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 2014  agosto 26 Martedì calendario

DUE PREMIER UN SOLO CAOS

La Libia, ora, ha anche due Parlamenti, ma né l’uno né l’altro è in grado di funzionare e, soprattutto, di ridare un ruolo alla politica travolta dalla guerra civile. La nomina del nuovo premier filo islamico a Tripoli, il semisconosciuto Omar al-Hassi, da parte del Congresso generale nazionale decaduto con le elezioni del 25 giugno, certifica quanto sia ormai profonda la crisi libica. Nella capitale le forze islamiche provano a riprendere il potere con i kalashnikov, ancora caldi dopo la conquista dell’aeroporto. Ed è significativo che a 1100 chilometri a est, a Tobruk, il nuovo Parlamento dominato dalle forze laiche e costretto all’esilio, si sia preoccupato di rispondere non con una contro nomina politica, ma promuovendo a Capo di stato maggiore il generale Abdel Razzak Nadhuri. Il premier dell’ultimo governo riconosciuto da tutti, Abdullah al-Thani, formalmente è ancora in carica. Ma evidentemente i suoi sostenitori per primi lo considerano una figura ormai inadeguata per fronteggiare la situazione. La parola alle armi, dunque. Con i jihadisti di Ansar al-Sharia che da Bengasi invitano gli islamici di Fajr Libia, provenienti da Misurata, a far fronte comune. Le potenze medie regionali sono coinvolte a pieno titolo. Il governo egiziano, ieri, ha smentito di essere implicato nei bombardamenti delle postazioni islamiche. Ma ciò non significa che il Cairo non sia la capitale più esposta e più preoccupata dal ritorno in forze degli islamici. Il generale Abdel Fattah al-Sisi non può certo trasferire a Tripoli la sistematica repressione degli islamisti che è ancora in corso in Egitto. Al-Sisi, quindi, sta provando a costruire un cordone di sicurezza formato da Algeria, Mali, Ciad e Tunisia. Ma evidentemente non può bastare. Tocca di nuovo alle potenze occidentali prendere l’iniziativa. Il ministro degli Esteri libico (governo Tobruk), Mohammed Abdel Aziz chiederà formalmente l’intervento dell’Onu. Non sarà molto originale, ma forse questa volta anche la Russia potrebbe essere d’accordo.
Giuseppe Sarcina