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 2014  agosto 26 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - COME MAI LO SPREAD È TANTO BASSO


RICCARDO SORRENTINO SUL SOLE 24 ORE (DAGOSPIA)
Aumentano le difficoltà per le aziende tedesche. Al punto che il prodotto interno lordo di questo trimestre potrebbe registrare crescita zero. L’indice Ifo di agosto, che misura il clima nelle imprese, è infatti stato pari a 106,3, il minimo da luglio 2013, in calo da 108 di luglio.
È un dato piuttosto cattivo, tenuto conto delle capacità dell’indice di segnalare l’andamento dell’attività economica. Gli analisti si aspettavano una flessione, ma credevano che si sarebbe fermata a quota 107. La variazione (leggermente) più consistente è stata inoltre registrata dalla componente delle aspettative che, per quanto meno "concreta" di quella sulla situazione corrente, si proietta sul futuro.
Tutti i settori, tranne le costruzioni, segnalano sofferenza. I venditori all’ingrosso sembrano particolarmente pessimisti, anche se è nel solo comparto delle vendite al dettaglio che il numero delle aziende che segnala una situazione "negativa" o prospettive "non favorevoli" ha sorpassato ad agosto il numero delle imprese che danno valutazioni opposte. La cosa sorprende un po’: in questa fase la domanda domestica - spinta anche da un buon andamento di occupazione e salari - è al traino dell’attività economica. Un fenomeno confermato ieri anche da Klaus Wohlhabe, capoeconomista dell’Istituto Ifo.
OPERAI TEDESCHI VOLKSWAGEN OPERAI TEDESCHI VOLKSWAGEN
Sono però le vendite all’estero a preoccupare. Pesano ovviamente le incertezze sulla crisi ucraina, citata da molte aziende: sono le imprese più legate alla Russia, ha così aggiunto Wohlhabe, a essere più pessimiste, anche se l’effetto è difficile da quantificare. Secondo l’istituto di statistica Destatis, le esportazioni verso la Russia - tra rallentamento dell’economia di Mosca e la crisi geopolitica - sono calate del 15% tra gennaio e maggio, prima quindi delle sanzioni di luglio. Al di là di questo fattore, si sta probabilmente manifestando ora, con un certo, ma consueto ritardo, un certo rallentamento della domanda proveniente da Stati Uniti e Cina.
FABBRICA VOLKSWAGEN FABBRICA VOLKSWAGEN
L’Ifo esclude comunque una recessione tedesca. I dati di ieri spingeranno l’istituto a rivedere, e non poco, le previsioni per la crescita del 2014: il Pil potrà salire, ha detto Wohlhabe, dell’1,5% e non del 2% finora stimato. In questo terzo trimestre estivo, potrebbe però già registrarsi crescita zero, in ogni caso un miglioramento rispetto al -0,2% registrato in primavera.
L’Ifo ricorda anche che settori come quello della produzione di automobili e quello chimico stanno migliorando e che le costruzioni continuano a essere in buona forma. Anche se proprio ieri sono risultati in calo dell’11,9% a giugno, rispetto allo stesso mese del 2013, gli ordini del comparto dell’edilizia.
CANTIERE BERLINO CANTIERE BERLINO
La flessione dell’indice Ifo, la quarta consecutiva, da maggio, non è l’unico segnale di stress dell’economia tedesca. La settimana scorsa l’indice Pmi della Markit, che similmente cerca di intercettare il livello corrente dell’attività economica, ha mostrato un leggero rallentamento. La produzione del settore manifatturiero - che è solo uno dei sottoindici dell’indicatore - è risultato in particolare ai minimi da 14 mesi, anche se continua a segnalare espansione.
Sono però in accelerazione - il livello è ai massimi da nove mesi - i nuovi ordini, la componente che più di altri disegna i contorni per il futuro. Più che la Russia e l’Ucraina, alcune aziende partecipanti al sondaggio hanno mostrato timori per l’introduzione del salario minimo nel 2015. I dati "veri" - gli hard data - rivelano intanto che gli ordini alle imprese sono stati in calo a maggio e a giugno, e hanno toccato i minimi da agosto 2013, anche se ha pesato l’assenza di alcune grosse commesse difficilmente ripetibili.
