Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 28/8/2014, 28 agosto 2014
IL BTP «SORPASSA» ANCHE IL BOND USA, EFFETTO-DRAGHI PIÙ FORTE DEI DATI MACRO
I numeri non mentono. Ieri il rendimento nominale del BTp decennale è sceso, secondo il terminale Reuters, al minimo intraday di 2,34%. Cioè, un valore inferiore (in quel momento) al saggio del Treasury (2,37%). La stessa situazione, anche in maniera più marcata, è stata replicata sulle scadenze dai 2 fino a 7 anni. Rispetto al quinquennale, ad esempio, lo yield del buono italiano è arrivato a circa 1,06% contro l’1,52% di quello statunitense.
La situazione, peraltro in maniera più evidente, è stata replicata in quel di Madrid. Qui, ad esempio, il Bonos biennale è sceso fino ad un tasso dello 0,18% (0,51% quello del T-Bond). Lo yield del decennale, poi, è calato fino al 2,09%. Vale a dire, molto più in basso del gemello statunitense.
Insomma, un po’ come accaduto con il Gilt britannico, il debito pubblico dei due «bistrattati» Paesi del Mediterraneo è arrivato a pagare meno della grande economia americana. Un mondo realmente sotto-sopra. Tanto che il signor Rossi domanda: come può la tripla «A» della perfida Albione o la doppia «A+» di Washington rendere più della tripla «B» di Spagna (outlook stabile) e Italia (outlook negativo)?
In primis, deve sempre ricordarsi che i singoli numeri raccontano metà della storia. Il rendimento di un titolo di Stato, si sa, è conseguenza di diversi fattori: dal tasso d’interesse al merito di credito dell’emittente fino all’inflazione attesa dagli operatori. Ebbene, proprio quest’ultima recita un ruolo fondamentale nell’attuale dinamica dei rendimenti. La prassi dice che: più basse sono le stime sui futuri prezzi al consumo e minore è il rendimento preteso da chi presta denaro. Attualmente, il tasso d’inflazione a 10 anni nell’Ue, scontato dal mercato dei titoli di Stato, è intorno all’1,05%. Quello, invece, degli Stati Uniti è molto maggiore: si assesta a circa il 2,1%. Cosa significa questo? È presto detto. Il rendimento reale del BTp decennale vale all’incirca l’1,3% mentre quello del Treasury rimane molto più in basso: intorno allo 0,26%. Con i valori reali (che ora contano) l’anomalia, insomma, scompare del tutto. Il mondo torna normale e non c’è più eccezione. Ciò che, al contrario, rimane è la minore attenzione posta nei confronti del merito di credito. Cioè: a fronte delle parole di Mario Draghi sulla possibilità di acquisti di bond governativi da parte della Bce, gli investitori non considerano più troppo la solidità dell’emittente. L’Italia ha una tripla «B»? Poco rileva. Tanto c’è l’Eutower che fa da garante. La Spagna è in condizioni simili? Non preoccupiamoci: Draghi non permetterà l’implosione dell’Eurozona. Anzi. Potrebbe addirittura concretizzare un ulteriore rally dei Bonos con il Qe.
Ovviamente, si tratta di supposizioni. Di «verbal guidance». Le quali possono essere indebolite da dichiarazioni contrarie. Soprattutto, se pronunciate dai sacerdoti dell’austerity made in berlino.
Così, ad esempio, ieri è stato sufficiente che fonti della Bce raffreddassero gli animi sulle manovre eccezionali dell’Eurotower («le barriere al Qe sono molto alte») per spingere all’insù il rendimento nominale del BTp. Oltre il tasso del Treasury. La prova ulteriore che l’attuale rally dei buoni italiani ha pochissimo a che vedere con i fondamentali (negativi) dell’Italia. Insomma: si scrive BTp e si legge Draghi. Quest’ultimo, però, va interpretato anche con l’idioma della Bundesbank.
Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 28/8/2014