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 2014  agosto 30 Sabato calendario

ANCHE PUTIN STA RISCHIANDO CON LA SUA ECONOMIA

Il persistente indebolimento dell’economia russa non è solo un effetto delle sanzioni. Gravano, altrettanto e più, la mancata introduzione di riforme strutturali e il calo dei margini di profitto nell’industria. Sin dalla guerra con la Georgia, nel 2008, Putin ha posto le riforme in secondo piano, pensando di ristabilire le prerogative dell’ex regime sovietico e finendo col fare della Russia una potenza tendenzialmente autarchica. Eppure dal 2001 al 2010 la Russia era riuscita a ridurre la povertà e la classe media si era allargata, in controtendenza con quanto avveniva in Occidente. Oggi il declino nei redditi reali, l’indebitamento crescente delle famiglie, l’inflazione al 7,8%, l’indebolimento del rublo e le contro-sanzioni sull’importazione di beni alimentari, spingono i consumi al basso e inceppano la mobilità sociale.
Se la politica di import-substitution ha avuto effetti positivi sull’indice di fiducia delle Pmi, e sul consenso per Putin, la Banca mondiale ha previsto che l’economia russa crescerà solo dello 0,5% nel 2014. Le stime sono corroborate dai recenti dati dei ministeri russi che accrescono i timori di una recessione e di un’ulteriore spinta inflattiva, e dimezzano all’1% le previsioni di crescita per il 2015.
Sullo scenario internazionale, il rallentamento russo contrasta con la ripresa di Stati Uniti e Cina. Questa flessione è coincisa con l’impennata nel deflusso di capitali e il crollo degli investimenti, collegati alla crisi ucraina e all’impatto delle sanzioni occidentali, che stanno acuendo le tendenze all’isolazionismo di Mosca. Intanto le spese per la difesa, raddoppiate dal 2007, hanno potenziato e modernizzato le forze armate. Ora si tratta di vedere se la Russia possa permettersi di destinare una crescente quota del Pil per la difesa che conta già per oltre il 20% della spesa pubblica.
Il settore energetico resta il vero punto di forza. Ma vi è incertezza sui prezzi del petrolio che potrebbero diminuire con l’allentamento delle tensioni geopolitiche, come ha dichiarato il viceministro delle Finanze Alexei Moiseyev. Quanto all’accordo fra Gazprom e CNPC, l’industria di stato cinese, esso contribuisce al rafforzamento della strategia di unione euroasiatica perseguita da Putin. Tuttavia l’interscambio commerciale fra Mosca e Pechino è poca cosa rispetto a quello della Cina con America ed Europa. Circa l’80% del gas distribuito in Cina è già fornito dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. La Cina è la nuova potenza e sono i suoi investimenti in energia e trasporti a ridisegnare i network energetici in quell’area.
Le sanzioni che vietano la fornitura di tecnologia occidentale alla Russia per l’industria petrolifera avranno un impatto maggiore se sostenute nel lungo periodo. Lo sfruttamento di risorse energetiche non convenzionali e difficili da raggiungere è fondamentale per Mosca poiché i giacimenti esistenti diminuiscono. La tecnologia occidentale è essenziale per la modernizzazione della Russia; ma a pagare i costi delle sanzioni potrebbero essere anche le imprese occidentali coinvolte in joint-venture (come ExxonMobil, Total e l’inglese BP che ha il 20% di Rosneft).
La storia sembra ripetersi come ai tempi delle presidenze di Jimmy Carter e Ronald Reagan quando, dopo l’invasione dell’Afghanistan e il colpo di stato in Polonia, fu stabilito l’embargo sull’export di tecnologia all’Urss per la costruzione del gasdotto siberiano. Anche allora la leadership americana era percepita in declino, mentre Mosca investiva quote crescenti del Pil per la difesa sino all’implosione del suo sistema nel 1991.
Oggi, come allora, i costi maggiori delle sanzioni ricadono sull’Europa. In particolare la Germania stima una caduta delle esportazioni verso Mosca del 20-25% nel 2014. Intanto, il prezzo per proteggere i bond russi dal default, il più alto fra i maggiori paesi emergenti, si è impennato. Così la crisi ucraina è assunta come un alibi dai politici di entrambi i campi per giustificare le difficoltà economiche interne, ma non fornirà una soluzione.