Il quadro complessiva sembra continuare a negare quelle prospettive di ripresa moderata ma costante che erano state formulate per la Germania solo qualche tempo fa, con incrementi del Pil stimati intorno al 2% per quest’anno e il prossimo.
Ora le attese sono meno brillanti. È inevitabile inoltre che il rallentamento tedesco pesi anche su tutta Eurolandia: da una parte la Germania fa comunque da traino a moltissime aziende esportatrici di semilavorati, dall’altra il riequilibrio tra centro e periferia richiederebbe prezzi tedeschi ben più alti di quelli spagnoli e italiani, mentre le distanze ora sono ridotte.
È anche vero però che la spinta della domanda interna, desiderata e voluta dall’attuale governo, spinge le importazioni e, in questo modo, tende a deprimere i tassi di crescita di un’economia che resta molto solida.


REPUBBLICA.IT
MILANO - Ore 15:40 - I mercati azionari internazionali avanzano con cauto ottimismo dopo un inizio di giornata in ribasso, trainati dalla fiducia in Mario Draghi: il numero uno della Bce, nella sua ultima uscita pubblica a Jackson Hole, ha usato toni da "colomba" aprendo alla prospettiva di un intervento massiccio dell’Eurotower (un quantitative easing in stile Fed, tutti pensano) per sostenere l’economia e combatter la deflazione. Parole che sono bastate ad accendere l’entusiasmo dei mercati e a spegnere le preoccupazioni legate ai dati tedeschi negativi.
La propensione alla fiducia verso Francoforte ha portato a un rally del comparto obbligazionario, con la periferia dell’Eurozona - Italia compresa - a beneficiarne anche oggi. Il dividendo viene raccolto subito dal Tesoro, che al ritorno alle emissioni dopo l’estate centra il minimo storico di rendimento per i Ctz biennali.
Come da attese, l’Italia ha raccolto 3 miliardi di euro riconoscendo agli investitori un rendimento annuo lordo dello 0,326%. Si tratta del nuovo minimo storico. Nonostante questa nuova discesa, il tasso reale di interesse a due anni resta ampiamente positivo (+0,22%) rispetto alla Germania dove viaggia da tempo in territorio negativo. Un fenomeno che, in situazione di deflazione, scoraggia la spesa per investimenti a favore della rendita. Ed aumenta il peso reale del debito pubblico. Qualche benificio per i conti arriva comunque dal calo del costo medio, rappresentato dal restringimento dello spread tra Btp e Bund.
Il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi ha infranto al ribasso la soglia di 150 punti base e il rendimento del Btp ha toccato il nuovo minimo storico del 2,4%. Gli investitori pagano il debito italiano poco più di quanto facciano con quello degli Stati Uniti, addirittura meno di quanto accada per quello del Regno Unito.
Quanto all’agenda macroeconomica, negli Usa si segnala il balzo degli ordinativi di beni durevoli: +22,6% mensile a luglio, sopra le attese per un +7,5%, grazie ai 324 aerei chiesti a Boeing. Ancora in salita i prezzi delle case a giugno, +8,1% annuo nelle venti città principali, ma in rallentamento sul mese precedente. Salgono, infine, più delle aspettative l’indice manifatturiero della Fed di Richmond, a 12 punti, e la fiducia dei consumatori di agosto, a 92,4 punti. L’Ocse certifica intanto che il Pil italiano del secondo semestre è l’unico in calo (-0,3%) tra i G7. La scena, in una giornata priva di spunti macro eclatanti per il Vecchio Continente, torna l’Ucraina: il vertice di Minsk tra le parti in causa (Kiev, Mosca, Bruxelles) potrebbe portare a una distensione dopo le battaglie e gli sconfinamenti di tank degli ultimi giorni.
L’euro si stabilizza dopo esser stato sotto pressione per la serie di dati negativi sull’economia tedesca e sull’effetto attesa per le prossime mosse della Bce. La moneta unica europea oscilla intorno a quota 1,32 dollari dopo aver toccato un minimo a 1,3178 dollari, livello più basso dal settembre 2013.
