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 2014  agosto 28 Giovedì calendario

IL CLUB DOVE I RICCHI DIVENTANO PIU’ RICCHI

Giovedì 14 agosto le azioni di classe A della Berkshire Hathaway, il tentacolare gruppo finanziario di Warren Buffett, hanno oltrepassato l’ennesima barriera del suono nel cielo di Wall Street: hanno sfondato il valore di 200 mila dollari, affermandosi con schiacciante potenza come il titolo più caro della storia. Una singola azione del gruppo costa più del valore medio di una casa americana venduta nel 2014 (secondo l’associazione nazionale
degli agenti immobiliari, il valore medio di un immobile è 188.900 dollari).
Con meno di cinque azioni Buffett e soci possono ripagare la multa comminata di recente dal dipartimento di Giustizia per non avere notificato tempestivamente alla commissione antitrust una transazione che ha fatto schizzare il titolo del gruppo di costruzioni Usg. La multa è di 896 mila dollari, l’equivalente di quello che la compagnia guadagna in mezz’ora.
Quando il titolo ha passato questa soglia psicologica, Buffett ha visto il suo patrimonio personale crescere istantaneamente di 667 milioni di dollari, arrivando a un totale di 67 miliardi. Un passo del terzo uomo più ricco verso i primi due, il messicano Carlos Slim e il suo vecchio amico Bill Gates, altro grande investitore nella macchina da soldi dell’oracolo di Omaha.
Le azioni privilegiate di Berkshire avevano superato la soglia dei 100 mila dollari nell’autunno del 2006, il che significa che in poco meno di otto anni il prezzo ha messo a segno una crescita del 104 per cento. Nello stesso periodo l’indice S&P 500 è salito del 43 per cento.
Buffett viaggia a velocità doppia rispetto al resto del mercato. Il finanziere e il suo «partner», come lo chiama lui, Charlie Munger hanno deciso molto tempo fa di non permettere nessuno split ai proprietari di azioni di classe A, la cui quotazione astronomica ha l’effetto di dissuadere gli investitori che cercano ampio profitto a breve termine e incoraggiare chi invece persegue buoni margini nel lungo periodo. Soci che venerano Buffett e che a migliala
partecipano ogni anno, ai primi di maggio, al meeting che la società organizza a Omaha, nel Nebraska, città natale di Warren, tra conferenze, picnic, gare al lancio del giornale e lezioni di finanza.
Che il titolo abbia raggiunto queste cifre stellari è soltanto la conseguenza della filosofia d’investimento a cui Buffett è rimasto sempre fedele, basata sulle premesse del «value investing». Il segreto di Buffett, se così lo si vuole chiamare, «non è investire su compagnie decenti che costano poco, ma su ottime compagnie che costano meno di quel che valgono», e per quantificare la differenza fra valore e prezzo, in cui s’annidano enormi margini di profitto, serve preparazione, modelli, intricatissimi calcoli finanziari, ma anche istinto, fiuto, lampo di genio, caratteristiche che non si possono riprodurre tanto facilmente.
Se lo chiamano «l’Oracolo», un motivo ci sarà. Il miliardario-filantropo che ha promesso di dare in beneficenza il 9 per cento dei suoi beni, ha costruito questo ennesimo successo seguendo l’antico criterio dell’investimento sul valore intrinseco di un titolo, scommettendo su aziende e beni di cui si può prevedere la crescita «da qui a dieci anni». Non investe sulle aziende della Silicon Valley, troppo aleatorie e imprevedibili, e coltiva il massimo disprezzo per quelle che si quotano in borsa a prezzi che superano enormemente il loro valore reale. Predilige a tal punto i beni tradizionali che preferisce investire sui giornali di carta, lui che ne legge cinque ogni mattina, e non sui social network.
E i numeri gli danno ragione. Nell’ultima lettera agli azionisti di Berkshire, Buffett usa come esempio di investimento virtuoso un immobile di Manhattan che ha comprato decenni fa, e che ora rende in affitto ogni anno un terzo del prezzo originale. Come ha capito che sarebbe stato un investimento redditizio? Semplice, la proprietà era adiacente alla New York University, «che a occhio non si sarebbe trasferita da nessun’altra parte».
Sono quattro gli investimenti che hanno reso Berkshire un colosso ineguagliato della finanza mondiale: Coca-Cola, Welis Fargo, American Express e Ibm. Buffett ci ha messo gli occhi quando erano già gruppi affermati. Berkshire è un consolidatore di valore, non un «angel investor» che cerca di intercettare le aziende del futuro quando sono ancora nel garage o nel dormitorio di qualche nerd geniale. Gli analisti finanziari trovano difficile coniare una definizione che inquadri il business del gruppo, che con 59 sussidiarie controllate per intero è leader nel trasporto ferroviario americano (Bnsf), nella biancheria intima maschile (Fruit of the Loom), nelle assicurazioni auto (Geico), nel noleggio di jet privati (NetJets), nelle costruzioni, nei prodotti di lusso, nei media e in altri settori che non c’entrano nulla l’uno con l’altro.
La diversificazione del portfolio, del resto, è uno dei pilastri della filosofia di Buffett. Un altro prevede di tenere sempre una riserva di liquidità disponibile, perché l’investimento della vita arriva quando meno te lo aspetti, e non è il caso di farsi trovare impreparati. È così che si crea un mastodonte che vale quanto il Pil della Danimarca, oltre 325 miliardi di dollari.
L’esplosione delle azioni classe A è anche il risultato di investimenti fatti su Goldman Sachs, General Electric e Bank of America quando, dopo il collasso finanziario del 2008, i titoli sono crollati. «Quando il mercato è giù, bisogna comprare» ha scritto agli investitori, con il suo stile diretto e senza tracce di gergo finanziario, nella lettera pubblicata pochi mesi dopo il grande crack. Berkshire lo ha fatto, e ora raccoglie i frutti di una crisi molto redditizia. Buffett può così concentrarsi sulla pianificazione del futuro del management di Berkshire, questione che da anni è al centro delle divinazioni della comunità finanziaria. Ha annunciato che un nuovo amministratore delegato per la sua successione è già stato scelto, ma il nome è ancora segreto, e sarà affiancato da tre o quattro investitori, responsabili di una quota ingente del portfolio di Berkshire.
L’assetto post Buffett è la conversazione calda di tutte le edizioni del festival degli investitori a Omaha mentre lui si occupa di intrattenersi con vecchi amici e di sfidare Gates, come ha fatto nell’ultima edizione, al lancio del giornale sulla soglia di casa. Un tributo al mestiere del «paper boy» con cui Buffett ha iniziato la sua carriera.