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 2014  agosto 30 Sabato calendario

POVERA SERIE A. IL VERO GOAL È FARSI PIACERE

C’era una volta il campio­nato più bello del mon­do, la Serie A. Ma quella volta chi se la ricorda più? Chi osserva il mondo del calcio da un oblò, ritiene che abbiamo smesso di essere il torneo più invidiato d’Europa dall’e­state del 2001, quella del passaggio dalla Juve al Real Madrid di Zinedine Zidane. Un ponte d’oro da 150 miliardi di vecchie lire per Zizou , l’ultimo vero grande re d’Oltralpe ad aver cal­cato i campi italiani. Campi da tempo colo­nizzati dalla legione straniera che nella scorsa stagione contava il 54% dei tesserati della mas­sima serie, e in quella che sta per cominciare (oggi alle 18 la prima è Chievo-Juventus) il da­to, preoccupante, non accenna a diminuire in favore del prodotto nostrano, anzi.
Il triste primato spetta all’Inter con il 92,2% del monte ore lavorative ad appannaggio dello stranierificio dipendente dall’indonesiano Thohir. E state certi che quel record i nerazzurri lo conserveranno: basta sfogliare la formazio­ne tipo della stagione alle porte (2014-2015) per vedere che nell’11 base di Walter Mazzar­ri figura un solo italiano, il difensore Andrea Ranocchia. E agli ultimi mondiali, Ranocchia era il 24° azzurro nella fallimentare Nazionale di Cesare Prandelli.
Dopo la figuraccia brasiliana, per capire quan­to siamo scivolati in basso andare alla voce ranking Fifa: l’Italia è al 14° posto, con davan­ti la Grecia e subito dietro i nostri castigatori della Costa Rica. Con il “maracanazo” italiano, era scattata l’emergenza nazionale con l’ap­pello a rifondare il nostro calcio dalla base, dando più spazio ai giovani dei vivai. Parole, pa­role, parole, proclamate da un sistema scon­nesso con il Paese reale del pallone. Con le di­missione immediate del presidente della Figc Giancarlo Abete e del ct Prandelli si era parla­to di governo del calcio affidato a volti nuovi e di conduzione del ’progetto tecnico’ sobria e contenuta, specie nei costi. Risultato finale: presidenza della Federcalcio all’ex principe dei dilettanti, il 71enne Carlo Tavecchio e Nazio­nale completameente nelle mani del ct esule volontario dalla Juventus, Antonio Conte, con stipendio “agghiacciante” che la Puma e noi contribuenti gli erogheremo per guidare la Na­zionale fino a Euro 2016. A lui ora l’onere e l’o­nore di pescare il meglio che c’è da quel 46% di prodotto interno, molto lordo.
Non è detto che sia un male per il nostro cam­pionato, ma ai nastri di partenza va comunque registrata l’ennesima perdita del capocanno­niere della passata stagione, quel Ciro Immo­bile scartato dalla Juventus e poi dal Genoa, ri­nato a suon di gol (22) nel Torino e che ha pre­ferito il Borussia Dortmund e la Bundesliga al Belpaese del calcio che fu. «E’ stato un errore tornare in Italia», così ci ha appena detto ciao anche Mario Balotelli, il più grande talento e per ora anche il più grande bluff - internazio­nale - espresso nell’ultimo miserando lustro. Se ne torna in Premier, a Liverpool, lo scape­strato Marione ex cuore milanista che, nono­stante a Brasile 2014 sia stato visto in mondo­visione “ciccare” anche il più semplice degli stop, grazie ai buoni intrallazzi del suo procu­ratore- pizzaiolo Raiola, ha appena firmato un contratto da 6 milioni di euro l’anno.
Una cifra folle, che suscita l’umana e com­prensibile invidia, oltre che un surplus di di­sperazione, in quei 30mila calciatori profes­sionisti che nel triennio nero 2010-2013 sono stati licenziati (da club falliti, spariti e a volte rinati sotto nuove o mentite spoglie). La mag­gior parte di loro per continuare ad esercitare il mestiere hanno accettato di giocare nelle ca­tegorie minori, molti si sono rassegnati al di­lettantismo, in tanti hanno chiuso con il pal­lone e, nel mondo del lavoro che non c’è, si so­no ritrovati doppiamente disoccupati.
Uno scenario reale, quanto catartico, distante anni luce dai riflettori di uno stadio Olimpico o di San Siro che stanno per riaccendersi. Lo spettacolo sta per cominciare, ma sulla carta l’offerta - a parte quella televisiva che mono­polizza il 65% degli introiti delle società - è net­tamente inferiore a quella proposta dai teatri dei sogni di cuoio inglesi, spagnoli e tedeschi. Lì il 99% dei club possiedono stadi di proprietà, mentre noi siamo appesi a una legge virtuale e fermi alla cattedrale nel deserto dello Juven­tus Stadium di Torino, all’ex Giglio di Reggio E­milia, ora Mapei Stadium e casa del Sassuolo del signor Confindustria Squinzi, mentre di prossima consegna si segnala il ristrutturato nuovo Friuli dell’Udinese di patron Pozzo.
Tra tanti prestiti e giocatori arrivati a costo ze­ro, da noi si rivedono solo cavalli pazzi di ri­torno come Menez (Milan) e vecchi purosan­gue all’ultima corsa, vedi Vidic (Inter), Cole (Roma) ed Evra ( Juventus). Tutto il resto è noia. Ci si stupisce solo quando la Roma spendac­ciona (Pallotta-Sabatini, occhio al fairplay fi­nanziario) acquista l’argentino del Verona I­turbe per 22 milioni, che è poi l’equivalente di quello che Cristiano Ronaldo e Messi guada­gnano in Spagna in una sola stagione. Nessu­no straniero di talento è così pazzo da sceglie­re ancora l’Italia per venire a svernare, e quei pochi che rimangono hanno già pronta la va­ligia per la prossima meta, lontana da qui.
Non ci resta che piangere assieme al Napoli di Benitez che è già fuori dalla Champions. O for­se possiamo ancora provare a sperare che la Ju­ve di Allegri faccia meglio di quella di Conte e che al centro del villaggio euro­peo ci possa tornare assieme alla Roma di Garcia. Che magari l’In­ter riprenda la via per un futuro da ’triplete’ e che il Milan del de­buttante mister Pippo Inzaghi sia una riproposizione della rivolu­zionaria e preistorica era sacchia­na. Ci piace immaginare a bocce ferme che il “tiki-taka” della Fio­rentina di Montella possa arriva­re fino in fondo alla corsa-scu­detto, magari con un Cuadrado che restando in viola dia un se­gnale forte a quei giovani cam­pioni che all’estero ci guardano con giustificata diffidenza. Che a Cagliari, dopo Foggia e Pescara, sia memorabile anche il terzo at­to di Zemanlandia e che l’ex ’al­lenatore ragazzino’ Stramaccio­ni non sia stato soltanto un ca­priccio dell’Inter di Moratti, ma all’Udinese si riveli un autentico condottiero, degno protagonista in quel che resta di questa povera terra straniera chiamata Serie A.