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 2014  agosto 29 Venerdì calendario

BOLLORÉ

Comunque vada a finire, per lui sarà un successo. Lui è Vincent Bolloré, il miliardario diventato l’arbitro di una gigantesca partita di potere che si gioca tra Milano, Parigi e Madrid. Spregiudicato, ambizioso, conversatore charmant e negoziatore durissimo, il finanziere partito trent’anni fa dall’azienda paterna (una cartiera) in Bretagna è da settimane al centro di una giostra frenetica di negoziati, incontri, manovre di Borsa.
Tutto parte dal Brasile, dove Vivendi, la holding parigina di cui Bolloré è presidente e primo azionista con una quota del 5 per cento, controlla la compagnia telefonica Gvt, che vuol dire Internet, banda larga e un mercato con grande potenziale di sviluppo. Da un anno la società è in vendita. La base d’asta è 7 miliardi, ma sembra destinata a salire di molto. Ebbene, Gvt è diventata l’oggetto del desiderio di Telecom Italia e della spagnola Telefonica: per entrambe, già presenti in forze sul mercato sudamericano, l’accordo con i francesi equivale al goal della vittoria in una partita che dura da un decennio. La questione, già abbastanza complicata, si aggroviglia ancora di più se si pensa che al momento è proprio Telefonica il maggiore azionista del concorrente italiano, anche se la sua quota del 15 per cento, acquistata – come si ricorderà – meno di un anno fa, è di fatto sterilizzata per effetto delle decisioni dell’Antitrust di Brasilia. I due gruppi insieme sarebbero troppo forti in Brasile. Quindi devono viaggiare separati. Il colpo di scena è arrivato ai primi di agosto: Marco Patuano, amministratore delegato di Telecom Italia ha offerto a Bolloré di prendere il posto degli spagnoli come azionista di riferimento del gruppo. In cambio Vivendi dovrebbe cedere agli italiani il controllo di Gvt, destinata a fondersi con Tim Brasil. Il fatto è che gli spagnoli non ci stanno. Anche loro hanno a lungo corteggiato Bolloré mettendo sul piatto una montagna di denaro, siamo nell’ordine degli 8 miliardi, pur di conquistare la magnifica preda Gvt.
La sfida si decide in queste ore. A ben guardare, però, un vincitore già c’è. Si chiama Bolloré, che grazie a questa partita di poker conferma la sua fama di personaggio vincente, di investitore che ama rischiare grosso e, forse proprio per questo, spesso è baciato dalla fortuna. Dalla holding che porta il suo nome - Bolloré Investissment - dipendono attività con un giro d’affari complessivo che l’anno scorso ha sfiorato gli 11 miliardi di euro. Si va dalla logistica internazionale alla pubblicità (Havas), fino al business delle batterie elettriche (Blue Solutions). Ma il presidente di Vivendi è tutt’altro che un parvenu dalle nostre parti. Con una quota del 7 per cento è il secondo azionista (dopo Unicredit con l’8) di Mediobanca, dove è anche esponente di peso del patto di sindacato che governa l’istituto.
Giusto un anno fa, il finanziere bretone ha lasciato la vicepresidenza di Generali, mantenendone però un pacchetto azionario vicino all’1 per cento. Ma, soprattutto, va ricordato che l’uomo d’affari francese vanta una lunga frequentazione con Silvio Berlusconi, a cui lo ha introdotto un comune amico, il finanziere tunisino Tarak Ben Ammar. Non è un caso, allora, se in questi giorni molti analisti, ragionando sul possibile ingresso di Bolloré in Telecom Italia, abbiano disegnato scenari di collaborazione tra il gruppo telefonico e Mediaset. Qualcuno ha addirittura immaginato una fusione tra le due società. L’ombra del conflitto d’interessi tra il Berlusconi politico e il Berlusconi imprenditore non può non condizionare un accordo di tale portata. Adesso però la strada verso un’ipotetica intesa sembra quantomeno praticabile, dopo che la condanna penale e la conseguente interdizione hanno per il momento allontanato l’ex premier da ogni possibile incarico istituzionale.
Del resto anche i negoziati di queste settimane navigano nel grande mare del conflitto d’interessi. Ad affiancare Patuano nel confronto con i francesi troviamo Alberto Nagel, l’amministratore delegato di Mediobanca. E quest’ultima, che è azionista di Telecom Italia, annovera Bolloré tra i suoi soci più influenti. È Tarak Ben Ammar, però, a interpretare il ruolo dell’uomo ovunque della partita. Il finanziere tunisino, che ha partecipato alla trattiva su Gvt, siede nei board di Telecom Italia e di Mediobanca, ma vanta anche stretti rapporti con Bolloré, per non parlare dell’amicizia con Berlusconi.
