Diego Gabutti, ItaliaOggi 30/8/2014, 30 agosto 2014
A VENT’ANNI, IL KILLER USA, BILLY THE KID, AVEVA GIÀ UCCISO VENTI UOMINI «SENZA CONTARE I MESSICANI». CON LE SUORE ERA TENERISSIMO
Dicono che Billy the Kid, al secolo William Bonney, sia nato nei quartieri malfamati di New York il 23 novembre 1859. Fu a New York, si racconta, che uccise a 12 anni (o 14, o 17 anni, dipende dalle fonti) il suo primo uomo. Costui, si dice, aveva mancato di rispetto alla signora Bonney, sua madre. Ma chissà se queste storie sono vere. Non è sicuro neanche che il suo nome fosse proprio William Bonney. A volte diceva di chiamarsi così. Altre volte si faceva chiamare Henry McCarty o Henry Antrim. Usava i nomi, il Kid, come fazzoletti per nascondere il suo viso ai passeggeri delle diligenze, quando li rapinava.
Secondo Jorge Luis Borges, che gli dedicò un capitolo della sua Storia universale dell’infamia, il vero nome del Kid era Bill Harrigan. (Borges, indifferente com’era ai fatti nudi e crudi, decise di lasciarsi ingannare dalla storia del gangsterismo newyorchese di Herbert Asbury, Le gang di New York, Garzanti 2001, dove compariva un altro Billy the Kid, «che a dodici anni militò nella banda degli Swamp Angels, gli angeli del pantano, divinità che operavano nelle cloache»). Era William Bonney, anzi William H. Bonney, anche per lo sceriffo Pat Garrett, il suo assassino, che al Kid dedicò una biografia a sua volta immaginosa e borgesiana (in traduzione italiana Billy The Kid. La sua storia, Longanesi 1973). Scrive Garrett: «Ho conosciuto personalmente il Kid, dal tempo di quella che fu conosciuta come la Guerra della Contea di Lincoln sino alla morte, della quale fui lo sfortunato strumento, nell’adempimento del mio pubblico dovere».
Qualunque fosse il suo vero nome, Billy the Kid entrò nella leggenda col nome d’arte. Laggiù in Arizona e nel New Mexico, tra i cactus e i cespugli rotolanti, dove lo portarono i casi della vita e i bandi di ricerca, era per tutti il Kid, vale a dire «il dispensatore di pallottole invisibili che uccidono a distanza, come una magia». Fin dall’inizio la sua dimensione non fu la cronaca ma il mito.
A Lincoln, sui vent’anni, dopo una breve gavetta di rapine e di prepotenze da saloon, il Kid si schierò come pistola a pagamento dalla parte dei piccoli allevatori e dei contadini contro i grandi allevatori, guidati da John Chisum, il re dei pascoli. A quel punto, aveva già ucciso, si dice, ventun uomini, «senza contare i messicani». Non rubò mai ai ricchi per dare ai poveri, ma fu spacciato come un mezzo Robin Hood dai giornalisti del suo tempo e la sua icona dilagò nella letteratura popolare. Secondo Sam Peckinpah, che nel 1973 gli dedicò un grande film, Pat Garrett e Billy the Kid, all’inizio della Guerra di Lincoln, Billy portò addirittura «la stella» per Chisum. All’epoca, avrebbe recitato la parte in commedia che più tardi sarebbe toccata al suo ex amico Pat Garrett.
A Lincoln era in corso una guerra civile e tutti dovevano schierarsi da una parte o dall’altra. Billy, quando gli ultimi nodi della storia vennero al pettine, stava con i perdenti. Pat Garrett, schierato invece con i vincitori, gli saldò dunque il conto, rapido e pulito, come s’usava da quelle parti. Era notte. Billy udì un rumore di passi in corridoio e scese dal letto. «Quien es?» domandò all’ombra che si profilò d’un tratto nella porta. Rispose il lampo d’uno sparo. Era la morte, «la fine del mondo forte e chiara», come scrisse William Burroughs, un altro dei suoi fan. Billy the Kid, un killer prezzolato, un delinquente giovanile se mai ce n’è stato uno, era diventato uno dei simboli dell’eterna favola americana: l’eroe solitario, uno contro tutti, lui e le sue pistole da una parte, la Legge e il Sistema dall’altra, e vinca il migliore. Metafora dell’individualismo yankee, allegoria dell’universale giovanilismo che attraversa da epoche remote tutte le culture, da allora la storia del Kid, morto a ventun anni per mano d’un amico, è stata cucinata in tutte le salse.
C’è il Kid freudiano e un po’ inchecchito di Gore Vidal, portato ben due volte sullo schermo, da Arthur Penn in Furia selvaggia del 1959, poi da William Graham in Billy the Kid del 1989. C’è il Kid hippie ed esistenzialista di Sam Peckimpah che in Pat Garrett e Billy Kid, un assoluto capolavoro del 1973, bussa alle porte del paradiso sulle note delle canzoni di Bob Dylan, forse la più bella colonna sonora della storia del cinema. C’è il Kid eterno teenager di Christopher Caim e Geoff Murphy, che nei due episodi di Young Guns, del 1988 e 1990, prendono su di lui le misure dei futuri Karate Kid e ragazzi dal kimono d’oro. C’è persino un Kid d’acqua dolce, quello di Chisum, diretto da Andrew V. McLaglen nel 1970, dove John Wayne è il grande allevatore e Billy un suo allievo, giusto un po’ traviato dalle cattive compagnie.
C’è infine la sorprendente testimonianza d’una suora italiana (Suor Blandina, Una suora italiana nel west, Neri Pozza 1996): ««Per favore, mettete via le pistole», dissi in un tono né di richiesta né aggressivo, ma espressione della mia profonda convinzione che non avevamo nulla da temere. Spontaneamente le pistole tornarono nelle fondine. Si poteva sentire il leggero calpestio degli zoccoli mentre s’avvicinavano alle prime carovane. Il cowboy, nel raggiungere di spalle la diligenza, scorse i due signori seduti davanti, e ciò mi diede l’opportunità di guardarlo prima che lui ci scorgesse. Sollevai la mia grande cuffia perché capisse che eravamo suore. I nostri occhi s’incontrarono: lui si tolse il cappello a larghe tese, lo sventolò per salutarmi e accennò un inchino. Poi s’allontano d’una decina di metri e si fermò per esibirsi in magnifiche acrobazie a cavallo. Quel cavaliere era il famoso Billy the Kid!»
Diego Gabutti, ItaliaOggi 30/8/2014