Roberto Giardina, ItaliaOggi 30/8/2014, 30 agosto 2014
L’OFFENSIVA DEI SANDALI TEDESCHI
da Berlino
Secondo una vecchia battuta, se un passeggero accende il telefonino appena l’aereo finisce di rullare sulla pista, è un italiano. Se scende dalla scaletta con i sandali ai piedi, è un tedesco. Se ha il cellulare attaccato perennemente all’orecchio e sfoggia i sandali, è un sudtirolese, o un altoatesino, a seconda se si guarda da nord o da sud.
I luoghi comuni non sono sempre falsi: i turisti teutonici girano per il mondo, da Rimini a Samarcanda, sempre con gli zoccoli, accompagnati dai calzini, e in pantaloni corti.
Non tutti: secondo un sondaggio, non piacciano neanche al 28 per cento dei loro compatrioti. Helmut Kohl, il Cancelliere della riunificazione, sapeva come piacere ai suoi elettori e si faceva ritrarre in vacanza (in Austria), sempre in sandali. Oppure, semplicemente, se ne infischiava, e sceglieva le calzature secondo il suo gusto. Non eccellente, a quanto pare. Non erano sandali di prima qualità, e la Birkenstock un’estate gli offrì un paio della sua collezione.
Questa è una notizia che farà piacere a quanti ritengono che la Germania, ieri come oggi, voglia conquistare il mondo, o almeno l’Europa. La Birkenstock ha lanciato un’offensiva globale per quadruplicare la produzione, da 12 milioni a oltre 48. Quanto basta per calzare quasi l’intera popolazione italiana, neonati compresi. I sandali in sughero hanno già sedotto, e non da ieri, gli intellettuali della Rive gauche parigina, e quelli delle terrazze romane, che li esibiscono a Capalbio e a Sabaudia.
I cinesi e i giapponesi sono i clienti di domani: apprezzano i modelli Birkenstock perché sono anatomici, e salvano le giunture.
La storia della Birkenstock ha qualche pagina che ricorda una saga alla Dallas: otto anni fa, Susanne Birkenstock divorziò da uno degli eredi della «casa», ottenne dal giudice il diritto di conservare il cognome, e subito dopo aprì una sua piccola fabbrica puntando su modelli, secondo lei, più moderni e eleganti. Ne seguì una vertenza con l’ex marito e i suoi fratelli, ma la società di Frau Susanne finì male: non so come fossero i suoi sandali, i clienti tuttavia rimasero fedeli alle tradizionali Birkenstock. I sandali di sughero, in un certo modo, fanno parte della storia e della cultura tedesca, e i tradimenti non piacciono.
Il calzolaio Johann Adam Birkenstock cominciò a produrre i sandali nella sua bottega nel paesetto di Langen-Bergheim, in Assia, alla vigilia della rivoluzione francese, nel 1774. Oggi la fabbrica di Bad Honnef, vicino a Bonn, e non lontana dal paese natale di Adenauer, ha un bilancio di 114 milioni di euro, ed impiega cinquecento artigiani provetti. I sandali non piaceranno agli elegantoni ma sono raccomandati dai medici, e gli ortopedici li trovano ideali per quanti sono costretti a lavorare in piedi, dai camerieri alle commesse. Il successo del marchio tedesco conferma anche che il Made in Germany non è fatto solo da auto e da macchine utensili, ma da innumerevoli piccole e medie industrie che sono la spina dorsale dell’economia tedesca, esattamente come da noi. Con una differenza: il fisco e il governo di Berlino le proteggono, da noi rischiano il fallimento a causa delle tasse e della burocrazia.
«La Birkenstock è un gigante addormentato», dichiara l’amministratore delegato Oliver Reichert alla Welt am Sonntag. È il momento per pensare in grande, la società sta vivendo il periodo migliore nei suoi 240 anni di vita. La produzione destinata agli Stati Uniti e all’Asia, è già esaurita. Oggi i sandali vengono esportati in 87 paesi, ed entro il 2025 saranno venduti in 130 paesi: «Tutti al mondo devono avere il diritto di camminare su un paio di nostri sandali», afferma Reichert. La Germania alla conquista dei cinque continenti. Il IV Reich, tanto temuto, marcerà in sandali e calzini corti?
Roberto Giardina, ItaliaOggi 30/8/2014