Fu proprio Tarak, nel 2002, a fare da apripista in Italia al futuro patron di Vivendi. Le cronache dell’epoca raccontarono lo sbarco di Bolloré nel capitale di Mediobanca, su invito di Vincenzo Maranghi. Altri tempi, quelli. Il salotto buono non c’è più. E nelle stanze dell’alta finanza nostrana si sono consumati infiniti tradimenti, alleanze e affari. Bolloré se l’è cavata da fuoriclasse dell’intrigo, capace di giocare su due o tre tavoli allo stesso tempo. Difficile spiegare, altrimenti, come sia riuscito a sopravvivere a tutti i ribaltoni che tra il 2003 e il 2012 hanno ridisegnato la mappa del potere. Cambiano presidenti e amministratori delegati, si ridisegnano le alleanze, ma Bolloré resta in prima linea, pronto a mettersi in scia al nuovo che avanza. Succede nel 2003, quando tramonta la stella di Maranghi. E poi nel 2008, quando il suo mentore, l’ottuagenario Vincent Bernheim, viene spodestato dalla presidenza di Generali a cui approda Cesare Geronzi. Nel 2012 anche il banchiere romano arriva al capolinea, ma Bolloré, che pure si era speso per difenderlo, guadagna ancora terreno. Gli accordi siglati di recente prevedono che il finanziere francese, oltre a designare uno dei due vicepresidenti, possa arrivare fino all’8 per cento del capitale di Mediobanca.
Tra tanti successi si conta solo uno scivolone. Un infortunio pesante, per lo meno sul piano dell’immagine. Nel gennaio di quest’anno la Consob ha sanzionato Bolloré (3 milioni di multa) per le sue manovre di Borsa del settembre 2010 sui titoli Premafin, la holding di Salvatore Ligresti. Gli acquisti erano serviti a mantenere artificialmente alta la quotazione di una società in grave crisi. Questo il verdetto della Commissione. All’epoca, il patron di Vivendi cercò di pilotare (senza successo) il salvataggio dell’amico Ligresti con il sostegno del gruppo assicurativo Groupama. Rastrellamenti e scalate sono pezzi forti nel repertorio di Bolloré. Non per niente, prima di approdare a pieno titolo nell’élite del potere francese, il finanziere di origine bretone si era fatto notare in patria più che altro come raider di Borsa. Un raider pronto a violare anche i sacri templi della finanza locale. A Parigi ricordano ancora l’incursione di Bolloré, nel 2000, sulla Rue Imperiale de Lyon, una delle holding della influente banca d’affari Lazard, così come l’attacco al gruppo Bouygues di due anni prima. In un caso come nell’altro lo scalatore è riuscito infine a passare alla cassa con guadagni nell’ordine delle centinaia di milioni di euro.
La sostanza, il fondamento vero, della grande ricchezza di Bolloré si trova però molto lontano dagli ambienti rarefatti della finanza. Gran parte dei ricavi del gruppo e anche dei profitti (450 milioni nel 2013) vengono dall’Africa. E cioè piantagioni e soprattutto commerci, con una rete logistica che copre buona parte del continente. Affari colossali, che non possono fare a meno dell’appoggio della politica, a Parigi così come nei Paesi dell’ex impero coloniale francese. Sarà un caso, ma l’ascesa di Bolloré ha preso velocità proprio negli anni della presidenza dell’amico Nicolas Sarkozy, più volte gradito ospite sul suo yacht.
Il finanziere partito dalla Bretagna si è così conquistato un posto in prima fila nell’establishment. Ha preso il controllo di Havas, uno dei principali gruppi mondiali di pubblicità e comunicazione. E da lì è riuscito a insediarsi al vertice di Vivendi, che vuol dire televisione, con Canal+, e musica, con il marchio Universal. Le attività nella telefonia, da Maroc Telecom a Sfr, il secondo gestore di telefonini di Francia, sono invece state tutte vendute nei mesi scorsi, con un incasso totale di oltre 18 miliardi di euro.
Restava la brasiliana Gvt, finita sul piatto dell’ultimo poker di Bolloré, lo speculatore di Borsa che decide il destino delle telecom dei due mondi: dall’Europa al Sudamerica.
Vittorio Malagutti, L’Espresso 29/8/2014