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 2014  agosto 26 Martedì calendario

MONTEBOURG, IL “GIOVANE LEONE” CHE ORA PREPARA LA CORSA ALL’ELISEO

PARIGI
Può vantarsi di aver creato una parola che prima non esisteva: “démondialisation”. Quando era candidato alla primarie socialiste, nel 2012, Arnaud Montebourg ha fatto campagna proponendo di interrompere la globalizzazione. Nessuno ha avuto il coraggio di spiegargli che era impossibile. Anzi, è arrivato terzo nelle preferenze dei militanti, con il 17% dei voti. Sciovinista come pochi, Montebourg si è autoproclamato difensore del made in France, posando con la marinière, maglietta bianca a righe blu, simbolo nazionale. Se avesse i baffi, potrebbe essere Astérix che difende il villaggio assediato dai barbari. Lui preferisce paragonarsi a Colbert, ministro delle Finanze di Luigi XIV, inventore del dirigismo statale nell’economia, oppure citare Julien Sorel, eroe stendhaliano che sfida le convenzioni. Il nuovo eroe della sinistra anti-austerity ha fama di essere un gran seduttore. Alto, occhi azzurri e folta chioma, 52 anni, è stato eletto dalle riviste femminili il politico più sexy del Paese, bersaglio dei paparazzi per le sue innumerevoli conquiste. L’ultima fiamma, secondo i rotocalchi, è l’attrice Elsa Zylberstein. L’ormai ex ministro per il Rilancio produttivo, dicastero creato ad hoc per questo avvocato di formazione, ha condotto battaglie velleitarie, proponendo di nazionalizzare lo stabilimento siderurgico di Florange in mano al magnate indiano Mittal e facendo approvare una legge che avrebbe dovuto vietare d’imperio le delocalizzazioni. Intanto Florange ha chiuso e le imprese continuano a trasferirsi all’estero. Non contento, Montebourg ha fatto votare uno “scudo” contro gli investimenti stranieri in settori strategici come l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni, l’acqua e la sanità. Il decreto, approvato due mesi fa, doveva fermare la vendita di Alstom a General Electric. Poche settimane dopo, il colosso americano è entrato lo stesso nell’azionariato del gruppo francese.
Durante un incontro con Repubblica, nel gennaio scorso, Montebourg sventolava una lettera inviata al commissario per la Concorrenza Almunia per protestare contro i limiti di Bruxelles sugli aiuti di Stato alle imprese. «Una visione integralista e obsoleta» spiegava nel suo ufficio di Bercy con quadri di arte contemporanea appesi alle pareti, una raccolta di minerali sulla scrivania. Vezzeggiato dai media perché ha la battuta facile, Montebourg può dire qualsiasi cosa, anche che vuole ispirarsi a Renzi per combattere l’austerity, dimenticando che l’Italia ha già fatto molti compiti a casa, non vuole ridiscutere il diktat del 3% mentre la Francia si appresta a chiedere a Bruxelles una nuova deroga sul rapporto deficit/ Pil anche per il 2015.
Il “giovane leone” — si è definito così in contrapposizione agli “elefanti” del partito — si vede già all’Eliseo nel 2017. Da oggi è felicemente all’opposizione, una mossa che preparava da mesi, visto l’aria che tira. È il primo che salta dalla barca che affonda, portandosi via altri due ministri dissidenti, Vincent Peillon e Aurélie Filippetti. Alla sinistra del Ps, spera di guidare i deputati “frondisti” che minacciano di affossare il governo. L’istrione della gauche è capace di mischiare riferimenti a Sant’Agostino e al sociologo filippino no global Walden Bello, e di inventarsi espressioni bizzarre come “capitalismo cooperativo” oppure fantasticare di una Sesta Repubblica, meno presidenziale e più parlamentare.
Nelle prossime settimane, potrà dare sfogo alle critiche contro l’impopolarissimo capo dello Stato. Portavoce di Ségolène Royal durante la campagna del 2007, è stato costretto alle dimissioni dopo aver fatto una battuta su François Hollande. «Ségolène Royal ha solo un difetto: il suo compagno», aveva detto per incensare la sua candidata. All’epoca Hollande era anche il segretario del partito socialista. E quando il Presidente è stato paparazzato a gennaio su uno scooter Piaggio mentre andava dalla sua amante Julie Gayet, Montebourg ha avuto da ridire. Non sulla liaison clandestina, ma sulla marca del motorino. «Il Presidente avrebbe dovuto usare un modello simile della Peugeot».
Anais Ginori, la Repubblica 26/8/2014