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 2014  agosto 30 Sabato calendario

1959, L’ANNO CHE FECE DA PONTE TRA DOPOGUERRA E BOOM

Sembrava che il mondo cominciasse ad andare meglio. A settembre il presidente americano Dwight Eisenhower incontrò Nikita Kruscev, il successore di Stalin, a Camp David. Era un’ipotesi di distensione, in realtà il peggio della Guerra fredda era ancora tutto da venire e infatti a gennaio Fidel Castro aveva cacciato Fulgencio Batista dall’Avana e l’Unione sovietica aveva mandato la sonda spaziale Luna 1 fuori dall’orbita terrestre - per prima nella storia dell’umanità - inaugurando la feroce corsa allo spazio. In Italia cadeva il governo di Amintore Fanfani che lascerà la guida della Democrazia cristiana al quarantaquattrenne Aldo Moro.
C’era deflazione ma il Pil saliva del sei per cento: la differenza con oggi è tutta lì. E poi, come ci spiega Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, «la crescita era formidabile e c’era la sensazione che il 1960 sarebbe stato migliore, il 1961 ancora di più. Oggi siamo convinti che il 2015 andrà peggio». C’è chi fa cominciare il boom economico proprio nel 1959, ma non ci siano equivoci: allora non si campava bene come oggi. L’aspettativa di vita era di otto anni di meno, la mortalità infantile del 3.5 per cento (nel 2013 era allo 0.6) perché soprattutto in campagna e al sud si partoriva in casa, con un’assistenza minima, talvolta di zie e sorelle. Eppure si tocca per la prima volta quota cinquanta milioni di abitanti perché la natalità ricomincia a salire e non succedeva dagli anni della guerra. Nei paralleli sovente proposti in queste circostanze, si segnala il costo della Fiat Seicento, 590 mila lire, cioè tredici stipendi di un operaio, contro gli ottomila scarsi di un’utilitaria base di oggi, cioè sette stipendi. A proposito di operai: scoprirono il sabato libero, in fondo la produttività aumentava del doppio rispetto a quanto aumentavano i salari.
Ma l’Italia del 1959 è un Paese col vento in fronte. Sappiamo tutti che tempi erano, i giovedì di Mike Bongiorno con Lascia o raddoppia, il dominio a Sanremo di Domenico Modugno con Ciao ciao bambina, e l’anno precedente era stato quello di Nel blu dipinto di blu. A Venezia l’ex aequo è perfetto fra La grande guerra di Mario Monicelli (con Alberto Sordi e Vittorio Gassman, secondo alcuni il vertice del cinema italiano) e Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini su soggetto di Indro Montanelli. Vinciamo due Nobel, con Salvatore Quasimodo per la letteratura ed Emilio Segre per la fisica (capiterà di nuovo nel 1975 con Renato Dulbecco ed Eugenio Montale). Per dire, non è soltanto questione di colonne sulle vie del mare, di balere, di cravatte obbligatorie alla domenica, delle prime sfilate di gloria su via Veneto, e non è soltanto Mina che urla Nessuno e Adriano Celentano che ancheggia Il tuo bacio è come il rock. Del resto al Sessantotto manca soltanto un decennio e Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini, sulle miserabili condizioni delle borgate romane, riprende i temi di Ragazzi di vita (1955) e ottiene il premio Crotone fra le proteste dei giurati, che lo considerano troppo crudo. Il grosso degli italiani però pensa alle differenze sociali soprattutto per attenuarle, pensa a procurarsi l’automobile o il frigorifero: ecco, il frigo ce l’hanno ancora in pochi, all’inizio del decennio se ne producevano meno di ventimila, alla fine quasi quattrocentomila, all’alba dei Settanta saranno oltre tre milioni.
Sono cose, queste, che più o meno si sanno. Si sa meno, forse, che il 1959 è l’anno in cui nasce la Barbie e vende subito 350 mila bambole in tutto il mondo; a oggi ne ha venduto più d’un miliardo. Ed è l’anno in cui si individua il primo caso di Aids, sebbene ci vorranno oltre vent’anni perché la malattia diventi un allarme globale. Per i cultori di disgrazie: il Torino si chiama Talmone e, non era mai capitato, retrocede in B; lo scudetto va al Milan di Niels Liedholm, José Altafini e Juan Alberto Schiaffino. La classifica dei cannonieri la vince l’interista Antonio Valentin Angelillo con 33 gol, che è ancora record per i campionati a diciotto squadre. Vista l’aria che tira, per un centravanti di oggi il paragone è sempre meno imbarazzante che per un ministro economico.