In questo contesto, i mercati Ue migliorano con il procedere degli scambi e il sostegno degli investitori Usa: Londra, ieri chiusa per festività, recupera lo 0,4%, Francoforte sale dello 0,2%, Parigi dello 0,6% e Milano gira in positivo dello 0,65%. Apertura in rialzo per Wall Street: Dow Jones +0,2%, Nasdaq +0,1% e S&P500 +0,16%: torna sopra quota 2mila punti. In evidenza Burger King, che ha concluso un’acquisizione miliardaria in Canada con la quale diventa terza catena al mondo di fast food e sposta la fiscalità in un regime più favorevole.
A Piazza Affari si guarda sempre a Telecom Italia: si avvicina il cda che dovrà discutere il piano per arrivare alla brasiliana Gvt, aprendo il capitale ai francesi di Vivendi come contropartita principale. Intanto è previsto in giornata un nuovo summit tra Cesar Alierta, numero uno di Telefonica, e Vicent Bolloré, presidente e socio di Vivendi. Il vertice potrebbe servire per presentare al finanziere bretone la nuova offerta del gruppo iberico sul gruppo Gvt, in concorrenza proprio con Telecom. Bene sia Autogrill che Wdf: secondo le sale operative beneficiano dell’affievolirsi dell’ipotesi di un passaggio dell’ad Gianmario Tondato da Ruos a Luxottica. Fuori dal listino quotato, ma resta un caso aziendale principe per l’Italia, si guarda al cda di Alitalia, che fa il punto della situazione sull’accordo con Etihad e il piano industriale.
In mattinata si è registrata la chiusura negativa alla Borsa di Tokyo, sulla scia dei realizzi innescati dal rafforzamento dello yen. L’indice Nikkei-225 ha terminato la giornata in flessione dello 0,59% a 15.521 punti. Dati opachi anche dal fronte macro: l’indice che misura la fiducia delle imprese in Giappone ha mostrato ad agosto una flessione a 47,7 punti dai 48,7 punti della precedente rilevazione. Gli analisti si aspettavano un dato a 49,5 punti. Shinzo Abe, il primo ministro conservatore giapponese, ha confermato poi che farà il rimpasto di governo la prossima settimana, per cercare di rilanciare popolarità e azione politica.
Il petrolio è in rialzo sui mercati asiatici a 93,55 dollari per il barile Wti e a 102,78 dollari per il Brent. Oro in lieve calo dello 0,1% in Asia a 1.279,60 dollari l’oncia.

PEZZO DI TONIA MASTROBUONI SULLA STAMPA (QUANTITATIVE EASING)
Tonia Mastrobuoni per “La Stampa"
«Non sempre ciò che è bello è anche vero»; tempo fa Olivier Blanchard, capoeconomista del Fmi riassumeva così il dramma della «scienza triste» dopo lo scoppiare della Grande crisi. La regina d’Inghilterra aveva già umiliato gli economisti chiedendo con sublime, finta ingenuità perché nessuno di loro l’avesse vista arrivare. Ma il problema di fondo è che molti modelli matematici, per quanto eleganti, sono ormai da rottamare. E che non si capisce più bene cosa potrebbe rimettere in moto l’economia europea, afflitta dal rischio di una lunga stagnazione.
In particolare sulle politiche monetarie, Blanchard ammetteva che d’ora in poi la teoria «sarà molto più disordinata di come l’abbiamo conosciuta ad oggi». E uno dei capitoli più dibattuti riguarda il «quantitative easing», l’acquisto di titoli pubblici e privati in grande quantità che molte banche centrali stanno già facendo da anni e che la Banca centrale europea potrebbe decidere a breve. Ma sui suoi effetti, gli economisti sono ancora divisi.
L’obiettivo di un acquisto ampio di bond è quello, aumentando la domanda, di abbassare i rendimenti sui prestiti e sui titoli, dunque di battere la deflazione e stimolare l’economia. Infatti, in genere le banche decidono una mossa del genere dopo aver esaurito gli strumenti ordinari, in primo luogo dopo aver tagliato i tassi di interesse ufficiali ai minimi. Soltanto con un acquisto massiccio di titoli privati e pubblici si può sperare di ottenere un ulteriore calo.
Se la Bce sta pensando di azzardare una misura del genere, molto osteggiata dai tedeschi, è perché l’inflazione sta scendendo a ritmi talmente rapidi da suscitare ansie su un possibile scivolamento dell’Eurozona verso la deflazione. Inoltre, schiacciando i rendimenti sui bond governativi e privati, la speranza è anche quella di dirottare i soldi in circolo su altro, su investimenti, consumi, azioni, riattivando l’economia.
