Brunella Bolloli, Libero 28/8/2014, 28 agosto 2014
SPRECHI E INCHIESTE: LA PREVIDENZA ROMANA AFFONDA NEL PANTANO
Di eterno, a Roma, non ci sono solo i monumenti e la storia. Nella Capitale d’Italia anche i carrozzoni pubblici attraversano indenni i segni del tempo, veleggiando sopra le ere sostenuti da un flusso continuo e inarrestabile di soldi. Caso tra i più eclatanti di questa sorta di ente immortale è quello dell’Ipa, l’istituto di previdenza e assistenza per i dipendenti di Roma Capitale. L’ente (sulla cui stessa ragion d’essere già si potrebbero nutrire delle perplessità: che avranno mai di diverso i dipendenti capitolini?), sta in piedi dal 1940. Sopravvissuto al fascismo, a una guerra mondiale, al crollo della Prima Repubblica e alle prime avvisaglie di smottamento della seconda, l’Ipa se ne sta ancora placidamente al suo posto: geloso della propria autonomia e delle proprie prerogative, ha tirato avanti per tre generazioni senza colpo ferire. E c’è voluto uno scandalo dal cabotaggio vistosamente superiore alla media, un appalto monstre per i servizi informatici da 5 milioni di euro, perché il sindaco Ignazio Marino, fiutato il rischio di ulteriori polemiche sulla sua amministrazione già barcollante, decretasse che era stato passato il segno. Stop all’Ipa, struttura dell’amministrazione capitolina, anche se atipica», come recita il sito del Comune di Roma Capitale. In verità, l’inquilino di Palazzo Senatorio può fare ben poco: non può rimuovere i componenti del Cda, mentre ha invece potere di nomina del presidente e del direttore generale, e sebbene al momento risultino indagati 6 consiglieri su 13, nessuno di loro pensa alle dimissioni, situazione molto tipica questa. Le ultime elezioni sono state nel 2013, per le prossime tocca attendere il 2018. Il sindaco può però intervenire a favore di un commissariamento e, come recita l’articolo 6 dello statuto Ipa, che ne sancisce la «natura illimitata», esercita la vigilanza sull’attività dell’istituto e deve approvare o meno le delibere di modifica allo statuto. Per il resto patrimonio e amministrazione sono distinti e separati dal Campidoglio che deve provvedere alla manuntenzione dei locali di via Francesco Negri, sede dell’ente. Il Comune medesimo è poi tenuto a fornire gratis illuminazione, riscaldamento e arredamento. Dunque, se da una pare il rapporto con l’amministrazione capitolina è assai stretto, dall’altra sono passati decenni senza che alcun sindaco obiettasse alcunché sulla gestione allegra di questa associazione di lavoratori. Ora, è capitato che alla vigilia di Ferragosto, a Marino sia scoppiata in mano la grana dell’appalto milionario per l’aggiornamento informatico e allora, apriti cielo: ha scritto una letteraccia e ha chiesto la revoca del bando la cui scadenza era fissata per il Primo settembre. Revoca ottenuta, non senza strascichi e polemiche. Per i vertici Ipa, infatti, nominati dal precedente sindaco Gianni Alemanno, si tratterebbe di una manovra per decapitare l’ente e provvedere a una sorta di rimpasto. L’ex chirurgo, che comunque non ha il potere di sostituire il Cda, accampa, invece, motivi di «immagine» per scongiurare «condotte poco chiare e trasparenti». Troppa fresca, del resto, la carrellata di magagne su cui i giornali hanno scritto ampie pagine di cronaca romana e non solo. Contro l’Ipa, non è un mistero, sono piovute le denunce dell’Arvu europea, l’associazione della polizia locale (i vigili urbani) di Roma. L’Arvu ha tuonato contro la «parentopoli dell’Ipa», contro i ruoli dirigenziali «assegnati a vita», contro i compensi e le retribuzioni di consiglieri e consulenti esterni. Nel corso del tempo si sono succedute, inoltre, interrogazioni di vari parlamentari per conoscere nel dettaglio le spese sostenute per le consulenze esterne, ma anche i tassi d’interesse praticati ai dipendenti capitolini che ottengono un prestito grazie all’istituto di previdenza e assistenza, che vanta anche due ambulatori, uno odontostomatologico e l’altro di medicina generale cui possono accedere tutti gli iscritti, i loro familiari e i conviventi. Sul bilancio dell’Ipa, poi, si è detto di tutto e di più: dal buco di 8 milioni di euro poi ripianato, alla perdita in titoli stimata attorno ai 21 milioni di euro dal 2000 al 2010. Dubbi sollevati da Ernst & Young sulle modalità della concessione di prestiti agli iscritti in assenza, spesso, della necessaria valutazione di sostenibilità economica. Circostanze che, insieme all’indagine della Corte dei Conti per danno erariale, hanno portato l’ente ad essere commissariato dal 2010 al maggio 2013. «Adesso è tutto sotto controllo», assicura Giancarlo Fontanelli, ex commissario straordinario e attuale presidente. «Non è vero che siamo in rosso, nessun buco di bilancio, semmai un attivo di 2 milioni e mezzo di euro. L’Ipa è in salute, a dispetto di chi ci vuole male e di chi spera nelle nostre dimissioni». Il bando da 5 milioni? «Dobbiamo aggiornarci anche noi. Abbiamo 35mila iscritti. E poi erano due i bandi: uno di prequalifica per le aziende interessate, e un altro, pubblicato per successivi 45 giorni». Al Campidoglio sapevano della delibera incriminata, è la linea dei consiglieri, due dei quali, tuttavia, ad aprile avevano votato contro. Di sicuro è il segno che i rapporti tra ente e Campidoglio vivono giorni di grande tensione. La letteraccia inviata dal Gabinetto del sindaco alla Ragioneria generale è esplicita. Nel mirino ci sarebbero i compensi, «l’inopportunità del frequente ricorso a Confservizi Lazio srl, le procedure di approvvigionamento non in linea con i principi dettati dal codice dei contratti». Eppure, nella sede a due passi da via Ostiense, area del Gazometro e di uffici dismessi rivitalizzata da Eataly e Italo, si prosegue in tranquillità. Fontanelli ammette che «sì, questa storia del bando mi ha rovinato l’estate», ma in quanto alla spending review imposta dal governo non c’è storia: noi agiamo in autonomia «e ci siamo già decurtati lo stipendio». Circa 69mila euro lordi all’anno per il presidente, 90mila per il direttore; i consiglieri prendono 30 euro di gettone di presenze con una media di una riunione alla settimana. Di cosa vive l’Ipa? Dei denari degli iscritti, i quali versano circa 200 euro annui se sono dipendenti del Comune di Roma, 500 se sono dipendenti dell’Ama, la municipalizzata per l’ambiente, quali trattenute da ogni busta paga. Poi ci sono stanziamenti dal bilancio comunale e altre convenzioni. Perché l’Ipa, « struttura dell’amministrazione capitolina anche se atipica», nata con un atto unilaterale del governatorato il 20 maggio del 1940, è stata creata con lo scopo di svolgere attività assistenziale, attuare provvidenze economiche e trattare concessioni di prestiti a tutti gli iscritti. Un istituto che è in realtà un’associazione di dipendenti romani, molti dei quali attivi nel mondo sindacale a vari livelli. Insomma, una «mutua previdenziale» rimasta intatta per settant’anni. Alla fine, così tipicamente italiana.
Brunella Bolloli, Libero 28/8/2014