Anna Messia, MilanoFinanza 30/8/2014, 30 agosto 2014
CON I PIEDI D’ARGILLA
Basta guardare l’andamento di alcuni settori chiave per capire, Paese per Paese, perché la ripresa economica stenti a decollare, e soprattutto quali siano le sfide e i rischi che si presenteranno all’orizzonte nei prossimi mesi. Analizzando il comparto farmaceutico nel Regno Unito, per esempio, emerge una pericolosa bolla fiscale, frutto delle politica di tagli alle tasse messa in atto dal governo di David Camerun per un settore che rappresenta il 7% delle esportazioni totali del Paese e vanta colossi come AstraZeneca e GlaxoSmithKline. «In molti Paesi, tenendo sott’occhio uno o due settori, si riesce a capire perché la ripresa sia traballante», dice Ludovic Subran, capo economista del colosso assicurativo del credito Euler Hermes (gruppo Allianz). «Nella nostra analisi, sfruttando le conoscenze sia dei Paesi sia dei singoli comparti, abbiamo studiato in particolare otto brevi storie di settori, che possono spiegare le fragilità di altrettanti Paesi».
1) Uk e la bolla pharma. Nel caso inglese, appunto, il settore farmaceutico sembra avere avuto una sorta di «effetto placebo», secondo gli analisti di Euler Hermes. L’economia del Regno Unito sta crescendo grazie agli aggiustamenti fiscali e alla politica monetaria espansiva, ma non c’è ancora stata l’attesa ripresa del manifatturiero. Gli inventivi fiscali per il settore farmaceutico hanno spinto poi imprese americane a trasferire la loro sede in Inghilterra, per pagare meno tasse, ma il contributo di questo comparto alla crescita del pil inglese di fatto non c’è stato e la spinta è arrivata invece per lo più dal settore dei servizi finanziari, che rappresentano l’80% del pil.
2) L’Ict in Usa, tocca al lavoro. Negli Stati Uniti a rubare la scena è stato invece l’Information e communication technology (Ict) che si regge su una forte domanda interna, con una spesa pro capite cresciuta negli ultimi cinque anni del 60%. Un settore che ha fatto da volàno per il Paese, con un una crescita nel 2013 del 2,8%, più veloce del resto dell’economia Usa (+1,9%). Ma i comparti dell’Ict che richiedono più forza lavoro, come telecom e computer, sono ancora sotto i livelli pre crisi e «se queste società non riporteranno la produzione in territorio americano l’Ict non riuscirà a far nascere una nuova reindustrializzazione americana», sottolinea Subran.
3) Messico e Auto. L’industria automobilistica ha avuto il vento in poppa e rappresenta il pilastro dell’economia del Paese. Nell’ultimo decennio la produzione è cresciuta al ritmo del 10% annuo, contro una media mondiale del 4%. E il Messico è oggi l’ottavo produttore mondiale e il quarto maggior esportatore. Ma il rapido sviluppo è stato per lo più finanziato da capitali stranieri, e in particolare americani, e questa è proprio la sua debolezza.
4) Germania 4.0. Nonostante la recente frenata dell’economia il Paese resta la locomotiva d’Europa ed è alle prese con una sorta di rivoluzione, o meglio, di evoluzione digitale denominata Industria 4.0. Nel 2014 gli investimenti da parte di produttori di questo settore cresceranno del 12%, per mettere in piedi un processo di digitalizzazione che ha lo scopo di eliminare scarti e sprechi energetici ed è basato su una maggiore comunicazione tra lavoratori, macchine e risorse, che potrà far aumentare la produttività e ridurre i costi. Ma è un cambiamento epocale, pieno di sfide e di rischi. Primo tra tutti quello di uno «scontro tra culture», come lo definisce Subran, perché «per avviare questo processo ci sarà bisogno non solo di importanti investimenti, con ritorni che arriveranno solo nel lungo periodo, ma anche della comunicazione tra diversi comparti che finora hanno lavorato separatamente».
5) Mattone del Medio Oriente. A guidare la crescita in questo mercato è stato il comparto delle costruzioni, spinto dallo sviluppo demografico e dall’urbanizzazione, con oltre 15 mila transazioni immobiliari chiuse a Dubai solo nel primo trimestre del 2014. Ma con tutti i rischi che questo comparto si porta dietro, sottolineano in Euler Hermes, ricordando che proprio a Dubai, tra il 2008 e il 2011, il mercato del real estate è collassato, con crolli dei prezzi fino al 60% e da metà maggio il mercato azionario è in calo di circa il 25%, soprattutto per colpa del settore delle costruzioni.
6) Francia e maxi export. Le esportazioni stanno mostrando segnali di debolezza, perché la Francia è chiaramente dipendente dall’export delle grandi imprese, tra cui in particolare quelle del settore aeronautico. Un comparto che nel 2013 ha avuto la migliore performance dal 2008, con una crescita del 30% dell’export, e il più alto surplus: 22 milioni seguito dagli 11,5 milioni del settore agroalimentare. Il fatto, però, è che la crescita delle grandi esportazioni è merito in particolare degli ordini ricevuti da Airbus, mentre altri settori stanno perdendo terreno, spiegano gli analisti dell’assicurazione del credito.
7) La Cina corre sul web. La grande novità del Paese è che nel 2013 è diventato il più grande negozio retail online, con un giro d’affari di 297 miliardi di dollari, il 3,2% del pil, contro i 262 miliardi degli Stati Uniti. Uno sviluppo repentino, spinto anche alla domanda interna, ma non senza rischi. Il primo è che la crescita di questo nuovo mercato, come già negli Usa, avvenga senza creare vero valore e decretando la morte dei negozi tradizionali. Richiedendo, tra l’altro, importanti investimenti da parte delle società e mettendo in difficoltà quelle che hanno margini di profitto più bassi.
8) Rebranding Made in Italy. Nonostante la contrazione del pil, l’export italiano è tra i più diversificati al mondo, sottolineano gli analisti di Euler Hermes, e i Paesi fuori dall’Europa contano sempre di più. «Il brand del Made in Italy viene considerato nel mondo sinonimo di alto livello di qualità, design eccellente e innovazione, in settori come il tessile o l’arredamento», dice Subran «e se si misura il valore degli asset intangibili di società manifatturiere, prendendo in considerazione marchi e brevetti, l’Italia supera di due volte e mezzo mercati come la Francia o la Germania». Ma i rischi di contraffazione potrebbero essere devastanti e poi bisogna anche aggiungere un altro pericolo piombato sulla scena: il blocco alle importazioni attivato da Vladimir Putin rischia di danneggiare pesantemente l’export italiano considerando che la Russia rappresenta il decimo mercato di blocco per l’Italia. Molto dipenderà dalla durata di questi interventi.
Anna Messia, MilanoFinanza 30/8/2014