Viviana Mazza, Corriere della Sera 27/8/2014, 27 agosto 2014
ERICA JONG: «IL MATRIMONIO? ORA LO SO: È PREZIOSO»
Al volante di un fuoristrada nero, Erica Jong aspetta davanti alla stazione di Westport, Connecticut. C’è una coperta sul sedile posteriore per evitare che, quando i cani saltano a bordo, lo coprano di peli. Poco dopo, Ken arriva puntuale in treno da Manhattan, con il Times , il Post e il Daily News sotto il braccio e, a tracolla, una borsa che gli curva la schiena. Lei gli cede il posto alla guida. Lui imposta il navigatore per trovare il ristorante Whelk. «Questa macchina è nuova, ci sta facendo impazzire» commenta Erica nell’elegante tubino nero e giallo.
Scene di una tranquilla vita di coppia in questa specie di colonia estiva dei newyorchesi. Ma quello che colpisce è quanto siano cambiate le cose da quando l’autrice di Paura di volare aprì il suo bestseller con la seguente massima: «Bigamia vuol dire un marito di troppo, monogamia pure».
Sono passati quarant’anni e, due settimane fa, Erica ha festeggiato le nozze d’argento. Venticinque anni con lo stesso uomo. «Non ci avrei creduto se me l’avessero detto» racconta infilzando i gamberetti fritti in salsa barbecue, inframmezzati da sedanini sottaceto. Proprio lei che sentenziò che «anche se si ama il proprio marito, arriva inevitabilmente il momento in cui scopare con lui è come mangiare un formaggino alla panna: riempie, ingrassa perfino, ma niente sapori eccitanti... e quello che si vuole invece è un pezzo di camembert stagionato» — adesso spizzica dal piatto di Ken le vongole con bacon, anch’esse in salsa barbecue. «Ho detto tante cose terribili sul matrimonio, ma ero giovane e cinica. Ora penso che la cosa più preziosa sia avere qualcuno che ti guarda le spalle». Lancia uno sguardo al marito, seduto al suo fianco sullo sfondo delle acque verdi e placide del Long Island Sound, il braccio di mare che separa Long Island dal Connecticut. «Penso che il matrimonio sia molto importante... se è quello giusto» conclude. Ma Ken puntualizza: «È importante anche se non è quello giusto. È così che mi guadagno da vivere». Fa l’avvocato ed è specializzato in divorzi difficili (etero e gay).
Venticinque anni fa, li ha presentati un’amica comune a New York. «Ma la storia interessante — interviene l’avvocato, sollevando prontamente lo sguardo dai cavatelli al nero di calamari — è come abbiamo deciso di sposarci. Ci frequentavamo da un paio di mesi, ma non avevo mai incontrato i genitori di Erica. Anche loro avevano una casa per i weekend qui in Connecticut e così un sabato sono venuti a trovarci. Ho conosciuto suo padre, uomo incantevole, e ho conosciuto sua madre. Più tardi, in auto su Riverside Avenue, ho detto a Erica: “Ti ho amato dal momento in cui ti ho incontrata, ma non capivo perché. Adesso so che hai bisogno di me».
Cos’era successo? «Sua madre non era la persona più gentile o incoraggiante — spiega lui —: era una donna intelligente e di talento...». «... Ma era gelosa di me» interviene Erica. «Era gelosa di Erica — continua Ken — e allora ho capito che c’era un posto per me: aveva bisogno di qualcuno che le desse un appoggio emotivo». «Insomma ero una povera profuga — lo stuzzica la scrittrice —. Tu hai sempre bisogno di qualcuno a cui badare». Lui ci pensa un attimo: «E Adrian Goodlove? — chiede, citando il protagonista della “scopata senza cerniera” tanto agognata dalla protagonista di Paura di volare — Era un po’ badante anche lui?». «Ma no» scuote la testa Erica, mentre arriva un piatto di capesante arrostite su un letto di... «Cosa sarà? Riso?».
Ma perché sposarsi? Dopotutto c’erano già passati tre volte ciascuno. È «decisamente all’antica» conviene Erica «ma è un rinforzo per restare insieme. Se non ci fossimo sposati, ci saremmo lasciati, poiché siamo entrambi impulsivi e abituati alla libertà». Adesso lei sta facendo gli ultimi ritocchi a Paura di morire : il romanzo più difficile da scrivere e da vivere che uscirà fra un anno. «Non è facile per una donna invecchiare, non sentirsi più attraente come una volta. Una volta avevo questa enorme energia...». «Ce l’hai ancora» la corregge Ken.
Alcuni anni fa, si era rifugiata a Firenze nella speranza di trovare la concentrazione per scrivere lontano dal marito, dalla figlia Molly (avuta da un precedente matrimonio) e dai tre adorati nipoti: Max di 11 anni, Bette e Darwin, di 6 e mezzo. Ma due giorni dopo è tornata: le mancava Ken. Ora la madre di Erica è morta. «È stato un conforto, perché il suo corpo non funzionava più. È come nel mito di Titone: una ninfa si innamorò di lui e gli donò l’immortalità, ma si dimenticò di donargli anche l’eterna giovinezza. Chi vuole vivere così, quando il corpo ti abbandona? I greci erano più avanti di noi, così come gli indù che credono che la morte non sia la fine di tutto, perché si passa da un corpo a un altro, si torna alla natura. Noi siamo così narcisisti e individualisti, ma se pensassimo alla continuità non saremmo così spaventati all’idea della morte. Comunque — aggiunge subito — questo libro sarà anche divertente. È la storia di una donna sposata che va in cerca di altri uomini per sentirsi giovane. Ma scopre che sono tutti pazzi, si rende conto che ha queste fantasie ma non corrispondono alla realtà. E capisce che ama suo marito».