Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 26/8/2014, 26 agosto 2014
IL PARADOSSO DEL SORPASSO SUI TITOLI DI LONDRA
In Germania la fiducia degli imprenditori continua a scendere da 4 mesi; in Francia va in scena una vera e propria crisi di Governo; negli Stati Uniti gli indicatori di frenata (Pmi servizi, Fed Dallas, settore immobiliare) prevalgono di gran lunga su quelli di risveglio (Fed Chicago) dell’economia; sullo sfondo la questione ucraina e quella irachena sembrano ben distanti da una soluzione.
Difficile immaginare che l’indice azionario più importante al mondo, l’S&P 500 di New York, possa scegliere una giornata simile per infrangere per la prima volta nella storia la barriera di 2mila punti, ma anche che contemporaneamente le Borse d’Europa registrino un balzo nell’ordine dei due punti percentuali. Il tutto mentre i rendimenti dei principali titoli di Stato del Vecchio Continente raggiungono nuovi minimi storici: dai «solidi» Bund tedeschi fino alle Obligaçoes portoghesi, passando per OaT francesi, BTp e Bonos spagnoli.
Eppure tutto (o quasi) sale sui mercati finanziari e il motivo di tanta euforia - che poi non è neanche tanto improvvisa, dato che salvo sporadiche pause si protrae ormai da tempo - si trova ancora nelle Banche centrali e in quella liquidità che continua a essere pompata sui listini: dalla Federal Reserve americana, che pure parrebbe ormai agli sgoccioli dopo aver iniettato una cifra molto vicina ai 4mila miliardi di dollari in 5 anni (come ha ricordato una poco «accomodante» Janet Yellen nell’appuntamento di Jackson Hole di venerdì scorso); e ora anche dalla Banca centrale europea (Bce), che dopo le parole di Mario Draghi sembrerebbe (almeno così si pensa fra gli operatori) prossima al grande salto verso il «quantitative easing» in salsa europea.
La misura della febbre che serpeggia fra le sale operative la forniscono i numerosi studi in cui le banche d’affari hanno corretto le aspettative sull’Eurotower dopo il discorso tenuto nel Wyoming: tutti concordano più o meno nel parlare di «svolta»; qualcuno (Nomura) immagina un’ulteriore sforbiciata ai tassi di interesse dell’Eurozona di 10 centesimi già il 4 settembre o tutt’al più nella riunione programmata a Napoli a inizio ottobre; altri (Barclays) fanno i conti sulla T-Ltro pronosticando richieste dalle banche europee per 270 miliardi di euro nelle due aste di settembre e dicembre.
Altri ancora (di nuovo Nomura) si azzardano a prevedere un programma Abs, la cui progettazione «procede rapidamente» secondo quanto riconosciuto dallo stesso Draghi, del valore compreso fra 50 e 100 miliardi nel primo anno di attuazione e addirittura assegnano quasi una probabilità su due (45%) a un piano di riacquisti su titoli di Stato e altri bond europei da 500 miliardi in un anno a partire dal marzo 2015: sarebbe il «quantitative e credit easing», che poi è la vera arma nucleare che il mercato attende con ansia.
Pochi per la verità sembrano ricordarsi in questi giorni caldi della prudenza che Draghi ha utilizzato nel dosare le parole venerdì scorso e soprattutto delle difficoltà probabilmente insormontabili che l’ex governatore della Banca d’Italia incontrerà nel convincere i «falchi» (tedeschi, ma anche olandesi, austriaci e finlandesi) nel compiere il grande passo verso il «qe»: il rischio di delusione fra gli operatori è quindi particolarmente elevato.
Intanto la rincorsa agli acquisti ci regala un bel paradosso: ieri un BTp decennale rendeva meno di un titolo britannico con simile durata (2,48% contro 2,52%) e qualche centesimo in più di un T-Bond Usa (2,40%). Si tratta evidentemente un effetto legato alle differenti aspettative su crescita e dinamica dei prezzi nelle tre differenti aree e alla «divergenza» della politica monetaria Bce rispetto a quella di Fed e BoE (sulle scadenze ravvicinate i tassi dei bond italiani sono in effetti già inferiori).
Nessuno chiaramente pensa che gli investitori reputino il debito italiano meno rischioso: a ricordarcelo sono i premi dei «credit default swap», cioè le assicurazioni contro il fallimento di un emittente, che per l’Italia sono ancora oltre 6 volte più elevati di quelli che si versano sugli Stati Uniti e quasi 5 volte quelli per la Gran Bretagna: il mercato è euforico e generoso (e il Tesoro italiano ringrazia, alla vigilia di una tre giorni di aste), ma non è improvvisamente impazzito.
Maximilian Cellino, Il Sole 24 Ore 26/8/2014