Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  agosto 27 Mercoledì calendario

LA STAFFETTA TRA FED-BCE FA DECOLLARE LE BORSE A WALL STREET È RECORD BTP SOTTO I BOND INGLESI

NEW YORK.
Lo chiamano “effetto Draghi” anche a Wall Street. Lo festeggiano le Borse con nuovi record, e soprattutto il mercato dei bond con i minimi assoluti nei rendimenti dei titoli europei. L’euforia dei mercati è generale, anche se esprime due realtà diverse: da una parte la ripresa (squilibrata) negli Stati Uniti; dall’altra la continua recessione europea, alla quale finalmente la Bce sembra voler dare una risposta “americana”. Sul mercato azionario il record più simbolico è la quota 2.000 dell’indice S&P 500, molto più rappresentativo del Dow Jones. Dai minimi “infernali” del 9 marzo 2009 (il sinistro livello di 666,6 punti) questo indice ha guadagnato il 200%, che sale al 230% se s’includono i dividendi versati agli azionisti dalle società quotate. Per una volta finanza ed economia reale procedono in sintonia visto che il Toro della Borsa americana coincide con la durata della ripresa economica.
Ma Wall Street non sarebbe salita così in alto senza una “droga monetaria”: la politica del cosiddetto quantitative easing con cui la Federal Reserve ha versato 4.400 miliardi di dollari di nuova liquidità sui mercati acquistando bond. Ora le Borse del mondo intero vedono apparire all’orizzonte un altro benefattore nella persona di Mario Draghi. Proprio mentre la Fed si accinge a terminare del tutto le sue operazioni di acquisto di bond, purtuttavia mantenendo una politica monetaria espansiva (tasso zero fino al 2015), ecco che la Bce può fare da staffetta. E’ questa l’interpretazione che gli investitori danno delle parole pronunciate da Draghi al raduno dei banchieri centrali di Jackson Hole venerdì scorso: una politica monetaria più accomodante, e anche un po’ più di flessibilità nelle politiche di bilancio, “in cambio” delle riforme strutturali.
Visto che all’orizzonte si scorge un allentamento monetario nell’eurozona, e una politica finalmente simil-americana, le conseguenze sono le stesse che hanno beneficiato i mercati finanziari Usa da cinque anni: tassi minimi e moneta debole. I bond tedeschi biennali negli ultimi due giorni hanno oscillato tra meno 0,04% e meno 0,01% comunque sempre un rendimento negativo: è tipico di uno stato patologico di deflazione, il fatto che gli investitori paghino lo Stato per prestargli dei soldi, in quanto si attendono che domani quei soldi varranno più di oggi (visto il calo dei prezzi); si attendono anche che i rendimenti scendano ancora, alzando il valore capitale dei bond pre-esistenti. L’Italia ne trae vantaggio per la sua parte: nuovo minimo storico per i Ctz a 0,326% e oggi probabilmente per il Bot semestrale a 0,10%. In quanto al Btp decennale italiano, il rendimento del 2,42% scende sotto quello inglese e si avvicina a quello americano. Guai a scambiarli per segnali di buona salute, anzi sono la conferma che l’euro-paziente è comatoso.
Però il soccorso monetario è benvenuto. Basti pensare che uno degli elementi della ripresa americana si conferma il boom dell’export e degli ordini durevoli: vedi il dato di ieri sulle vendite dell’industria aeronautica. Con un euro che è sceso a 1,31 sul dollaro, dai massimi di 1,50 raggiunti pochi mesi fa, una partita come quella che oppone Boeing ad Airbus si fa un po’ più equilibrata in favore dell’export europeo. E questo vale a maggior ragione per tante aziende italiane medio-piccole che hanno sofferto l’euro forte sui mercati globali.
Proprio l’esempio americano, però, insegna che la politica monetaria non riesce a curare tutti i mali dell’economia. Perché Janet Yellen, la presidente della Fed, continua la sua politica del tasso zero e probabilmente lo farà fino a metà del 2015, nonostante che la crescita Usa duri ormai da 61 mesi? Perché questa crescita non sta migliorando abbastanza il mercato del lavoro, preoccu- numero uno della banchiera centrale americana. “Capitalismo ricco, lavoratori e Stato poveri”: così si potrebbe riassumere la fisionomia di questa ripresa. Le grandi aziende quotate in Borsa che hanno sospinto ai nuovi record gli indici, sono campionesse nel taglio dei costi (leggi: salari). E anche nell’elusione fiscale: una piaga che dopo Apple e Google ha reclutato anche Bruger King. I profitti sono ai massimi, ma i redditi delle famiglie ristagnano, e le tasse sugli utili societari si vanno a pagare (in misura minima) dal Canada all’Irlanda, ovunque le aliquote siano di volta in volta le più attraenti.
Quando la Bce finalmente seguirà le orme della Fed, non basterà questo a cambiare in modo netto le sorti dei disoccupati europei. E’ significativo che perfino il Financial Times spenda un commento in favore dell’ex ministro dell’Economia francese, Arnaud Montebourg, appena cacciato da François Hollande perché troppo radicale. Il Financial Times dà atto a Montebourg di avere denunciato il carattere “spietato” dell’austerity europea. E ricorda il passaggio di Draghi a Jackson Hole dove il presidente della Bce auspicava un aumento di spesa pubblica almeno in Germania: un motore della ripresa che tuttora manca all’appello.
Federico Rampini, la Repubblica 27/8/2014