Leonardi Piccini, Libero 27/8/2014, 27 agosto 2014
CONTRACTORS A DIFESA DELLE AZIENDE. MA IN ITALIA È TABÙ
[Intervista a Carlo Biffani] –
La guerra civile in Libia, e i massacri in Siria e in Iraq ad opera degli islamisti dell’Isis, stanno spingendo molti Paesi ad adottare misure di sicurezza senza precedenti. Nel Regno Unito si è aperto nei giorni scorsi un dibattito politico sulla necessità di assoldare almeno 1.500 specialisti provenienti dalle cosiddette PM/SC (le Private Military and Security Company), per garantire sicurezza e protezione al personale delle grandi multinazionali del petrolio, alle sedi diplomatiche e anche a cooperanti, imprenditori e giornalisti. Come in tutte le guerre, si stanno aprendo opportunità di lavoro per le società di contractors, visto che perfino l’Onu è costretto ad avvalersene. Solo nel nostro Paese l’argomento rimane tabù, anche se grosse compagnie nazionali come l’Eni ricorsero a società inglesi, americane o locali per garantire la propria sicurezza. Un’assurdità, visto che i nostri specialisti, ex militari provenienti dai corpi d’elite di Esercito, Carabinieri e Marina, sono considerati tra i migliori al mondo. I guadagni dei security contractor variano in base a esperienza, tipo d’impiego e grado di rischio: si va da un minimo di 300 a 1500 dollari al giorno. Attualmente, tra Siria e Iraq, operano contractors di almeno trenta Paesi diversi.
Ne abbiamo parlato con Carlo Biffani, esperto di strategia e sicurezza. E dunque, è vero che grosse compagnie italiane come l’Eni ricorrono sempre più spesso a personale straniero per garantire la propria sicurezza?
«Sì. La nostra compagnia petrolifera si affida a security contractors di una società leader del settore e il ministero degli Esteri, negli anni scorsi, ha sottoscritto un contratto con la società inglese Aegis, che è poi la stessa che supporta l’Eni in Iraq. È singolare che gli italiani siano gli unici in Europa ad affidarsi a compagnie straniere».
Difficile immaginare francesi e inglesi operare così...
«Ha ragione, e sa perché? Perché i governi di questi Paesi non affiderebbero mai il proprio personale diplomatico o i propri manager a specialisti stranieri e troverebbero perfino inopportuno far ascoltare loro discussioni, telefonate e comunicazioni sensibili a personale di diversa nazionalità».
E perché noi italiani dobbiamo agire in modo diverso?
«Perché i nostri governi non hanno mai preso seriamente in considerazione i vantaggi che deriverebbero dal disciplinare il settore delle compagnie di sicurezza private. In Inghilterra e negli Usa esistono società di sicurezza che lavorano a braccetto con grandi gruppi industriali e assicurativi, strutturate con centinaia di uffici in tutto il mondo. Agiscono in modo trasparente, hanno bilanci pubblici e sono perfino quotate in Borsa. Basterebbe lavorare a qualcosa che consenta di agire al di fuori di quanto previsto dal Testo Unico di Pubblica Sicurezza, che sarebbe inapplicabile in territorio straniero, per ricollocare in un sol colpo centinaia di ex militari, e ridurre al contempo il rischio di sequestro di nostri connazionali impegnati in zone pericolose. Ma ci sarebbe poi un ultimo, grande vantaggio».
Quale?
«Pensiamo alla quantità di informazioni che in caso di necessità potrebbero giungere agli apparati di sicurezza del nostro Paese, grazie a una rete di raccolta dei dati distribuita capillarmente su un dato territorio: in Inghilterra, l’intelligence non ha tanti agenti sul terreno, ma sa che in caso di necessità può contare sulla raccolta di dati sensibili provenienti da società private che impiegano un numero impressionante di collaboratori,nella stragrande maggioranza dei casi ex militari. Senza dubbio un grande vantaggio in senso strategico».
Leonardi Piccini, Libero 27/8/2014