Non è un caso che prima della Grande crisi sia stato il Giappone - Paese immerso per un ventennio nella deflazione - a tentare la carta del cosiddetto «alleggerimento quantitativo». Ma dopo il 2007 anche negli Usa, nel Regno Unito e in Svizzera sono state avviate operazioni del genere, per riavviare la crescita. Dopo lo scoppiare della bolla immobiliare americana, la Federal Reserve è corsa ai ripari con ben tre operazioni di «Qe», la prima delle quali annunciata a novembre del 2008, in un momento in cui il sistema finanziario internazionale stava rischiando il collasso planetario per il fallimento di Lehman Brothers, il 15 settembre.
La banca federale statunitense ha comprato negli ultimi anni, in diverse «puntate» di Qe, migliaia di miliardi di bond governativi e privati, soprattutto quelli legati al settore immobiliare, epicentro della Grande crisi. L’ultimo «Qe» è stato deciso dall’ex governatore della Fed alla fine del 2012, quando Ben Bernanke ha annunciato che avrebbe acquistato 85 miliardi di titoli legati all’«housing», cioè ai mutui per le case.
Ma quando, un anno dopo, il numero uno della Fed ha fatto sapere che avrebbe iniziato a comprare meno titoli perché intenzionato a uscire dalla fase emergenziale e che, in prospettiva, avrebbe anche ricominciato anche ad alzare i tassi di interesse non appena la disoccupazione fosse scesa sotto il 6,5% e l’inflazione si fosse stabilizzata al 2%, in Europa qualcuno ha cominciato a tremare - banchieri centrali in primo luogo - temendo fughe di capitali verso gli Stati Uniti e squilibri nei mercati dei rendimenti ma anche in quello delle valute.
Di recente, invece, la notizia che l’attuale presidente della Fed, Janet Yellen, potrebbe avvicinare il momento per un aumento del costo del denaro, ha avuto l’effetto di rafforzare il dollaro, perché significa che la previsione di un recupero economico degli Stati Uniti è solida. Una buona notizia anche per l’Europa, che ha bisogno di raffreddare l’euro ed esportare di più per garantirsi una ripresa meno anemica.
Per la Bce, che al momento è lontanissima dagli obiettivi dichiarati di inflazione - il 2% - perché nell’eurozona è scivolata ormai allo 0,4%, la difficoltà maggiore di una mossa del genere non è di natura economica, ma politica.
La Germania, aggrappata ai suoi modelli economici classici, convinta che un eccesso di liquidità produca solo bolle finanziarie o inflazione, è restìa a operazioni del genere e pensa che non si possa andare oltre una rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni Abs, già annunciata dall’Eurotower, che tuttavia è troppo limitato per produrre effetti davvero importanti, come notano molti critici. Inoltre, siccome si parla della possibilità di comprare bond governativi in proporzione alla grandezza dei Paesi, resistono all’idea di aiutare Paesi iper-indebitati come l’Italia.

1.BORSE EUROPEE POCO MOSSE, RALLY DI LONDRA
(Reuters) - Stamani l’azionario europeo è poco mosso, rimangiandosi i forti guadagni della seduta di ieri alimentati dalla prospettiva di ulteriori misure di stimolo da parte della Banca centrale europea.
Londra, chiusa ieri per festività, guadagna terreno come previsto, con il titolo del colosso pubblicitario WPP che guida il rialzo.
Alle 10,30 italiane l’indice paneuropeo FTSEurofirst 300 sale di un frazionale 0,08%. L’indice delle blue chip Euro STOXX 50 perde lo 0,15%.
Francoforte cede lo 0,26%, Parigi poco mossa (0,01%) mentre Londra avanza dello 0,4%.
Parlando venerdì a una conferenza di banchieri centrali a Jackson Hole, in Wyoming, il presidente della Bce Mario Draghi ha detto che l’istituto di Francoforte è pronto a mettere in campo tutti gli strumenti "disponibili" per contrastare l’eventuale ulteriore calo dell’inflazione.
