’altro», aggiunge Cristeta
Comerford, la chef personale di Barack Obama. «Cosa mangia il presidente quando la sua chef è in giro per il mondo?», le chiedo. «Niente di riscaldato al microonde, garantito», risponde Cristeta, 51 anni, filippino-americana, prima donna e primo chef di origine asiatica a ottenere questo incarico. «C’è chi si sta occupando di lui in questo momento, abbiamo cuochi molto in gamba alla Casa Bianca».
Quando, lo scorso anno, gli chef incontrarono Hollande, lui li ammonì sintetizzando in maniera esemplare l’importanza del loro lavoro: «Se un piatto viene male,
diventa più complicato portare a termine un negoziato». Lo stratega francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, che la vedeva più o meno allo stesso modo, un giorno disse a Napoleone Bonaparte: «Datemi dei buoni cuochi e concluderò buoni trattati». Questo è il mantra di tutti i membri del club: un piatto mal riuscito rischia di indisporre un capo di Stato durante un incontro ufficiale e questo può mettere a repentaglio sia il lavoro dello chef che il suo Paese. Di conseguenza, ognuno di loro si affida a particolari misure di sicurezza, affinché le pietanze siano all’altezza. «Abbiamo un nostro “linguaggio”: non c’è nessuno che ci dica cosa dobbiamo fare, ma basta prendere il telefono e chiamare lo chef del leader in visita e chiedergli: “Allora, che mi dici di lui (o di lei)?”», racconta Cristeta con un gran sorriso.
Anche Wasylko conferma quanto sia importante il club per gestire le visite ufficiali. «Tralasciamo il protocollo e con una chiacchierata informale scopriamo tutto quello che ci serve», spiega. «Si tratta di piccoli accorgimenti, per esempio l’ora in cui l’ospite preferisce mangiare, la dose delle porzioni o, se il capo di Stato è in viaggio da tempo, se gli farebbe piacere mangiare qualcosa di leggero. Dobbiamo nutrirli oltre che alimentarli. Molti credono di dovere preparare piatti stratosferici per impressionare clienti così importanti, mentre loro hanno solo bisogno di qualcosa di equilibrato».
Come da copione, in occasione dello storico pranzo organizzato ad aprile dalla regina Elisabetta per l’ex comandante dell’Ira e vicepremier irlandese Martin McGuinness, Flanagan ha telefonato alla collega Rosaleen McBride, chef del presidente della Repubblica irlandese. «Le ho chiesto quali fossero i suoi cibi preferiti. Questo filo diretto rende tutto più semplice». Dei gusti di McGuiness, ovvio, non è concesso parlare, la discrezione prima di tutto. Per i membri del club il riserbo è importante tanto quanto l’abilità ai fornelli. Certo, ogni tanto capita che trapeli qualche indiscrezione sui gusti culinari di un Presidente o di un Sovrano, ma molto difficilmente le “soffiate” vengono dallo chef, anche perché rischierebbe il posto di lavoro.
Eppure, negli anni, alcuni piccoli segreti sono venuti a galla. Sarkozy, per esempio, aveva vietato all’Eliseo qualunque formaggio, salvo poi ordinarlo quando Angela Merkel lo onorava della sua presenza. Ora, con Hollande, per la gioia dello Chef Bernard Vaussion, il formaggio è stato reintrodotto. «È un uomo che ama molto mangiare», racconta Vaussion parlando del presidente e del suo crescente giro vita. Nel 2004, durante una visita all’allora presidente Jaques Chirac, si scoprì che la regina Elisabetta aveva una passione per il foie gras: sembra che abbia divorato sia quello d’anatra sia quello d’oca. Di contro, pare che la longilinea Kate Middleton si tenga alla larga da cibi ipercalorici. Hilton Little, chef del presidente sudafricano, è stato al servizio di Nelson Mandela per molti anni: «Amava i sapori tradizionali, gli stufati e la coda di bue che preparava sua madre. Ogni volta che mi diceva che avevo cucinato un piatto come lo avrebbe fatto sua madre, sapevo che avrei mantenuto il lavoro per almeno un altro anno».
I membri del club cominciano a prendere posto in attesa
che abbia inizio la cena, composta da quattro portate preparate dallo chef dell’Hakkasan Tong Chee Hwee, mentre io vengo accompagnata in un’altra sala affinché gli chef possano chiacchierare tra loro. Uscendo, mi fermo a scambiare due parole con una giornalista che poco prima aveva incontrato i due chef cinesi presenti all’evento: Men Jian Zhong e Liu Qiang. Sono gli chef della Grande Sala del Popolo di Pechino. La Cina è il solo Paese ad avere due rappresentanti, diretta conseguenza della mole dei loro banchetti. Fortunatamente sono qui in coppia, dato che nessuno dei due parla inglese. «Raccontano di essere entusiasti di poter incontrare persone che vivono e pensano come loro, ma confessano anche di non capire una parola di ciò che viene detto», mi racconta la giornalista. Il motto del club, «se la politica, a volte, può dividere gli animi, il buon cibo li riunisce sempre», sembra valere anche per le barriere linguistiche.
(©Katy Balls/The Telegraph UK - Traduzione Micaela Calabresi)