Giusi Fasano, Corriere della Sera 28/8/2014, 28 agosto 2014
FRANCO COPPI: «LA GAFFE CON GIULIO, DISSI: NON MI BACI»
«Un giorno di tanti fa mi dicono che un boss della malavita vuole conoscermi. Vado in carcere e quel tizio mi accoglie così: “Mi hanno detto che lei è professore e che nella mia difesa ci vuole un professore, e vabbe’! Ma io voglio sapere: lei sa parlare?”. Ecco. Ho imparato in quel momento la differenza fra professore e avvocato».
Seduto a chiacchierare in terrazza, accanto a sua moglie Anna Maria e di fronte a sua sorella Cilli, Franco Coppi — classe 1938 — stavolta non è avvocato né professore. Fa il padrone di casa, semplicemente. Versa nei calici il Cristal, champagne che la maison Louis Roederer creò a fine Ottocento per lo zar di Russia; offre gli stuzzichini al formaggio, racconta delle sue tre figlie e dei suoi cinque nipoti; dice che sua moglie ha «la vocazione della chioccia»; presenta le piante come fossero vecchie amiche: un ulivo, un arancio, le gardenie, le rose, il rosmarino, le aromatiche... e indaga nei ricordi di quand’era bambino, in Libia. «Mio padre era un dirigente Fiat finito laggiù per cercare petrolio — dice —, così io e mia sorella siamo nati a Tripoli. Scappammo che avevo quattro anni, mi tornano in mente flash di magazzini in fiamme, della carlinga di un aereo militare che ci portava in salvo. Mi sono sempre detto “ci torno prima o poi” e invece non l’ho mai fatto».
Pausa champagne.
E allora? La domanda si affaccia fra il tavolino e il divanetto color bianco-avorio. Berlusconi le ha già fatto un monumento nel giardino di Arcore? Lui sorride divertito. «Non esageriamo. La gente pensa che io sia tornato a Roma saltando di gioia ma giuro che per me la sua assoluzione è sempre stata l’ipotesi tecnicamente più ragionevole. Non è stata una di quelle sentenze in cui pensi di aver fatto miracoli».
I paninetti al latte e ai cereali irrompono sulla scena. Si passa all’argomento Andreotti mentre Anna Maria presenta il suo cocktail di gamberetti in salsa rosa appena piccante (delizioso) e Cilli (abbreviazione di Cecilia) porta in tavola una ribolla gialla Sirch 2012 da servire assieme all’assoluzione dell’uomo simbolo della Dc. La macchina dei ricordi è in moto. Una volta io e Andreotti rimanemmo bloccati in un ascensore piccolissimo — racconta Coppi —. Eravamo stretti stretti ed era il periodo in cui si discuteva del suo bacio con Totò Riina. Lui si voltò verso di me e chiese: «e adesso che facciamo?». E a me venne spontanea una battutona. Dissi: “beh presidente, tutto ciò che vuole tranne che baciarci”. Non so nemmeno descrivere il modo in cui mi guardò...».
Ripensando a quei tempi c’è qualcosa rimasto in sospeso, rivela Coppi. Un segreto custodito finora. «E siccome è una cosa che riguarda il giudice Borsellino vorrei raccontarla a suo figlio. Mi piacerebbe molto incontrarlo».
Sono passati molti anni, da allora. Anni affollati, come direbbe Giorgio Gaber. I fascicoli accumulati nello studio Coppi raccontano vecchi scandali come il caso Lockheed o il golpe Borghese, riassumono storie di persone come Gianni De Gennaro, Niccolò Pollari, Antonio Fazio... E poi la ThyssenKrupp, l’Ilva di Taranto... Tutti a volerlo nella difesa e lui non si è negato quasi mai. È diventato il principe dei cassazionisti eppure giura che la sua preferita è la Corte d’Assise: «Vuoi mettere un bel processo per omicidio... lì c’è materia umana, ci metti il cuore».
E, a proposito di cuore, «la mia ferita più grande è Sabrina Misseri», confida (condanna all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana). «È innocente, ne sono più che sicuro» è categorico lui. «Io ci sto morendo per quella ragazza».
La domanda «Avete mai avuto dei cani?» spalanca la porta della memoria. Anna Maria e Cilli tessono le lodi di Bruce, ultimo ospite a quattro zampe della famiglia. Intanto in tavola arriva un’orata al forno con salsa di capperi, olive, rosmarino e salvia. «L’ho battezzata orata alla calabrese» annuncia la signora Coppi. Che condisce un’insalatina verde e annuisce sentendo il marito parlare di Bruce. «Quand’è morto volevamo prenderne un altro — rivela lui —, poi mia moglie ha detto “siamo anziani, stavolta potremmo morire prima noi del cane”. Non mi piace molto l’idea di guardare il mio cane e pensare: muori prima tu o prima io? Quindi siamo ancora senza».
Docente di diritto penale dal 1968 (a Teramo) fino a tre anni fa (alla Sapienza di Roma), Coppi riceve ancora messaggi di suoi vecchi studenti: «Dopo la sentenza di Berlusconi uno di loro mi ha scritto una lettera bellissima senza firmarsi. Non so che darei per sapere chi è».
Un’invitante ciambella di fragole compare sul tavolo come per magia accanto ai superalcolici. Il professore sorseggia grappa e parla di diritto: «In un Paese civile nessuno dovrebbe andare in carcere per il rischio di inquinamento delle prove. O le hai inquinate o le stai inquinando. Sennò è troppo facile paventare rischi per mandare la gente dentro». La conclusione la prende in prestito dal giurista Giacomo Delitala: «Diceva: l’Italia è la culla del diritto, peccato che a forza di stare in culla si sia addormentata».