Andrea Galli, Corriere della Sera 26/8/2014, 26 agosto 2014
LA SPOLA DELLO SCAFISTA TARAK, PRESO SETTE VOLTE IN SETTE ANNI: «NON HO PAURA, USCIRÒ PRESTO»
Anatomia di uno scafista: occhialini, baffetti, un pizzico di peli sul mento, 28 anni, l’egiziano Honeim Tarak ha la faccia del bravo figlio che t’accoltella alle spalle. Già per sette volte, contano gli investigatori, ha attraversato il Mediterraneo: cinque volte l’hanno identificato a Lampedusa, una volta l’hanno arrestato a Siracusa e adesso, sabato, l’hanno acciuffato ancora. Il giorno prima, Tarak aveva portato in Sicilia 200 migranti siriani, aiutato da due connazionali i quali, ai poliziotti di Antonino Ciavola, capo della squadra mobile di Ragusa, hanno raccontato d’essersi offerti come traghettatori. Nella Libia fuori controllo cambiano anche gli scafisti: i due complici non sapevano come pagare il viaggio, gli organizzatori hanno detto loro di salire in barca, puntare la Sicilia, a un certo punto far partire l’Sos — la prassi ormai è questa —, tanto gli italiani, con l’operazione umanitaria Mare nostrum, avrebbero provveduto a salvarli. Quanto a Tarak, è scafista di professione. Lui in queste ore sta conservando inalterato il sorriso innocente che aveva quand’era appena sbarcato; il carcere non gli fa paura. C’è già stato e soprattutto ne era già uscito. Ad Antonino Ciavola, che sta vivendo notte e giorno nel centro di prima accoglienza al porto, Tarak ha ripetuto che è una congiura. Si sbagliano i poliziotti e si sbagliano i migranti che l’hanno indicato come capo della traversata. In cella, nel piccolo penitenziario di Ragusa diretto da Santo Mortillaro, Tarak ha confidato di sapere bene che la detenzione non durerà, che uscirà presto.
Sono 101 gli scafisti arrestati nel 2014. Ma poi — perché gli scafisti cambiano non soltanto in Nordafrica — bisogna aggiungere gli italiani. Per farlo, dobbiamo spostarci di costa, andare dalla Sicilia al Salento. Da lì arrivano le storie di un traghettatore tarantino e di due brindisini. Nell’ultima settimana, in distinti viaggi a Leuca e nel Canale d’Otranto, hanno trasportato in Puglia 39 siriani e africani. Fonti dell’Antimafia di Lecce sostengono che non sia un caso il ritrovato attivismo della nostra criminalità organizzata. Le traversate verrebbero organizzate nell’ambito di partnership criminali con gli albanesi e, come strategia d’azione, potrebbe esser riproposto il modello del contrabbando di sigarette: le navi con il carico in mare aperto e piccole imbarcazioni che fanno la spola.
Dalla Sicilia alla Puglia, naturalmente includendo la Calabria (1.300 persone sono appena sbarcate a Reggio), la linea dell’orizzonte e del fronte è infinita e aspetta altri cadaveri ancora. Di ieri la notizia del ribaltamento al largo di Lampedusa di un peschereccio e dei disperati tentativi di salvataggio: alla fine, 364 i vivi e 6 i morti. Ma che morti saranno? Perché, e lo dimostra il pomeriggio di autopsie nel fabbricato adibito a obitorio, c’è sempre un supplemento di strazio: ci sono migranti che si spengono per fame, per sete, per stanchezza; e ci sono migranti che si spengono per le botte, oppure per asfissia, schiacciati sul fondo dell’imbarcazione. Degli ultimi 18 deceduti recuperati, tutti uomini, due avrebbero addosso i segni di bastonate; gli altri invece sarebbero stati stroncati dalla mancanza di ossigeno. Forse la calca, forse le esalazioni del carburante.
A Pozzallo le spiagge non sono affollate ma di sera il corso si riempie, anche di vigili dal fischietto facile. Due ragazzi, che dicono d’essere del Mali, riposano all’ombra d’un pino, alle spalle d’uno stabilimento balneare. Hanno messo delle magliette sui rami ad asciugare. «Siamo arrivati in Sicilia due anni fa», raccontano. Non hanno idea se mai andranno via. E dove. E se domani o la prossima settimana. L’indefinito. L’impossibilità di programmare. Allora vengono in mente le parole di Sebastiano Maccarrone, direttore del centro di accoglienza di Mineo, in provincia di Catania. «Abbiamo 3.800 persone. La media per le pratiche di asilo è di un anno. Quest’anno saranno arrivati in Sicilia tra le 40mila e le 50mila persone. La situazione è complicata». O è forse meglio definirla «drammatica» come fa il procuratore capo di Ragusa, Carmelo Petralia? Sul cellulare di Petralia è un continuo arrivo di sms di aggiornamento dagli uomini sul campo. «Negli ultimi due mesi, con l’acuirsi degli sbarchi, abbiamo individuato quasi tutti gli scafisti». L’operazione però non è affatto semplice. Vi sono le testimonianze, certo; ma qualcuno ha paura di ritorsioni, altri preferiscono tacere: hanno toccato la riva e il resto non conta, in questa terra che ha e avrebbe altre sofferenze. La criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro sporco, la droga, elenca il giovane comandante dei carabinieri della vicina Modica, il capitano Edoardo Cetola, ugualmente impegnato con gli sbarchi. Cetola è ligure di Savona, dunque uomo di mare come i catanesi Ciavola e Petralia, o come lo scafista Tarak, per sette volte dal 2007 arrivato in Italia dal Mediterraneo.
Andrea Galli