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 2014  agosto 27 Mercoledì calendario

SARRI, IL CALCIO SI È FERMATO A EMPOLI

«Non vi è nulla di si­curo. Viviamo i giorni nuotando in un mare immenso. Nessuno può sape­re quale nave in­contrerà, in quale porto si separerà...». Parola di John Fante, lo scrittore preferito di Maurizio Sarri, il tecnico dell’Empoli neopromosso in Serie A.
Per tanto tempo Sarri “ha chiesto alla polve­re” dei campetti di periferia, e come il Bandi­ni fantiano, ha aspettato la primavera giusta, 2014, per unirsi alla “confraternita del Chian­ti”: quella Serie A dove nella suite alloggiano i vicini della Fiorentina. Il suo Empoli comin­cia ovviamente dai piani bassi, così come è stata la parabola del suo allenatore. Una lun­ga gavetta cominciata tra i dilettanti, nella sua Figline e dopo il “miracolo Sansovino” (la for­mazione di Monte San Savino, Arezzo) porta­to dall’Eccellenza alla vecchia C2 - Seconda di­visione - , è arrivato in serie B, con il Pescara. Tra i cadetti per la prima volta a 45 anni.
Ora, che a 55 si prepara per il gran ballo della massima serie viene da chiedergli: scusi Sar­ri, perché è arrivato così tardi? «Dipende sem­pre da dove parti. Io ho dovuto fare tutte le categorie e sicuramente, come tanti colleghi, ho pagato il fatto di non essere stato un gio­catore professionista». E poi, pare, hanno pe­sato «e non poco», i luoghi comuni e le eti­chette facili appiccicategli dalla stampa. «Per tanti, fino a ieri ero un allenatore “talebano”, un integralista. Non sono mediatico? Se mi defilo e non vado ospite ai programmi spor­tivi, è perché in tv tutto l’anno sento urlare trasmissioni che si occupano solo di calcio­mercato. Sembrano tutte repliche delle vendite di Telemarket. Inascoltabili...».
Parola di uno che di finanza se ne in­tende: infatti altro luogo comu­ne lo vuole ancora allenatore part-time che si divide tra il campo e il lavoro in banca.
«Per il calcio ho rinuncia­to all’incarico di direttore e a laurearmi in Economia. Rimpianti? No, magari con la maturità di adesso mi i­scriverei a Lettere o a Filosofia. I numeri mi sono serviti, ora vado alla ricerca di risposte e delle radici. Sono arrivato a Torricella Peligna (Chieti) per visitare la casa natale dei genitori di John Fante...».
Via anche la diceria sull’allenatore che quando va in panchina veste solo di nero per scaramanzia. «Storielle per riempire i vuoti in pagina. Come quella del “nuovo Cosmi” e di “mister 33 schemi” sulle palle inattive che nel tempo - sottolinea - sono diventati molti di più, anche perchè da quelli dipendono il 40-50% degli esiti delle partite».
Di nuovo c’è, che per via della capacità di in­cidere sulla maturazione dei giovani e per i tre pacchetti di sigarette che fuma al giorno, è sempre più facile accostarlo a Zdnek Ze­man. «Lo prendo come un complimento, si sta parlando di un grande. Zeman è il migliore nel costruire e rivitalizzare ambienti spenti». Due doti che Sarri ha affinato quanto il boe­mo, specie nell’ultimo biennio di Empoli, sto­rica fucina dalla quale sono usciti Ciccio Baia­no, Di Natale, Montella, Luca Toni, Diaman­ti, e l’elenco potrebbe diventare sterminato. «La logica dell’Empoli è sempre stata la stes­sa: crescere in casa talenti per lanciarli in or­bita. Nella mia rosa 13-14 calciatori proven­gono dal settore giovanile». La maggior parte è prodotto italiano, ma nel vivaio empolese sono cresciuti anche ragaz­zi stranieri: l’albanese Hysaj (difensore), Si­gnorelli centrocampista che è nato in Vene­zuela e il 24enne attaccante georgiano M­chedlidze. Con quest’ultimo Sarri ha un con­to aperto: «Ha dei mezzi incredibili che non ha espresso quasi mai, ma quest’anno ho de­ciso che mi voglio scontrare fortemente con lui, metterlo spalle al muro. Mchedlidze si de­ve prendere le sue responsabilità». È tempo di crescere per il georgiano, mentre è già matu­ro e pronto per altri lidi (è in prestito dalla Ju­ventus) il centrale difensivo Rugani, classe 1994. Un raggio di luce nel buio della scuola difensiva italiana. «Da quando sono venute meno le marcature a uomo, noi che eravamo il Paese dei difensori siamo diventati la terra di nessuno. Spesso noto carenze sulla tattica individuale. Ma i mali nascono dalla base, 2 -3 ore alla settimana di scuola calcio non si possono mica paragonare all’esercizio quoti­diano delle nostre vecchie maratone d’orato­rio... Oggi poi i ragazzi trascorrono giornate in­tere davanti al computer, così stiamo alle­vando generazioni di obesi con grandissime difficoltà motorie».
