Piero Mei, Il Messaggero 27/8/2014, 27 agosto 2014
LA SPOON RIVER DEI CAMPIONI
Qualcuno l’ha chiamata “il morbo del pallone”, essendo così percentualmente forte l’incidenza della Sla sui calciatori: una statistica di non molto tempo fa diceva che su di un campione monitorato di oltre settemila individui, l’attesa era di 1,24 malati mentre la realtà parlò di 6,24. C’è chi ha calcolato che si tratti, nell’ambito del calcio professionistico, di una percentuale di oltre undici volte superiore a quella di persone che abbiano svolto nella vita altre attività. È la Sla, la sindrome laterale amiotrofica, nota anche come la malattia dei motoneuroni, o la malattia di Charcot, che per primo la scoprì: Stefano Borgonovo, il calciatore che ne ha sofferto fino a morirne a 49 anni la chiamava semplicemente “la stronza”.
IL PRIMO CASO
Nello sport i più la conoscono come “il morbo di Gehrig”. Henry Louis Gehrig, nato nel 1903 e scomparso nel 1941, fu la prima celebrità sportiva ad esserne colpito: era un campione di baseball che per tutta la sua vita agonistica, dal 15 giugno 1923 al 30 aprile 1939, giocò come prima base nei New York Yankees. Disputò 2130 partite consecutive, un record che ha resistito fino al 1995, quando Cal Ripken Jr, dei Baltimore Orioles, disputò il suo match numero 2131.
Molti anni dopo la scomparsa, ci fu chi sostenne che nel caso di Lou Gehrig non si trattasse con precisione della Sla, ma di una patologia molto simile: per dimostrarlo si sarebbe dovuto procedere alla riesumazione del corpo di Lou e ad una nuova autopsia, ma non fu possibile perché era stato cremato; la documentazione sanitaria, poi, è stata tenuta segreta dalla Mayo Clinic, adducendo ragioni di privacy.
Le eventuali rivelazioni nulla avrebbero aggiunto all’emotiva ed emozionante vicenda che Lou Gehrig stesso concluse il 4 luglio 1939 con un discorso allo Yankees Stadium che è ancora di ispirazione per molti: «Io mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra», disse Lou ricordando tutte le persone che avevano preso parte alla sua vita di gloria sportiva, compagni di squadra e affetti di famiglia in particolare; questo lo portò a concludere «forse sto attraversando un brutto periodo ma ho tantissimo per cui continuare a vivere».
L’IDOLO DELLE FOLLE
Continuò per meno di due anni: ma nemmeno dodici mesi dopo la sua scomparsa Hollywood produsse un film sulla sua vita, intitolato L’idolo delle folle, un film che aveva come protagonista Gary Cooper e che ebbe dieci nomination per l’Oscar anche se riuscì ad ottenere una sola statuetta e neppure delle più importanti, quella per il montaggio. Nel ricordo di Lou si prestò a un cameo anche uno dei più grandi giocatori del baseball, Babe Ruth. La connessione fra lo sport e la Sla, il calcio in particolare, è tornata d’attualità per numerose morti di giocatori: ne sono state calcolate più di cinquanta negli ultimi anni nel calcio professionistico, e c’è da tener presente che alcuni casi non sono stati indicati per ragioni di privacy e che mancano statistiche certe nel calcio dilettantistico, giacché alcuni ricercatori sostengono che il rischio riguardi maggiormente «centrocampisti che abbiano iniziato precocemente la pratica dello sport e che l’abbiano continuativamente esercitata per almeno un quinquennio».
Le correlazioni sembrano molteplici, pur se si tende ad escludere il doping, perché altrimenti non si spiegherebbe la percentuale più alta nel calcio e invece statisticamente ordinaria in sport a più alto tasso di doping.
Le morti per Sla sono avvenute in differenti classi di età, che vanno dai 31 anni di Luca Minghelli ai 78 di Fulvio Bernardini (il dottore che “dà scòla all’argentini”, in una canzone romanista, alludendo alla squadra dell’anteguerra). Ci sono state situazioni che hanno portato all’intervento, fin qui senza troppo effetto, della magistratura. L’elenco delle vittime è lungo: Armando Segato, Giorgio Rognoni, Guido Vincenzi, Narciso Soldan, Rino Gritti, Gianluca Signorini, Bruno Beatrice, Nello Saltutti, Ugo Ferrante, Adriano Longoni, Cucchiaroni, Ernst Ockwirk, Manzi, Ubaldo Nanni. E più si potrebbe, visto che, è sempre una ricerca a parlare, se la quotidianità parla di 6 casi su 100 mila, su 30mila monitorati nel calcio si sono riscontrati 40 casi.
LA PALUDE
Ci sono squadre e momenti nei quali l’incidenza è stata più forte: la Fiorentina o la Samp; nel caso del Como (nel quale militò proprio Stefano Borgonovo, il più recente, conosciuto, generoso testimonial contro la Sla) si è fatto riferimento alla possibilità che essendo stato lo stadio della città costruito su di una palude bonificata, sia questa la possibile concausa: diserbanti e pesticidi sono sotto accusa, giacché anche nel golf o nel rugby, nello sport internazionale, sono stati riscontrati casi; la connessione con i traumi da gioco potrebbe essere provata dai casi registrati nel football americano, un altro sport da contatto.
LA PRIVACY
Ma si è sempre nel campo delle ipotesi da ricercare. In quella ricerca che proprio Stefano Borgonovo, “Attaccante nato”, come il titolo di un suo libro, volle portare all’attenzione di tutti quando, dopo un lungo periodo di riservatezza assoluta (l’ambiente “sapeva” ma non parlava rispettando il suo desiderio di privacy) venne allo scoperto, per l’appunto da attaccante nato, lui che era stato in tandem con Roberto Baggio alla Fiorentina e che aveva fatto sognare segnando il popolo rossonero del Milan.
Ormai parlava con gli occhi, con un sintetizzatore vocale dopo che un mouse e un software particolari coglievano i suoi sguardi. Non c’era angoscia, ma coraggio; forse non c’era speranza per sé, ma per quelli che fossero venuti dopo, calciatori o meno. Idoli delle folle, come Lou Gehrig, o soltanto uomini e donne (l’incidenza della malattia è pari).
Piero Mei