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 2014  agosto 26 Martedì calendario

IN CAMPO CON I SENSORI ADDOSSO PROVE DI FUTURO NEL FOOTBALL USA

Battito cardiaco e sudorazione in forte aumento. Capacità polmonare ridotta. Cambialo!”. Sullo schermo del tablet dell’allenatore il comando appare perentorio. Del resto i risultati che arrivano in tempo reale dai sensori applicati nei due copri-spalle dei giocatori in campo sono chiarissimi. Per l’algoritmo ha parlato la sostituzione è inevitabile. I sensori sono poco più grandi di un bottone, misurano le condizioni di ogni atleta e le spifferano — teoricamente — a tutti. In pochi secondi quei numeri appaiono sugli schermi televisivi, rimbalzano nei commenti dei telecronisti, si amplificano nelle analisi dei tifosi. “Ha finito il fiato, toglilo!”, non sarà più una opinione: sarà una statistica.
Questa storia potrebbe diventare l’apoteosi del “bar sport”, la rivincita dell’allenatore da divano al tempo dei Big Data. E non è un futuro remoto: è quanto accadrà tra pochi mesi in uno dei campionati più importanti del mondo, la Nfl, il meglio del football americano. La sperimentazione in realtà parte il 4 settembre — data di inizio del torneo — , grazie all’accordo con Zebra Technologies: multinazionale con fatturato superiore al miliardo di dollari, partita nell’Illinois nel 1969, da dieci anni specializzata nel trasformare quello che accade nel mondo fisico in dati digitali per poi metterli in rete. Oggi Zebra ha più di 4mila brevetti, 2.500 dipendenti e clienti in 100 paesi. L’ultimo è appunto la Nfl: 94 anni di storia e mai un salto in avanti così grande: se l’accordo siglato con Zebra funzionerà, cambierà il modo in cui si svolgono — e si vivono — le competizioni sportive. Tutte, non solo il football americano.
La partnership prevede l’installazione in ognuno dei 17 stadi del campionato di 20 ricevitori che formeranno un sistema di localizzazione in tempo reale per raccogliere informazioni dai trasmettitori a radiofrequenza posizionati sotto i copri-spalle dei giocatori. In questa prima fase le informazioni si limiteranno a posizione in campo, velocità e distanza. Dal 2015, grazie ad una ulteriore applicazione che usa il Bluetooth, si aggiungeranno dati più sensibili: battito cardiaco, sudorazione e capacità polmonare. Ma già così tifosi e allenatori saranno in grado di valutare e confrontare le prestazioni dei giocatori con una precisione senza precedenti.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che la cosa possa funzionare: si tratta di una tecnologia che Zebra ha venduto con successo per monitorare quello che accade in fabbriche di automobili e persino nelle stalle dove le mucche producono il latte. Sul finire della passata stagione l’hanno testata due squadre importanti — San Francisco 49ers e Detroit Lions — e le loro avversarie.
Ora, qualcuno potrebbe dire: perché i giocatori non si ribellano a questa intrusione tecnologica? Intanto perché strumenti simili sono già presenti negli allenamenti di altri sport, calcio compreso: dall’introduzione del fotofinish —nel 1932 — a oggi la tecnologia ha cambiato continuamente le regole del gioco, migliorando le prestazioni, non solo con nuovi materiali, ma con l’analisi sempre più sofisticata dei dati. E poi per una ragione più prosaica: la facoltà di mettere dei sensori addosso ai giocatori è stata espressamente prevista, articolo 51, nell’ultimo contratto nazionale firmato nel 2011. Insomma, un po’ brutalmente si può dire che i giocatori se la sono venduta da tempo.
Anche se, va detto, per ora questi dati non saranno pubblici, ma raccolti dalla NFL a fini scientifici per determinarne correttezza e integrità. Dal punto di vista tecnologico — ed etico — è una novità tutt’altro che banale (e molto più delicata che misurare la posizione delle mucche prima di essere munte). In questi tre anni infatti sono state valutate strade alternative, come il GPS, che usa il satellite, e i raggi infrarossi: ma poi si è scelto la radio frequenza RFID proposta da Zebra perché con tanti giocatori in campo c’erano meno interferenze.
E quindi si parte: anche gli arbitri avranno i sensori. Il prossimo passo — ma manca un po’, dicono — è metterne uno dentro il pallone per sapere con precisione assoluta: era meta o no?
Riccardo Luna, la Repubblica 26/8/2014