Le parole di Draghi, che hanno spinto l’euro ai minimi da un anno contro il dollaro, hanno alimentato le speculazioni sulla possibilità che la Bce vari una politica di acquisto di titoli su larga scala - quantitative easing o QE - per immettere liquidità nel sistema finanziario e provocare una ripresa dell’inflazione.
L’azionario europeo guadagna terreno da metà 2012, con il FTSEurofirst 300 in rialzo del 45%; il rally ha perso slancio a giugno, con gli investitori preoccupati dall’impatto della crisi ucraina e delle sanzioni occidentali contro la Russia e dopo che una serie di dati macroeconomici Usa hanno alimentato l’idea che la Fed possa alzare i tassi di interesse prima del previsto.
WPP guadagna l’1,5% dopo aver annunciato un utile per il primo semestre poco sopra le attese e aver confermato gli obiettivi.
Il produttore di rame Antofagasta lascia sul terreno circa il 2,8% dopo aver annunciato core profit in rosso nel primo semestre per via di costi di produzione più alti e del calo dei prezzi del rame.
La società di servizi aziendali Regus perde il 5,9% dopo aver annunciato di voler aprire almeno 450 filiali quest’anno a fronte delle 300 stimate in precedenza.
La società di servizi business Bunzl guadagna l’1,65% dopo i risultati del primo semestre.
Adocia sale di circa il 2,9% dopo la presentazione di uno studio clinico su una terapia per una grave complicazione del diabete.
La società di ingegneria olandese Imtech guadagna oltre il 7% sulla vendita della divisione Ict


2.SPREAD BTP-BUND SOTTO I 150 PUNTI BASE, RENDIMENTO SU NUOVI MINIMI STORICI

Finanza.com – Lo spread Btp-Bund finisce sotto i 150 punti base. Il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e tedeschi si porta a 149 punti base, con il rendimento del Btp decennale che tocca nuovi minimi storici al 2,43%. Attesa oggi l’asta Ctz a 2 anni per un importo compreso tra i 2,5 miliardi e i 3 miliardi di euro.

MAURIZIO RICCI
Segui Draghi. Il pesce pilota della politica europea o, meglio, il suo più navigato protagonista, l’uomo capace di collocarsi al centro del consenso, un attimo prima che si cristallizzi pubblicamente è uno che, di professione, politico non è, ma, anzi, è un tecnico fra tecnici: il presidente della Banca centrale europea.
«Si rischia di più a fare troppo poco che a fare troppo» ha detto, a sorpresa, Draghi, venerdì scorso ad un convegno di banchieri centrali, in un passaggio destinato, probabilmente, a fare storia come il famoso «salveremo l’euro, costi quel che costi» di due anni fa. Il discorso ha fatto rumore, come era stato certamente calcolato. E ogni parola con cui il custode dell’euro ha preso le distanze dalla politica di austerità era stata attentamente soppesata. Così l’hanno intesa i mercati che, ieri, alla prima seduta utile hanno cavalcato a lungo l’effetto Draghi.
Euforia nelle Borse, che vedono una politica di stimolo europea affiancarsi alla già solida ripresa americana. Rendimenti dei titoli di Stato europei ai minimi (in Germania anche sotto zero) in vista di una politica di allentamento monetario. Euro, per lo stesso motivo, in caduta sul dollaro.
Apparentemente diversa la reazione dei politici. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, vola in Spagna per fare, insieme al premier Rajoy, la faccia feroce contro i nemici dell’austerità. E, a Parigi, il presidente Hollande caccia dal governo i ministri di sinistra, per aver detto, contro l’austerità, le cose che lui stesso aveva detto, pochi giorni prima, in un’intervista a Le Monde. I fautori dell’austerità, dunque, che si trincerano nel loro fortino, costringendo anche Hollande a rimangiarsi le sue parole? Se questa tesi fosse vera, Draghi, con il suo discorso di Jackson Hole, avrebbe fatto una netta scelta di campo, accettando la divisione in due della politica europea e schierandosi con il partito anti-austerità.
Mariano Rajoy Mariano Rajoy
Chi lo segue da quando è presidente della Bce dubita fortemente che atteggiamenti simili siano nella natura e nello stile dell’uomo. Quello che è emersa, in questi tre anni, è piuttosto una straordinaria capacità di cogliere per primo e per tempo, lo spostarsi degli equilibri della politica europea. Questo, in fondo, è avvenuto due anni
fa. La cosa notevole, nel discorso in cui Draghi annunciò che la Bce era pronta a rastrellare titoli di Stato sul mercato, pur di salvare l’euro non sono le misure prospettate.
