Manuel Follis, MilanoFinanza 30/8/2014, 30 agosto 2014
TELECOM CERCA UNA ROTTA
La telenovela brasiliana di Telecom Italia è finita o quantomeno si è conclusa la prima parte. La trama dell’ultima puntata non ha riservato grandi sorprese, visto che alla fine l’ha spuntata il più forte (Telefonica) che ha convinto Vivendi ad accettare la sua corte e a trattare in esclusiva per la cessione di Gvt. Telecom, aiutata dagli advisor Mediobanca e Citi, ha lavorato ininterrottamente tutto il mese di agosto per tentare di fornire ai francesi una proposta alternativa, ma alla fine non c’è stata partita: troppo più ricca nella sua componente di liquidità (4,6 miliardi contro 1,7) l’offerta degli spagnoli. Come sempre in questi casi, a partita conclusa è tempo di analisi, del passato ma soprattutto del futuro. Telecom, come del resto la maggior parte delle aziende telefoniche, ha davanti molte scelte da compiere e al di là del management, che nella vicenda Gvt ha fatto quello che poteva fare, i veri punti interrogativi riguardano la governance aziendale. Si è detto e scritto più volte che, col senno di poi, l’avventura di Telco è stata un mezzo disastro. La holding creata con un nucleo di soggetti finanziari italiani e con un azionista forte industriale ha fatto sì che Telecom si portasse in casa un socio forte che si è sempre fatto i fatti suoi (Telefonica) se non ha addirittura ostacolato i piani di sviluppo della società e che aveva deciso di entrare nell’azionariato convinto che prima o poi avrebbe rilevato tutta l’azienda. Una volta capito che questo non sarebbe stato possibile (per diversi motivi, politici e non, dall’Italia al Brasile) si è consumata una frattura insanabile e il gruppo iberico guidato da Cesar Alierta è di fatto diventato una sorta di separato in casa di Telecom. Il tema del conflitto di interessi di Telefonica, azionista ma anche avversario di Telecom, è stato più volte tirato in ballo nel corso dei mesi, da Marco Fossati, socio di Telecom con il 5% attraverso Findim a Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato. La vicenda Vivendi ha messo in luce quanti rapporti complessi siano stati intessuti intorno a Telecom. Mediobanca, ad esempio, ha agito da advisor nella preparazione della proposta a Vivendi, gruppo presieduto da Vincent Bolloré, azionista e consigliere della stessa Mediobanca, mentre il grande amico di Bolloré, Tarak Ben Ammar, faceva parte dei cda sia di Piazzetta Cuccia (nominato proprio da Bolloré) sia di Telecom Italia. Impossibile dire che questi intrecci abbiano in qualche modo ostacolato le trattative, ma non hanno contribuito alla trasparenza.
Il cambio di direzione, però, è imminente. Telco a breve sparirà e quindi tra pochi mesi la prima compagnia telefonica italiana non avrà più, almeno in teoria e a meno di sorprese, un azionista forte (la holding possedeva il 22,4% di Telecom) ma un azionariato diffuso. Composto da chi? Bella domanda. Nel corso dell’ultima conference call, il presidente del consiglio di gestione di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, ha spiegato che il gruppo transalpino considera «attraente» entrare in possesso dell’8,3% di azioni Telecom, opzione contenuta nella proposta di Telefonica per Gvt. Se davvero i transalpini dovessero percorrere questa strada, Telecom si troverebbe con Telefonica fuori dai giochi e Vivendi primo azionista con l’8,3% seguito da Fossati con il 5%, mentre in caso l’offerta venisse declinata sarebbe Telefonica a essere primo socio di Telecom (sempre con l’8,3%) quota che però probabilmente verrebbe liquidata in tempi brevi, così come molti scommettono che Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca si libereranno velocemente delle rispettive azioni Telecom, una volta avvenuto lo scioglimento definitivo di Telco. Prima di porsi le domande fondamentali per il futuro del gruppo - cedere o no Tim Brasil, investire o no (e quanto) sulla rete e come rendere più profittevole il business domestico - bisogna quindi chiedersi chi prenderà le decisioni. La domanda non è banale, perché di decisioni da prendere, come detto, ce ne saranno molte. Una più di altre, ad esempio, potrebbe tornare d’attualità e riguarda la necessità di un aumento di capitale. L’argomento in Telecom Italia è tabù. L’ex numero uno della società Franco Bernabè ha provato più volte a proporre il tema ai grandi azionisti, una medicina amara che Telco (dal canto suo già costretta a svalutare costantemente la sua partecipazione e a incassare minusvalenze sempre maggiori) non ha mai voluto prendere. Bernabè ci ha provato in più modi, proponendo aumenti di capitale semplici o iniezioni di liquidità riservate all’ingresso di nuovi soci (come nel caso di Sawiris). Non c’è mai stato niente da fare. Tanto che oggi uno dei refrain dei vertici di Telecom, a partire dall’ad Marco Patuano, è che la società non ha bisogno di alcun aumento di capitale e che dopo le recenti operazioni di ristrutturazione finanziaria il debito è sostenibile e verrà ulteriormente ridotto (sotto 27 miliardi a fine 2014). Ma è davvero così? Cesare Geronzi, come si legge nell’intervista concessa al direttore di questo giornale, Paolo Panerai, e contenuta in «Orsi e Tori», dice chiaramente che Telecom «avrebbe bisogno di forti investimenti, ma non ha le risorse per farli», mentre Mucchetti in maniera anche più drastica ha dichiarato che «il tema dell’aumento di Telecom resta attuale, con la differenza che, se ieri lo era per lo sviluppo della società, oggi lo è per la sua sopravvivenza». Aumento sì o no? Cessione del Brasile sì o no? Temi caldi su cui deciderà un’assemblea che per la prima volta sarà davvero pubblica e non condizionata da un’azionista di controllo oppure con l’ingresso di Vivendi e magari quello di Mediaset si formeranno nuove alleanze in gradi di prendere decisioni strategiche per il futuro. Di sicuro, come spiega sempre Geronzi, il lavoro fatto da Telecom in occasione dell’offerta (poi rifiutata) per Gvt «potrà non andar perduto se si capirà in quale scenario delle tlc si colloca oggi Telecom e come sta evolvendo il settore nel mondo e in Italia».
Manuel Follis, MilanoFinanza 30/8/2014