Massimo Lugli e Emilio Orlando, la Repubblica 26/8/2014, 26 agosto 2014
“IL KILLER FACEVA PAURA SI È LANCIATO CONTRO DI NOI E ABBIAMO FATTO FUOCO”
[Intervista ai poliziotti] –
ROMA.
«Era in piedi, nel buio, e rantolava. La donna era già morta ma lui imitava i suoi gemiti. Aveva un coltellaccio in mano, i capelli lunghi, un paio di occhiali protettivi sul viso. Faceva paura, alto quasi due metri, robusto, lordo di sangue. Il nostro primo pensiero è stato per il pompiere che, in quel momento, stava forzando la porta. Era chiarissimo che Leonelli si preparava a uccidere chiunque fosse entrato in quella stanza». Parlano con lentezza, uno sforzo enorme per nascondere l’emozione, il dolore, lo strazio interiore di chi ha ucciso. Danilo V., 42 anni e Michele D., di 32, sono i due agenti che hanno sparato a Federico Leonelli, la mattina d’orrore e di sangue di domenica scorsa. Due colpi a testa, con le loro “Beretta 92” d’ordinanza. «Nessuno di noi due aveva mai fatto fuoco prima d’ora, se non al poligono in allenamento. Michele è anche tiratore sportivo e chiedergli perché mai non abbia mirato alle gambe è superfluo: a due metri di distanza, con la paura di essere uccisi e l’adrenalina a mille non si mira: si spara al bersaglio grosso e basta. Per salvarsi o per salvare altre vite.
Come è andata? Cominciamo dall’inizio.
«La sala operativa ha ricevuto la segnalazione di un vicino: aveva sentito grida di aiuto nella villa di via Birmania. Noi eravamo su due diverse auto, assieme agli autisti, più giovani e meno esperti. Siamo arrivati sul posto: nessun rumore. Entrare nel giardino era difficile: abbiamo chiamato i vigili del fuoco ma, nel frattempo, il vicino ha trovato due scale con cui abbiamo scavalcato. Sui gradini della villa c’erano una pantofola e un indumento insanguinati e altre tracce di sangue».
E poi?
«Abbiamo seguito le tracce che portavano all’ingresso di uno dei due seminterrati. Dentro era tutto buio ma c’era un lucernario da cui abbiamo cercato di vedere qualcosa con le torce elettriche. Nel frattempo i vigili stavano forzando la porta. Dall’interno, sentivamo i rantoli ma la donna era già morta. Era l’uomo che gemeva, come se stesse soffrendo al posto suo».
Cosa avete visto dal lucernario?
«All’inizio solo il corpo della ragazza e credevamo fosse ancora viva. La testa non si vedeva. Poi abbiamo illuminato Leonelli: alto, grosso, il viso seminascosto dagli occhiali, un lungo coltello con la lama seghettata in pugno. Pochi istanti dopo la porta si è aperta e abbiamo urlato al pompiere: via, via, scappa».
Cos’è successo dopo?
«L’uomo si è avventato contro il pompiere e ha cercato di pugnalarlo. Poi, fulmineamente, è uscito in giardino. C’erano altri vigili, medici, barellieri. Abbiamo gridato a tutti di allontanarsi. Lui si è messo di spalle a un’auto parcheggiata poco distante, una Chevrolet grigia».
Parlava, gridava?
«Si, urlava: andate via, lasciatemi andare. Siamo avanzati con le armi in pugno fino a quando non c’era nessuno sulla linea di tiro. Abbiamo gridato: butta il coltello, butta il coltello. Un nostro collega si è avvicinato di lato e l’ha colpito col manganello, tentando di disarmarlo. Lui non ha neanche avvertito i colpi».
Quando avete sparato?
«Quando si è lanciato contro di noi, col coltello in pugno. Ci voleva un attimo a raggiungerci. L’abbiamo colpito ma non è caduto. È tornato alla macchina e, a coltellate, ha mandato in frantumi il deflettore posteriore. Voleva entrare nell’auto ma è crollato prima. I medici lo hanno subito soccorso e intubato».
E voi?
«Siamo stati interrogati fino a notte fonda. Poi, stamattina, siamo stati ricevuti in questura. Abbiamo detto le stesse cose che stiamo dicendo a lei. La verità».
Massimo Lugli e Emilio Orlando, la Repubblica 26/8/2014