Rossella Bocciarelli, Il Sole 24 Ore 30/8/2014, 30 agosto 2014
L’ITALIA ENTRA IN DEFLAZIONE (-0,1%)
ROMA
Per ora è solo uno sconfinamento in territorio negativo dei prezzi e gli esperti si affrettano a spiegare che per il nostro paese si può parlare di deflazione sì, ma solo in senso "tecnico".
Sta di fatto, però, che ieri l’Istat ha certificato che in agosto l’indice nazionale dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1 per cento rispetto all’agosto del 2013 , pur aumentando dello 0,2 sul mese di luglio. Ma lo scalino in discesa dei prezzi è pari a un meno 0,2 per cento nei dodici mesi e anche rispetto al mese di luglio se invece si considera l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, che è quello adottato per i confronti con gli altri paesi di Eurolandia.
Come sottolinea lo stesso Istat, si tratta di un fatto storico perché è la prima volta che in Italia la dinamica dei prezzi registra una riduzione da oltre cinquant’anni. Per l’esattezza, occorre risalire al settembre del 1959 per trovare prezzi con il segno meno davanti. Solo che all’epoca, i tempi in cui il Financial Times attribuiva alla lira l’Oscar della stabilità, la crescita in Italia era quella del miracolo economico: tant’è che nel 1959 il tasso di sviluppo fu pari al 7 per cento.
Oggi, invece, il contesto macroeconomico è diverso e più minaccioso e dietro la flessione dei prezzi c’è una forte caduta della domanda interna: le persone, cioè, fanno meno acquisti e i commercianti sono spinti, se non obbligati, pur di vendere, ad abbassare i prezzi. Il rischio vero, insomma è quello del circolo vizioso, con consumatori resi inappetenti dai timori della disoccupazione, che rimandano gli acquisti anche perché si attendono prezzi più bassi in futuro, cosicché le vendite si riducono e tendono a far contrarre ulteriormente il Pil. La deflazione, come si sa, è poi un grave problema soprattutto per chi ha debiti: si tratti di mutui per la casa o di debiti dello Stato il loro valore reale cresce, se i prezzi di tutti gli altri beni e servizi scendono. Per il nostro paese, come ha chiarito a più riprese il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan la deflazione crea un problema aggiuntivo: «Per i paesi indebitati– spiegava Padoan in un’intervista all’inizio di quest’anno, quando era ancora vicesegretario generale dell’Ocse– se i prezzi scendono il Pil nominale può diminuire anche a fronte di una timida ripresa del Pil reale, depurato cioè dall’andamento dei prezzi. Così il rapporto tra debito pubblico e Pil nominale aumenta, rendendo insostenibile la situazione dei debitori».
Per ora, tuttavia, il circolo vizioso non c’è, e come spiega l’Istat, il maggiore contributo deflattivo in agosto è stato determinato dalla componente dei prezzi dell’energia, che ha mostrato una accentuazione della caduta tendenziale (-3,7%, più marcata di circa 1 punto percentuale rispetto a luglio). Anche i prezzi dei servizi hanno registrato un rallentamento tendenziale (+0,6%, ovvero 0,1 punti percentuali in meno rispetto a luglio), questo sì determinato dal protrarsi del ciclo negativo della domanda interna. Invece, si è ridimensionata la flessione dei prezzi dei beni alimentari non lavorati (-1,7 per cento contro il -2,9% di luglio). Se la si considera al netto dei soli beni energetici, l’inflazione sale allo +0,4 (contro il +0,3 per cento di luglio). Se si guarda però alla tendenza di fondo dei prezzi, al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, questa in Italia agosto è scesa, al +0,5% (era 0,6% in luglio).
E nei prossimi mesi? Nella sua nota congiunturale mensile, l’Istat ricorda come gli operatori economici indichino una ulteriore riduzione del livello dei prezzi, più contenuta da parte delle imprese ma molto accentuata secondo le famiglie. E osserva che «l’inflazione dovrebbe mantenersi intorno agli attuali ritmi fino all’autunno, per poi evidenziare una risalita nella parte finale dell’anno». Lo scenario più probabile, dunque è quello di un’inflazione molto bassa per lungo tempo, non di una deflazione.
Ma anche con una prospettiva di lento recupero, resta il fatto che l’attuale gelata dei prezzi tende a deprimere ulteriormente la domanda. Che finora non ha avuto davvero una performance brillante: tra i dati pubblicati ieri dall’Istituto di statistica c’è anche il dettaglio delle cifre di contabilità nazionale del secondo trimestre che confermano la flessione del prodotto interno lordo dello 0,2 per cento nel periodo compreso fra aprile e giugno e chiariscono che ad aver determinato la contrazione dell’attività produttiva è stata soprattutto la flessione degli investimenti (scesi dello 0,9%) e una riduzione della domanda estera netta (le importazioni sono cresciute dell’1 per cento mentre l’export è aumentato dello 0,1 per cento).
Il rischio neanche troppo remoto è di sperimentare un terzo anno di recessione. Con questi risultati, afferma infatti Sergio De Nardis, chief economist di Nomisma, «perché la variazione del Pil nella media del 2014 non sia col segno meno, occorre che la dinamica economica viaggi a ritmi trimestrali almeno dello 0,3% nella seconda metà dell’anno». Tuttavia, conclude «i segnali per il terzo trimestre sulla fiducia di consumatori e imprese - spiega l’economista di Nomisma - sono purtroppo in ripiegamento».
Rossella Bocciarelli, Il Sole 24 Ore 30/8/2014