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 2014  agosto 28 Giovedì calendario

CHI VUOLE CAMBIARE LA CAPITALE

Si vedrà presto se l’idea di Cristine Kirchner di trasferire la capitale da Buenos Aires a Santiago del Estero è un’idea tendenza Kubitschek o tendenza Bossi. Kubitschek, inteso Juscelino, è il presidente brasiliano che sessant’anni fa pianificò la costruzione di Brasilia per farne la nuova capitale, cosa che avvenne nel 1960.
Lo fece perché Rio de Janeiro era troppo grande, troppo a Sud, e finiva con l’occuparsi soltanto del circondario; Brasilia, invece, fu edificata più o meno nel centro del Paese perché fosse anzitutto geograficamente preannunciata equidistanza (o equivicinanza). Bossi, il nostro Umberto, con la stupefacente e caritatevole collaborazione degli avversari, propose un paio di volte di chiudere Roma e aprire Milano, ma lo faceva col medesimo spirito con cui progettava monete ed eserciti padani, installava un dopolavoristico parlamento a Mantova oppure studiava una magistratura subalpina. Lo scopo, dare un po’ di fuoco a progetti autonomistici annacquati, lo spingeva a sognare la capitale a Venezia, se si trovava da quelle parti, e l’indignazione di destra e sinistra contribuiva allo scopo. Passare dalla propaganda alla pratica è un affaraccio, e lo dimostrò l’inaugurazione di un paio di filiali di ministero a Monza, poi chiuse in un pietoso silenzio.
Prima delle piazzate leghiste ci fu l’oscuro burocratismo pentapartitico con l’orrendo acronimo Sdo che sta per l’ancora più orrendo (lessicalmente) sistema direzionale orientale, cioè il progetto di decongestionare Roma traslocando governo e parlamento all’Eur. Purtroppo non se ne fece nulla: tutto venne giù insieme con la fine della Prima repubblica. E comunque non sarebbe stato un vero trasferimento di capitale, faccenda sempre troppo complicata - per ragioni tecniche, economiche, di campanile, storiche, affettive - perché avvenga con frequenza. Dall’inizio del Novecento a oggi, in Europa è successo soltanto in Germania che, come tutti sanno, dopo la Seconda guerra mondiale venne divisa in due, proprio come la capitale, Berlino, che però era sul territorio della Germania Est; la capitale occidentale diventò Bonn e con la riunificazione di nuovo Berlino. La Prima guerra mondiale contribuì invece, col dissolvimento dell’Impero ottomano, alla scelta della capitale turca, Ankara, che era la sede del governo rivoluzionario di Ataturk. Oggi siamo alle prese con motivi più vaporosi. Il Kazakistan, per esempio, ha una nuova capitale dal 1997: Astana. Lo decise il presidente Nursultan Nazarbaev, uno che vince le elezioni con percentuali che vanno dal novanta al novantacinque, e talvolta anche i suoi avversari dichiarano di votare per lui. Astana fu scelta al posto di Almaty per motivi simili a quelli che muovono la Kirchner: sorge in posizione più strategica sebbene qualche malalingua sostenga che sarà più facile ribattezzare Astana, meno nobile di Almaty, e chiamarla Nursultan il lontano giorno in cui Nazarbaev passasse a miglior vita. Una cosa simile è successa in Birmania, dove il governo militare ha cambiato tutto: ha cambiato la capitale, e quella nuova Naypyidaw, e ha cambiato pure il nome della capitale vecchia, che a scuola imparammo colme Rangon e adesso è Yangon.
Ecco, si è dovuto fare mezzo giro del mondo per trovare qualcosa di poco più che vaporoso. Perché di discussioni aeree se ne fanno ovunque: si pensa di cambiare la capitale cinese per salvare Pechino dallo smog, si pensa di cambiare quella thailandese perché Bangkok gira e rigira è travolta dalle alluvioni, si pensa di cambiare quella iraniana perché Teheran è zona ad alto rischio sismico. E si è anche pensato di cambiare quella russa, lo propose il governatore della regione di Mosca: impiantiamo la capitale in Siberia per favorire lo sviluppo di quelle remote lande. Il dibattito è stato piuttosto breve e si è concluso in modo che potremmo tradurre così: ma vacci tu...
Mattia Feltri, La Stampa 28/8/2014