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 2014  agosto 27 Mercoledì calendario

SOLTANTO IL CAOS ORMAI GOVERNA LA LIBIA SPACCATA IN TRE

È una crisi politica senza possibilità di ritorno im­mediato quella in cui è precipitata la Libia in questi gior­ni. Il Paese appare profondamen­te dilaniato e se non risulta (an­cora) diviso geograficamente, lo è dal punto di vista istituzionale e militare: ha di fatto due Parla­menti, due governi e persino due eserciti. E poi c’è il “Califfato”, o per meglio dire l’“Emirato islamico”, proclamato a fine luglio dal grup­po fondamentalista Ansar al-Sha­ria. Il confronto si gioca ora a suon di attacchi e contrattacchi agli aero­porti – civili e militari – e agli altri centri nevralgici del Paese.
Cominciamo dalla spaccatura i­stituzionale. La crisi si è aperta quando il Congresso nazionale ge­nerale, il Parlamento che doveva ritenersi sciolto con le elezioni del 25 giugno, si è invece riconvocato la settimana scorsa a Tripoli e ha eletto, lunedì, un proprio premier, lanciando così una vera e propria sfida alla neo-eletta Assemblea che ha trovato sede a Tobruk, nel-l­’Est. Diventa difficile, in tale con­testo, non scorgere in orizzonte il vecchio spettro di una disintegra­zione del Paese nordafricano tra Tripolitania e Cirenaica secondo precise linee tribali e geografiche. La ex Assemblea parlamentare non ha mai riconosciuto quella nuova, chiamata Camera dei Rap­presentanti e dominata dalle for­ze liberali e federaliste. Alle ele­zioni del 2012 era­no arrivati primi i partiti dell’Allean­za delle forze na­zionali, ma secon­do era risultato il partito Giustizia e Costruzione, con­siderato espres­sione locale dei Fratelli musulma­ni. I deputati u­scenti asserivano che le elezioni del giugno scorso era­no state boicotta­te dalla maggioranza dei libici, e da allora hanno più volte tentato di riunirsi clandestinamente. A eleg­gere il professore universitario O­mar al-Hassi primo ministro (il quarto in pochi mesi) di un “go­verno di salvezza nazionale” sono stati comunque solo 70 dei 200 ex deputati. La reazione delle au­to-È rità di Tobruk non si è fatta ovvia­mente attendere, con l’altro capo di governo, Abdallah al-Thini, che ha definito «illegali la riunione e le decisioni» dell’Assemblea uscen­te. In precedenza, anche la Corte costituzionale aveva dichiarato nulle le decisioni del Cng. Nomi­nato premier nel marzo scorso al posto di Ali Zei­dan, l’allora mini­stro della Difesa Thini aveva rasse­gnato le dimissio­ni in aprile. La sua casa è stata data alle fiamme dopo che aveva assicu­rato sostegno al­l’ex generale Kha­lifa Haftar, autore di un discusso ten­tato golpe nel maggio scorso contro le milizie ra­dicali e islamiche, da molti so­spettato di volere emulare l’azio­ne di forza condotta in Egitto dal generale (poi presidente) al-Sisi.
Mentre si consuma la battaglia i­stituzionale, si assiste alla spacca­tura in due delle forze armate e della galassia di milizie e gruppi armati nati durante e dopo la ri­volta contro Gheddafi. Tra le for­ze militari che appoggiano “l’O­perazione Karama” (Dignità, in a­rabo) lanciata dal generale Haftar (e quindi del governo di Tobruk), si contano le Forze speciali Saiqa (Folgore) stanziate in Cirenaica, e le brigate Qaqaa e Sawaiq nella Tri­politania. Queste ultime fanno capo al Consiglio mili­tare degli Zintani, che si è fatto cono­scere nel 2011 per avere conquistato il bunker del Co­lonnello e cattura­to suo figlio predi­letto Saif al-Islam. Nel fronte rivale, che si fa chiamare “Operazione Fajr Libya” (l’alba della Libia, ndr) si ri­scontrano formazioni rivoluzio­narie e islamiche tra cui i diversi “Scudi” della Tripolitania, ossia le forze locali costituite dal governo dopo la cadute del dittatore, oltre alla potente brigata “Misurata for­te”, mentre in Cirenaica si conta­no la “Brigata martiri del 17 feb­braio” (una milizia ben armata il cui nome ricorda la data d’inizio della rivolta contro Gheddafi), la Brigata Rafallah Sahati, ma anche Ansar al-Sharia, che si trovano tut­ti raccolti nel cosiddetto Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi.
Il Consiglio aveva minacciato al­l’inizio del mese di attaccare Il Cai­ro e gli espatriati egiziani in Libia in risposta a quello che definisco­no un’indebita ingerenza militare (a fianco del generale Haftar) ne­gli affari libici. Come per compli­care ulteriormente il panorama, quasi lo stesso nome (Consiglio consultivo della città di Bengasi), è stato assunto sabato scorso da un raggruppamento politico di personalità e formazioni della città orientale che sono stati subito sconfessati.
Ognuno dei due eserciti ha ovvia­mente un proprio comandante. Il Parlamento di Tobruk ha nomi­nato un nuovo capo di stato mag­giore nella persona del colonnel­lo Abdul-Razzak al-Nadhuri, scel­to da 88 dei 124 parlamentari pre­senti e promosso a generale. Il Par­lamento (uscente) di Tripoli ha ri­confermato l’attuale generale Ab­dul- Salam al-Obeidi come legitti­mo capo di stato maggiore. Ma la principale preoccupazione degli anti-Haftar è un’altra e riguarda la loro assimilazione a una coalizio­ne di forze islamiche radicali per la presenza tra di loro dei salafiti di Ansar al-Sharia. Ieri il comando dell’Operazione Alba ha preso nettamente le distanze dal grup­po e dalle altre «or­ganizzazioni e­stremiste ». Ansar al-Sharia, in arabo i Partigiani della legge islamica, è nata ufficialmente nel giugno 2012 e opera principal­mente nella Cire­naica. E, ritenen­dosi “delegittima-t­a”, a questo punto si sente libera di a­gire in maniera autonoma: da qui, la proclamazione dell’Emirato. La formazione è ritenuta responsa­bile degli scontri avvenuti a Ben­gasi nel settembre 2012 con il con­seguente incendio del consolato americano e la morte di quattro cittadini statunitensi, tra cui l’am­basciatore Christopher Stevens.