Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 25/8/2014, 25 agosto 2014
PINO MADDALONI “JUDO, LO SPORT GIUSTO PER CHI ODIA LE SCARPE”
[Intervista] –
Il brasiliano Camillo Tiago ha solo 18 anni eppure sul tatami di Sydney si fa strada a suon di ippon. In finale tra lui e l’oro di mezzo c’è Pino Maddaloni, un napoletano cresciuto tra il rione di san Gaetano, Maiano e Scampia. Tiago è lesto di gambe e di testa e sguscia come un’anguilla, ma il combattimento dell’italiano è un travolgente capolavoro tattico, il titolo olimpico è tricolore. A fine match con uno sguardo che sprizza neuroni Pino si limita a dire: “Sono stato più astuto di lui”. Giuseppe Maddaloni detto Pino comincia a combattere a quattro anni. Tutto quello che c’è da imparare glielo insegna il padre. “Un pazzo”. Pazzo perché un giorno del 2008 Gianni Maddaloni decide di scalare una montagna, apre una palestra alle Vele di Scampia, raccoglie un centinaio di scugnizzi dalla strada e si mette in testa di indicargli la via maestra, il judo. Il “percorso Maddaloni” funziona, l’effetto è contagioso, i guaglioni (molti di loro sono minorenni in stato di detenzione, figli di detenuti e ragazzi disabili), accorrono a frotte, si moltiplicano e in poco tempo sono già più di mille. Calamitati dalle telecamere i politici locali si esaltano, non stanno nella pelle, plaudono. I loro battimani sono avanspettacolo puro, sfondano il video ma l’efficacia sociale è prossima allo zero. La palestra deve restare in piedi ma i soldi scarseggiano. Gas, luce, acqua, le bollette costano un occhio. Nel 2010 alle istituzioni locali si sostituisce Ann Jones, una geologa di Manhattan. La Jones apre il portafogli e salda il conto, a Enel e agli altri creditori. Gianni Maddaloni tira un sospiro di sollievo. In attesa di un’altra Jones.
Pino Maddaloni, con un padre come il suo il percorso era tracciato.
Sì ma a fare judo mi ha convinto un’altra cosa.
Cosa?
Da bambino odiavo le scarpe, correre scalzo e fare capriole sul tatami era il più bel gioco del mondo. Sogno di vivere la vecchiaia in una località ben temperata con le infradito.
Ha cominciato a quattro anni.
È stato inevitabile.
Per lei il judo cos’è?
Banalmente potrei dire tutto ma dire tutto non basta, la scuola di Gianni Maddaloni è stata qualcosa d’altro.
È uno sport difficile il suo?
È uno sport di grande concentrazione. Tra un incontro e l’altro l’attesa diventa estenuante e sul tatami non ti viene perdonato nulla, un momento di distrazione e sei fottuto.
Conoscere l’avversario è importante?
Anni fa c’era gente che viveva in treno o macinava chilometri in macchina per spiare i combattimenti altrui, oggi una gran quantità passa le ore al computer. Conoscere l’avversario aiuta ma non può diventare un’ossessione.
La finale olimpica di Sydney. Com’era quel Camillo Tiago?
Un ragazzino astuto. Uno che non si faceva intimorire e combatteva di fino. Aveva un bel cranio, una grande personalità e una velocità di pensiero notevoli, è stata la vittoria più bella. Incollate alla tv quel giorno c’erano quattro milioni e mezzo di persone, impressionante.
Azeglio Ciampi la fece Commendatore della Repubblica.
Ringraziai con rispetto e deferenza, ma il giorno prima me la passavo benone lo stesso.
L’hanno mai chiamata commendatore?
Sì, qualche amico, ma per prendermi per il culo, a me danno fastidio le scarpe, pensi i titoli onorifici.
Come si diventa un buon judoka?
Ci vogliono immaginazione, concentrazione, pazienza e lucidità, questa è una disciplina difficile perché non prevede recuperi, più del corpo devi mettere in circolazione le idee. Il combattimento è una sequenza di piccole strategie. Se vuoi fare judo non devi sgarrare, dieta sana, vita sana, regole, disciplina.
Lei è il ct azzurro.
È una responsabilità che sento molto. Noi delle arti marziali ci arrangiamo al buio, i riflettori sono lontani ma certo non tiriamo a campa’, tra i nazionali ci sono molti ragazzi in gamba.
Quanto ore al giorno vi allenate?
Quattro, cinque. Stiamo molto tempo in palestra, curiamo la tattica e i recuperi.
Il judo è uno sport tremendo perché le sconfitte ti feriscono nell’orgoglio, lo ha detto lei.
Un ippon subìto è una disgrazia, un errore imperdonabile, sei non sei salito almeno una volta sul tata-mi il concetto non è di facile comprensione. Per render l’idea noi diciamo “andiamo a combattere”, i calciatori, o quelli del basket o i tennisti dicono andiamo a giocare.
Ce l’ha con i calciatori?
Non con loro, e neanche con i tifosi, i tifosi sono tifosi, io per primo, forza Napoli. Ce l’ho con i loro adulatori, i giornalisti.
Il calcio muove un sacco di cose.
Siamo un Paese stupido, in stato di perenne adorazione. Da noi uno scudetto conta più di un titolo olimpico, una valletta che smorfia dietro a un centravanti può aprire un Tg e fa più audience di un primato di atletica. Quando hanno ammazzato Ciro Esposito cos’è successo?, nulla, perché l’urgenza era sparecchiare più in fretta possibile il tavolo. Io avrei sospeso il campionato per un anno.
Qual è stata la sconfitta più bruciante?
Quella di Pechino nel 2008, in Cina arrivai in forma smagliante, ero concentrato, sicuro di me, mi sentivo molto più forte che a Sydney. Però ho perso.
Lei è nato a Scampia.
Ho vissuto tra Scampia e Secondigliano, sono cresciuto alle Vele, poi quelle dove vivevamo noi le hanno abbattute.
E cosa ha pensato quando le hanno abbattute?
Che si erano accorti in ritardo di aver fatto una cazzata, non dovevano costruirle le Vele, questo ho pensato.
C’era di mezzo un terremoto, tutti quei senza casa dove li mettevano?
Le Vele sono un posto abbandonato da Dio e dagli uomini, qualcuno ha mai fatto qualcosa per Scampia?
Suo padre alle Vele ha messo su una palestra.
Per me è motivo di orgoglio ma mio padre è un pazzo.
Un pazzo interessante.
Lo hanno lasciato solo, lo hanno messo in condizione di non poter fare e di non poter dire, nessuno ha mai alzato un dito. In palestra risolvono tutto i ragazzi, scendono dal tatami e si occupano dell’impianto elettrico, fanno gli imbianchini, gli idraulici, i carpentieri, i fabbri.
Ha visto Gomorra?
Il film?, sì l’ho visto.
Le è piaciuto?
No. Scampia non è quella, non è solo malavita. Io a Scampia ci sono cresciuto, le Vele non sono le massaie che fanno la pasta in casa e spacciano eroina. E la gente non fa le ore piccole sparandosi addosso, scippando e rapinando. Calcio a parte, la Napoli che passa in tv è il ritratto del neomelodico tipo o del camorrista tipo. La serie tv?, il problema di guardarla non me lo sono neanche posto.
Elio Pirari, il Fatto Quotidiano 25/8/2014