Pio Pompa, Il Tempo 28/8/2014, 28 agosto 2014
ANCHE L’ISIS HA IL SUO IDEOLOGO. CON IL CALIFFO C’È SETMARIAN
Anche di fronte all’insistenza con la quale Obama continua a sottolineare che non intende schierare truppe a terra per contrastare il Califfato di Abu Bakr al Baghdadi, sembra proprio che non siano stati colti appieno i termini e la portata dell’offensiva lanciata in Siria e Iraq dallo Stato islamico. Né rassicurano, in assenza di iniziative immediate e concrete, le affermazioni sull’estrema pericolosità della new age, terroristica e dell’orrore, introdotta dall’Isis divenuto ormai un punto di riferimento globale per il network jihadista. C’è ancora chi si illude che le cose possano rientrare nei vecchi schemi, in fondo l’11 settembre è passato, gli americani si sono ritirati dall’Iraq e si accingono a farlo anche in Afghanistan e, dunque, prima o poi si concluderà anche questa storia del Califfato, sperando in una miracolistica palingenesi della situazione.
Ma sappiamo che non sarà così. C’è un intero esercito di mujaheddin che combatte esercitando un’attrattiva irresistibile sulle nuove generazioni islamiste. Un esercito vincente, ben armato, con un capo militare carismatico divenuto, sui social media e nei cuori dei suoi seguaci, l’idolo da amare e rispettare anche a costo della vita. Sennonché al Baghdadi rappresenta nient’altro che un capace e astuto «condottiero» di uomini. Secondo alcune fonti d’intelligence arabe, nessuno dei massimi leader dello Stato islamico si trova in Siria o Iraq: «Da nostre informazioni ci risulta che i vertici di Isis, i suoi strateghi e ideologi, siano nascosti in appartamenti sicuri a Londra e, a Doha, nel Qatar. Tra essi l’uomo che riteniamo possa essere il vero capo operativo dello Stato islamico porta il nome, tra l’altro assai noto ai servizi di mezzo mondo, di Abd al Qadir Setmariam (alias Abu Musab al Suri, Umar Abd al Hakim)».
Nato il 26 ottobre 1956 ad Aleppo, in Siria, dove frequenta per quattro anni il Dipartimento di ingegneria meccanica della locale università, entra a far parte della Fratellanza musulmana siriana e dopo varie vicissitudini fugge dal paese, soggiornando lungamente in Iraq e Giordania, per successivamente approdare prima in Francia e poi in Spagna. Qui ottiene la cittadinanza spagnola e contrae matrimonio con una cittadina di quel paese, Elena Moreno, convertitasi all’islam. In Spagna mantiene per dieci anni la sua residenza mentre viaggia in diversi paesi europei, compresa l’Italia, fino a divenire un fedelissimo di Osama bin Laden scalando i vertici di al Qaida. Da qui il molto tempo trascorso in Afghanistan e Pakistan dove viene arrestato nell’ottobre del 2005 e consegnato alle autorità siriane che lo ricercavano attivamente. Nonostante fosse in stato di detenzione, la sua fama di stratega del jihad più moderno e avanzato continuò a crescere, quasi a divenire un leggenda, tra le nuove generazioni di Jihadisti.
Affiancato allo psichiatra maghrebino, Habu Hafiza, ritenuto l’ispiratore degli attentati di Madrid e Londra, partecipò alla stesura di vari testi sulle migliori modalità attuative del jihad e sulla necessità di sfruttare i mezzi mediatici, per terrorizzare l’Occidente, ritenendoli più efficaci delle armi stesse per indebolire e riempire d’orrore il nemico. Divenne anche il riferimento di Abu Musab al Zarqawi, ucciso dalle forze americane nella città irachena di Hibhid nel giugno del 2006, capo assoluto della rete qaidista irachena da dove trae origine Isis, condividendone le riserve mostrate nei confronti dei vertici di al Qaida ritenuti lontani dal campo di battaglia e dalla prospettiva di creare, nelle Terra tra i due fiumi, un Califfato. Setmariam rimane chiuso nelle carceri di Damasco fino alla sua evasione avvenuta, in piena crisi siriana, nel gennaio del 2012. Altre fonti d’intelligence raccontano che furono i servizi di Damasco e iraniani a concertare, in quel periodo, la fuga dalle prigioni siriane di almeno 230 qaidisti, tra cui in primis lo stesso Setmarian Nasar, puntando da subito ad usare l’argomento della lotta al terrorismo nei confronti degli Usa e dei loro alleati per giustificare l’operato del presidente siriano, Bashar el Assad. Anche l’Iran contribuì direttamente ad una simile strategia consentendo l’espatrio ad almeno 32 membri di spicco di al Qaida cui aveva concesso incomprensibilmente asilo. Da ultimo Thirwat Shihata, ritenuto un terrorista estremamente pericoloso, che dopo un breve soggiorno in Libia, ora si troverebbe in Iraq tra le fila dello Stato islamico. «Dopo la sua evasione - continuano le nostre fonti - Setmariam prende immediatamente contatto con gli esponenti di spicco di Isis, tra cui l’ancora poco noto Abu Bakr al Baghdadi, per valutare le forze a disposizione ed operare alcune scelte tattiche e strategiche. Come avvenne a suo tempo con Zarqawi, egli si ritrova ancora una volta nel bel mezzo di uno scontro, tra l’attuale capo di al Qaida, Ayman al Zawahiri, e l’emergente al Baghdadi, che termina con una netta rottura tra le due organizzazioni. Questa volta Setmariam sceglie la via dello Stato islamico e del Califfato partendo per il Qatar da dove ora dirige insieme ad altri, tutti supportati dalle autorità di Doha, il comando unificato di Isis.
A Londra risiedono invece i «diplomatici» dello Stato islamico che mantengono in piedi le operazioni di proselitismo e raccolta di finanziamenti in Europa e negli Stati Uniti». Vengono chiamati «diplomatici» giacché a loro viene concesso non solo di praticare la «taqiya» (dissimulazione), ma di pronunciarsi addirittura contro il terrorismo islamico, il jihad e ogni altra forma di attacco nei confronti del Paese di cui sono cittadini a tutti gli effetti. Ecco perché sorridono della nostra compiacenza e del fatto che imputiamo la rottura tra al Qaida e lo Stato islamico alla estrema crudeltà di quest’ultimo come se le migliaia di morti provocati da quell’organizzazione non ci fossero bastati.