Roberto Tottoli, Corriere della Sera 30/8/2014, 30 agosto 2014
DAL CORANO AI VIDEO SUL WEB, IL SENSO (FRAINTESO) DEI «COLPI AL COLLO»
La decapitazione ha una storia antichissima. Non è stata inventata nell’islam ma nella storia islamica è entrata dalla porta principale: il Corano. Un paio di versetti coranici (Cor. 47:4, 8:12) ingiungono ai musulmani, quando fronteggiano e catturano i miscredenti sui campi di battaglia, di «colpirli sul collo». Per gran parte degli esegeti e teologi musulmani «colpire sul collo» significa decapitare, anche se, a complicare ulteriormente le cose, altri versetti accennano invece alla possibilità di liberare i prigionieri tramite il pagamento di un riscatto. Ma la decapitazione era comunque in uso ai tempi di Maometto. Nelle più antiche biografie del profeta dell’Islam non mancano episodi in cui più di un avversario viene giustiziato in questo modo, senza mezzi termini né sconti. Era la punizione inferta agli infedeli che si opponevano all’islam.
Nell’Impero islamico la decapitazione continuò a essere la sorte riservata a oppositori e insorti per motivi religiosi e politici. La consegna al sovrano o al governatore, che ne avevano ordinato l’eliminazione, della testa del ribelle offriva la prova definitiva dell’uccisione. Nel corso dei secoli non è mancata la predilezione di sovrani e sultani per questa pratica. Gli almoravidi in Spagna si fecero strada nel XII secolo con decapitazioni di massa e anche gli ottomani mostrarono una preferenza per questa punizione nei territori balcanici che andarono conquistando dal XV secolo. E questa è stata spesso la pena inferta ai rivoltosi di ispirazione religiosa o millenaristica dall’India musulmana al mondo arabo. In tale quadro, però, raramente la decapitazione è stata usata contro musulmani colpevoli di infrangere la legge religiosa. Né del resto la legge del taglione, per cui sono sempre esistite scappatoie o possibilità di mediazione, è stata eseguita scrupolosamente nella storia musulmana. Sono stati i wahhabiti sauditi a introdurre queste punizioni in maniera sistematica e in modo spettacolare, con esecuzioni pubbliche. Come spesso su molte altre questioni, l’interpretazione saudita, di stampo salafita, ha cancellato secoli di dibattiti teologici e di dubbi esegetici. La decapitazione ha avuto la stessa sorte, tornando sinistramente di moda.
Le decapitazioni che si susseguono in questi giorni hanno quindi una lunga tradizione, ma nelle modalità e nella ricercata mediatizzazione sono qualcosa di profondamente nuovo. Benché il jihadismo nelle sue varie espressioni, al Qaeda compresa, le abbia usate nel recente passato, mai le ha rivendicate come pratica sistematica e simbolicamente significativa. L’Isis e i suoi imitatori ne fanno quasi il loro marchio di fabbrica. Vogliono, così facendo, sottolineare la grande novità del califfato: un territorio da controllare e da «ripulire» da nemici e spie, con la punizione per eccellenza che spetta ai miscredenti. Insieme a ciò, le immagini cercano volutamente l’emulazione, tramite il doppio effetto di scandalizzare l’Occidente e di offrire vivida rappresentazione di un regno islamico concreto e intransigente. Un messaggio che giunge ben chiaro e sembra aprire una nuova terribile stagione dopo quella degli attentati suicidi.