Plotoni di economisti le invocavano da mesi. A stupire fu l’assenza di proteste. Ci fu qualche mugugno della Bundesbank, ma la Cancelleria di Berlino si schierò con decisione dietro il presidente della Bce. E’ probabile che, anche questa volta, prima di uscire allo scoperto a Jackson Hole, Draghi abbia provveduto a coprirsi le spalle a Berlino. In questo scenario, sia i “nein” della Merkel, sia le decimazioni (al di là delle motivazioni di politica interna) di Hollande vanno visti soprattutto come un tentativo preventivo di placare un’opinione pubblica, allenata ad essere ultra-sospettosa sugli allentamenti del rigore, come quella tedesca.
Due anni fa, fu l’assalto contro Bonos e Btp a mettere Draghi nelle condizioni di cambiare politica. Adesso? Sostanzialmente due fattori. Il primo è l’oscurarsi delle prospettive dell’economia tedesca. Gli ultimi sondaggi indicano un diffondersi del pessimismo, all’insegna di “sviluppo zero” da qui a fine anno. C’è spazio per una politica di rilancio dei consumi e degli investimenti interni, come, peraltro, molti rivendicano da tempo. Il secondo fattore è l’implodere delle aspettative di inflazione, nel giro di poche settimane, come ha riconosciuto lo stesso Draghi.
La psicologia ha un ruolo cruciale. Se si afferma la convinzione che i prezzi caleranno, la deflazione (come è avvenuto in Giappone negli anni ‘90) può non solo divenire realtà, ma diventare difficilissima da rovesciare. Ecco perché molti, sui mercati, dopo il discorso di venerdì, pensano che la Bce si risolverà presto a lanciare una campagna di rastrellamenti titoli sul mercato, per ridare liquidità e spinta all’economia.
Il “quantitative easing” non è, tuttavia, un esito scontato. L’idea di acquisti, più o meno indiscriminati, di titoli italiani e spagnoli da parte di Francoforte urta particolarmente la suscettibilità tedesca e non è detto che, con i tassi di interesse già così bassi, sia lo strumento più efficace. Draghi ha spostato l’attenzione piuttosto sulla politica di bilancio. Fatti salvi i patti già sottoscritti, Draghi ha indicato l’esistenza di margini di flessibilità per i governi che adottano coraggiose riforme. Nulla di particolarmente sorprendente: i primi a proporre uno scambio (sotto forma di “contratti”) fra riforme e tempi dell’austerità furono proprio i tedeschi. Oggi che a reclamare questo scambio sono Renzi e Hollande, un accordo di principio non sembra impossibile.
Ma il discorso di Draghi apre uno spiraglio anche in un’altra direzione. Molti pensano che le riforme di struttura, pur importanti, non riusciranno a far uscire l’eurozona dalla stagnazione. Servirebbe un rilancio della domanda: consumi e investimenti. Draghi vi accenna esplicitamente, auspicando che la politica di bilancio «giochi un ruolo maggiore accanto alla politica monetaria. Lo spazio — dice — c’è». Giocare sui tempi per il rispetto dei parametri, in effetti, non sembra proibitivo. E anche i parametri — come il deficit strutturale da tenere allo 0,5 per cento secondo modelli econometrici discutibili e spesso modificati — non sono scolpiti nella pietra. Di questo si discuterà nelle prossime settimane.

VALENTINA CONTE SU REPUBBLICA
La vera secchiata d’acqua gelida è arrivata ieri, nel primo incontro tra Renzi e Padoan al ritorno dalle ferie: non ci sono risorse aggiuntive, soldi freschi, tesoretti, fiches a sorpresa da puntare sulla ruota dell’anno in corso. Il controllo della spesa, di qui a dicembre, deve essere ferreo. Troppo grosso il rischio di sforare il 3% nel rapporto tra deficit e Pil, in pratica già raggiunto. Troppo alta la probabilità di infrazioni europee, proprio ora che Bruxelles si avvia a concedere flessibilità ai paesi riformatori e virtuosi. Attenzione dunque ai cordoni della borsa.