Eppure, altra leggenda, vuole Sarri costante­mente al computer per analizzare e rivedere le strategie tattiche. «Vero, ma considero il pc uno strumento di lavoro, mentre trovo aber­rante una vita spesa a star dietro ai social network che tolgono energia e concentrazio­ne, specie a un giovane che fa sport… Li ho vietati? No, io ai miei ragazzi lascio massima libertà, ma quando ci si allena, con me san­no che devono andare a mille all’ora. Chi gi­ra a 900 la domenica non gioca».
Cultura del lavoro ereditata da papà Ameri­go, 86enne ciclista che «ancora a fine carrie­do ra, Gastone Nencini (il vincitore del Tour de France del 1960) voleva portare a tutti i costi nella sua squadra». Umiltà e normalità, che gli arriva dalla strada e che lo fa vi­vere a riparo dai rumori molesti nell’oasi civile di Empoli. «Qui fac­ciamo gli allenamenti a “porte chiuse”, ma con i tifosi, dentro, as­sieme alla squadra. A Empoli se un ragazzino sbaglia due partite non dice niente nessuno e se Saponara torna…- si ferma e sorride sperando che torni sul serio in prestito - anche se con la maglia del Milan, si becca solo gli applausi del Carlo Castellani». Lo stadio in­titolato al bom­ber del­l’Empoli anni ’30, vittima del­l’Olocausto nei nel campo di ster­minio nazista di Mauthausen (l’11 ago­sto 1944). Anche questo è l’Empoli di Sarri: storia, umanità, fairplay e programmazione. Tutti principi che da oltre un ven­tennio incarna la gestione del patron Fabri­zio Corsi. «Alleno da abbastanza tempo per poter dire che Corsi rappresenta l’eccezione tra i presidenti di calcio. Quando parla di un giocatore lo fa con competenza da tecnico e con lo spirito schietto dell’appassionato».
Quella «passione viva e adolescente» che ad ogni allenamento il mister trasmette e coglie soprattutto negli occhi delle due “vecchie vol­pi” dell’attacco azzurro: i 35enni Tavano e Maccarone . «Come loro, anch’io quando va­a fare allenamento non dico mai ai miei: esco a lavorare. Provengo da una famiglia di operai e se sento parlare di “sacrifici” nel cal­cio, mi infiammo... Ma ormai questo è un mondo in cui le relazioni sono diventate di superficie, oltre che pericolose. Purtroppo la professionalità non è richiesta e quanto al me­rito, se il più ricco e il più forte del villaggio è diventato un procuratore (Raiola, ndr), allo­ra vuol dire che qualche molla nel giocattolo è saltata. Fino a ieri le risorse vere erano i Na­rio Cardini (il ds del suo Sansovino, ndr), uno che come me vive di “occhio e d’istinto”. Se Na­rio dice, “Ho visto un ragazzino che se lo pren­dete diventerà un gran giocatore”, va preso subito, ad occhi chiusi...».
Ad occhi aperti invece, Sarri va incontro al giorno del gran debutto: domenica 31 agosto, Udinese-Empoli. «L’obiettivo? In campo è ov­vio, la salvezza. Quello personale, pur sapen­do che si può sempre migliorare, forse l’ho già raggiunto. Ho fatto di una passione un lavo­ro, e ho imparato, anche sbagliando, che in questo sport, con lo studio e la ricerca puoi ar­rivare a 100, ma il 101 si dà con l’anima».