M. MOL., La Stampa 27/8/2014, 27 agosto 2014
LA RIVINCITA DI ABU MAZEN PRENDE IL CONTROLLO DI RAFAH E PUÒ FRENARE GLI ISLAMISTI
È il ritorno sulla scena di Abu Mazen a segnare la fine di 50 giorni di combattimenti fra Hamas e Israele nella Striscia di Gaza. È il presidente palestinese ad annunciare, dalla Muqata di Ramallah, la tregua raggiunta al Cairo perché la delegazione di Hamas che in Egitto ha negoziato indirettamente con Israele era guidata da un suo fedelissimo, Azzam al Ahmad. È un aspetto formale dal forte valore politico: Hamas e Israele hanno concordato che saranno le forze di Abu Mazen a presidiare il valico di Rafah, maggiore accesso commerciale di Gaza al mondo arabo. Ciò significa il ritorno dei militari di Al Fatah a Gaza per la prima volta dopo l’espulsione nel 2007 - a seguito del colpo di mano di Hamas - con la prospettiva di assumere il controllo di tutti i confini della Striscia, con l’Egitto e con Israele.
Per Il Cairo e Gerusalemme ciò significa l’inizio del possibile disarmo di Hamas mentre per Hamas ciò implica il debutto concreto dell’attività del governo di unità nazionale palestinese, destinato a far ricevere i salari a 40 mila dipendenti pubblici da quasi un anno rimasti senza entrate. È la strettoia che ha trasformato Abu Mazen nel protagonista della tregua, come lui stesso ha evidenziato nel discorso tv ringraziando il Qatar ed il Segretario di Stato John Kerry ovvero i due partner internazionali con cui - Egitto a parte - più ha trattato. Resta da vedere come sfrutterà ora Abu Mazen la ribalta frutto della tregua a Gaza.
Parlando da Ramallah ha detto «ora bisogna chiederci cosa avverrà nel prossimo futuro per evitare un quarto conflitto fra Israele e Hamas» ed una indicazione su cosa ha in mente viene da Yasser Adeb Rabbo, suo stretto collaboratore e membro del comitato esecutivo dell’Olp, che preannuncia un’«iniziativa internazionale di Abu Mazen per porre fine al conflitto fra Israele e palestinesi». «L’era della spola diplomatica di John Kerry è finita come è terminata la stagione di negoziati sotto l’egida di una sola nazione», aggiunge Rabbo, sottolineando che Abu Mazen è intenzionato a «chiedere alle potenze mondiali e alle Nazioni Unite di assumersi la responsabilità di porre termine al conflitto». Ciò significa investire anche Russia, Cina ed Europa del compito di mediatori finora gestito in solitudine dagli Stati Uniti, cambiando radicalmente la cornice del negoziato con Israele.
In attesa di conoscere i dettagli della proposta di Abu Mazen - che potrebbe essere svelata entro una settimana - il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è detto favorevole a «riprendere i negoziati con l’Autorità nazionale palestinese» e ciò lascia intendere che uno spiraglio diplomatico esiste. Ma per Abu Mazen si tratta di un percorso tutto in salita: assumendosi la responsabilità della sicurezza al valico di Gaza diventa de facto l’argine al riarmo di Hamas, rischiando forti tensioni con i leader reduci dalla «vittoria militare» celebrata nelle piazze della Striscia così come puntando sull’Onu anziché sugli Stati Uniti apre uno scenario diplomatico basato sulla minaccia di denunciare Israele alla Corte penale internazionale e destinato dunque ad aumentare le resistenze di Netanyahu. Senza contare che il premier israeliano rischia una crisi politica interna e i reparti di Al Fatah nella Striscia dovranno vedersela anche con i gruppi salafiti pro-Isis, determinati a imporsi a Gaza.
M. MOL., La Stampa 27/8/2014