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 2014  agosto 27 Mercoledì calendario

LO SFREGIO ARCHEOLOGICO DI OSTIA ANTICA

Ostia Antica, il sito archeologico più grande d’Italia dopo Pompei, l’antico porto di Roma che ancora oggi regala sorprese ai ricercatori di tutto il mondo, è abbandonata. Dopo una prima visita tre mesi fa, ieri mattina siamo tornati a vedere se la situazione fosse quanto meno cambiata. Se non altro per premiare i turisti che a luglio hanno dato agli scavi di Ostia Antica la priorità su qualsiasi altra meta, prediligendola al Colosseo, al Foro Romano, a Pompei e agli Uffizi di Firenze.

Pagati gli undici euro del biglietto, ci incamminiamo confusi tra gli altri visitatori lungo il Decumano Massimo, la via principale che conduce fino a Porta Romana e, quindi, alla via Ostiense. Siamo abbastanza spaesati, considerata l’inesistenza di audioguide e i pochi e illeggibili cartelli a descrivere i reperti portati alla luce «Le guide bisogna prenotarle, altrimenti sperare di trovarle all’ingresso degli scavi è utopia - spiega Piero Labbadia, geometra e studioso dell’area archeologica ostiense - Il fatto che il sito sia stato il più visitato, il mese scorso, non dipende certo da anima viva. I reperti si sono venduti da soli. Manca la manutenzione ordinaria e si continuano a fare interventi spot, tanto per evitare i crolli di Pompei».

L’erba incolta, secca e alta a livelli imbarazzanti ai lati, non è nulla, infatti, rispetto a quella che ricopre le varie "domus" di epoca imperiale, i tempietti, le mura, le terme. Non solo portarci un disabile sarebbe un azzardo ma anche per i normodotati molte, troppe aree si rivelano impervie se non off-limits. Non facciamo in tempo a interrogaci sulla pericolosità per le tante comitive di ragazzi che qui vengono in gita, che una famigliola di olandesi riprende il figlio avventuratosi tra la fitta vegetazione che ricopre l’Horrea dell’Hortensius.

Continuiamo a camminare nel ciottolato che costeggia l’anfiteatro, il Tempio Collegiale, l’aula di Marte e Venere: la situazione non cambia. L’impressione è che i reperti di un sito che tutto il mondo ci invidia avrebbero ancora tanto da raccontarci, se liberati dalle piante rampicanti e dalle erbacce. Più camminiamo sotto al sole e più abbiamo conferma di aree inaccessibili, chiuse da bandoni verdi e arancioni che sembrano sopravvivere da anni. Una parte del sito è stata chiusa ai visitatori per l’avvio di «opere urgenti», di non meglio specificata entità, finanziate con 500mila euro dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Oltre uno di quei teli verdi, appoggiati ad un muro che dovrebbe essere un cimelio da conservare, ci sono una scala e una griglia per il barbecue. Nessuna anima, i lavori sono un ricordo o una chimera, fate voi. Andiamo oltre. Dove è possibile addentrarsi, in assenza di transenne, sono bisce e lucertole a reclamare, scocciate, un territorio effettivamente selvaggio. I rovi si attaccano ai vestiti mentre cerchiamo di sbirciare attraverso un colonnato. L’immagine è tanto desolante, rispetto alla bellezza trascurata degli scavi, da provare un dispiacere fisico per i turisti stranieri arrivati fin qui per ammirare un sito unico al mondo, bellissimo, che qualsiasi Paese renderebbe un gioiello da conservare e da far fruttare. Un posto da sogno in cartolina, descritto dalle guide turistiche com’era un tempo e oggi non più. Francesi, americani, giapponesi mai lascerebbero a terra bottiglie di plastica, cartacce, addirittura una carriola senza ruota, unica testimonianza dei lavori il cui avvio - come si legge nel cartello su una rete metallica - era previsto per il 24 luglio. Il biglietto da visita peggiora affacciandosi al Decumano Massimo per raggiungere la fontanella e dissetarsi. Un signore russo ridacchia con la moglie mentre prova ad evitare il lago che la circonda. Altra vergogna. Più avanti, ecco la più antica sinagoga del mondo occidentale: un gioiello, scoperto poco più di mezzo secolo fa, che testimonia l’esistenza dell’antica comunità ebraica ostiense e oggi abbandonato tra l’erbaccia incolta. Nel caseggiato degli Aurighi, tra gli affreschi ancora ben conservati, una coppia di visitatori commenta lo sfregio peggiore che si possa vedere in mezzo a tanto splendore: una scritta incisa dai soliti vandali con una chiave a deturpare la parete.

Non resta che un’ultima tappa: il bagno, la toilette, proprio di fronte alla caffetteria: meglio sorvolare, il fotografo si arrende al pavimento sporco e all’inesistenza di carta igienica. Se consideriamo che sono gli unici servizi in tutta l’area, non è difficile capire il perché siano in condizioni disastrose alle 12.30. Zaino in spalla ci muoviamo verso l’uscita. Non ci controlla nessuno, neanche l’ombra di un custode che sorvegli l’area che conduce agli scavi archeologici. Considerati i reperti alla portata di tutti, molti accatastati al di là dei bandoni, avremmo potuto trafugare chissà quanti oggetti. L’indolente parcheggiatore, stravaccato su una sedia di plastica, abbozza un sorriso alla macchina che si avvia verso l’uscita. Giove fulminatore, che nell’area archeologica ha perfino una domus, scaglierebbe l’intera riserva di saette per la rabbia. Pompei, tra un crollo ed un altro, cede il passo a Ostia Antica. Ma uno dei siti più belli e vasti del mondo, a due passi dalla Capitale, per tenere il passo avrebbe bisogno, e presto, di interventi seri che la restituiscano all’antico e degno splendore. Chi se ne infischia o fa finta di nulla uccide la cultura e la storia di Roma. Vergogna.