Una nota dolente per Renzi e i ministri Lupi e Guidi (Insfrastrutture e Sviluppo), a questo punto orientati a confezionare un decreto Sblocca-Italia asciutto, ricco di norme per semplificare e sburocratizzare, ma povero di entrate extra. Dunque a costo zero. Si farà con i denari che già ci sono da rimettere in circolo: le somme stanziate a suo tempo per opere grandi e piccole poi bloccate, qualche residuo di fondo europeo.
E si proverà a coinvolgere i privati, con accordi di partenariato, grazie anche al supporto della Cassa depositi e prestiti. Per questo, nel provvedimento atteso per venerdì, a traballare più degli altri è il pacchetto casa: ecobonus da stabilizzare e rafforzare per gli interventi antisismici, incentivi per chi compra un appartamento e poi l’affitta a canone concordato, agevolazioni fiscali per le permute immobiliari, se si acquistano abitazioni ad alto rendimento energetico.
Misure annunciate da Renzi, pubblicizzate da Lupi, a questo punto in forse. Al momento «il capitolo è aperto», trapela dal ministero dell’Economia. D’altronde sugli ecobonus - si fa notare - non c’è urgenza. Per tutto il 2014 sono coperti (sia quello al 65% che l’altro sulle ristrutturazioni, assai popolare, al 50%). Per il 2015 c’è tutto il tempo. E il veicolo migliore è ancora la legge di Stabilità di ottobre.
Il premier e il ministro dell’Economia si sono visti dunque ieri pomeriggio, per un’ora circa a Palazzo Chigi. E hanno fatto il punto sugli impegni a breve e a medio-termine del governo. Dunque sul decreto Sblocca-Italia, all’esame del Consiglio dei ministri di venerdì prossimo, assieme alla riforma di scuola e giustizia. Sul Consiglio europeo di sabato a Bruxelles. Ma anche sull’agenda dei Millegiorni che Renzi vuole annunciare quanto prima, per assegnare un ritmo e dunque un calendario alle riforme in cantiere.
Il presidente Napolitano è stato chiaro con Renzi: non vuole un decreto omnibus. E lo Sblocca-Italia - su cui i tecnici di Economia, Infrastrutture e Sviluppo hanno lavorato per tutto il mese di agosto - a questo punto dovrà asciugarsi. Conterrà l’essenziale, già declinato da Renzi in dieci punti durante la conferenza stampa del primo agosto.
Le norme cioè per sbloccare i cantieri, le reti (banda larga e ultralarga, ma anche qui c’è un problema di risorse), i Comuni (2 mila le richieste dei sindaci giunte via mail al premier che valgono 1,3 miliardi da finanziare con il Fondo sviluppo e coesione), i porti (accorpamento delle autorità portuali), il dissesto idrogeologico, la burocrazia (con la riforma del codice dei contratti pubblici e forse anche quello dei beni culturali), l’export (il piano straordinario per l’internazionalizzazione delle imprese e l’attrazione degli investimenti stranieri). In più, il piano Bagnoli e lo Sblocca-Energia per sviluppare risorse geotermiche, petrolifere e gas naturale.
I cantieri da rimettere in moto sono molti. Il ministro delle infrastrutture sta limando la lista, in cui compare l’alta velocità Torino-Lione e quella Napoli- Bari (già stanziati 2,9 miliardi), i collegamenti con Fiumicino e Malpensa, la ferrovia Catania- Messina-Palermo (già finanziata per 5,2 miliardi). In tutto, dovrebbero essere 13-14 infrastrutture importanti, già a bilancio per 30 miliardi, ma ferme o non ancora partite.
Con le piccole opere, si arriva ai 43 miliardi da “movimentare” di cui parla il premier. Contribuirà anche il fondo revoche del ministero di Lupi con i suoi 1,3 miliardi. Se lo snellimento delle procedure funzionerà, i tappi di Tar e burocrazie fatti saltare, le deroghe ai codici operativi, il governo spera in 95 mila nuovi posti di lavoro, per un totale di 348 mila occupati.
Il ministro Padoan intanto ha messo in agenda per oggi la prima riunione con il suo staff, i viceministri e i sottosegretari. Sul tavolo, i conti. Tra Def e legge di Stabilità.