Sergio Trombetta, La Stampa 25/8/2014, 25 agosto 2014
VIAGGIO INFINITO NEL CUORE OSCURO DI CIAJKOVSKIJ
Il confronto delle date è rivelatore. 1877: Pëtr Ciajkovskij, Lago dei Cigni; 1879: Henrik Ibsen, Casa di Bambola; 1888: August Strindberg, La signorina Giulia; 1895: Pëtr Ciajkovskij, Lago dei cigni (versione definitiva); 1896: Anton Cechov, Il gabbiano. Alla fine dell’800 la letteratura teatrale europea sfornava capolavori dai temi innovativi e profondi, mentre la danza russa si trastullava ancora con principesse cigno stregate da un genio del male, fra infinite riverenze e salamelecchi. La corte di Alessandro III, lo zar dell’epoca, non era il massimo dell’avanguardia. Ma se ad oltre un secolo dalla nascita del balletto ci capita ancora di trepidare per l’amore infelice di Odette e per il tradimento di Siegfried, dobbiamo ammettere che in fondo al Lago si nasconde un nocciolo se non di modernità, certamente di verità, un grumo di sentimenti che possono coinvolgerci.
Il viaggio nel cuore del Lago è lungo e accidentato. Il capolavoro di Ciajkovskij è vivo per caso. Perché pochi mesi dopo la morte del compositore, scomparso il 6 novembre del 1893, va in scena al Teatro Mariinskij di Pietroburgo una serata celebrativa dove, fra le altre cose, Lev Ivanov allestisce il secondo atto, l’atto bianco, quello in riva al Lago. Nonostante la serata non susciti clamore di pubblico, la direzione del teatro decide di mettere in scena, l’anno successivo, l’intero balletto.
Una riscoperta. Perché in realtà tutto era incominciato a Mosca, molti anni prima. Nel 1865 Pëtr Ciajkovskij, diplomatosi a Pietroburgo, si trasferisce a Mosca per insegnare al Conservatorio. Frequenta il salotto di Marija Šilovskaja il cui marito Vladimir Begicev, direttore dei teatri imperiali di Mosca, gli commissiona nel 1875 la partitura per un balletto: Il lago dei cigni. Il plot è preso in prestito dal racconto Der geräubte Schleier (Il velo rubato) dello scrittore tedesco Johann Karl August Musäus (1735-1787). Ma intorno alla figura del cigno mitologie e leggende si affastellano. Ciajkovskij non sarebbe stato del tutto insensibile al fascino di Ludovico II di Baviera, «re cigno» nel suo delirante castello di Neuschwanstein (La Nuova Rocca del Cigno), protettore di Wagner. La cui opera Lohengrin, del 1850, con il tema del cigno, ci fornisce un ulteriore tassello alla saga cignesca. È stato spesso sottolineato, come il motivo di Lohengrin Mai devi domandarmi risuoni, opportunamente variato, nel «canto del cigno» che attraversa, diversamente modulato, tutto il balletto. E ancora, che cosa nasconde Lohengrin ad Elsa di Brabante? Il suo nome solamente oppure quella stessa verità che il principe Siegfried tiene segreta nel suo cuore? Insomma, sarà vero che sul suo eroe Ciajkovskij proietta la propria omosessualità che tanto lo angustiò ma dalle cui angustie, buon per noi, son nati capolavori?
Ma qui si rischia di fare psicoanalisi da portierato. Ed è forse meglio attenersi ai fatti. I quali ci dicono che per la musica il compositore riceve un compenso di 800 rubli. È la prima volta che si mette alla prova con un genere musicale che tuttavia lo affascina: è nota la sua ammirazione per Coppélia e Sylvia di Léo Délibes. Nuovo del genere musicale, gli manca l’aiuto di un coreografo come del resto testimonia nelle sue memorie Karl Val’c (Walz) capo macchinista del teatro: «Ciajkovskij prima di scrivere il suo balletto cercò a lungo qualcuno per avere informazioni esatte sulle esigenze della musica per balletto. Chiese addirittura a me che cosa dovesse fare con le danze, quanto lunghe dovessero essere, in che tempo».
Il Lago va in scena al Bol’šoj il 4 marzo del 1877. Con la coreografia (presto dimenticata) di Julius Reisinger. Non è proprio un fiasco, ma neppure un successo. Fine del Lago dei cigni, ma non del tutto. Perché dopo morte del compositore, se ne riparla. Si mettono al lavoro Marius Petipa (coadiuvato dal fido Ivanov) il fratello del compositore Modest, il direttore Alessandro Drigo (che dirigerà la prima), e il direttore dei teatri imperiali Ivan Vsevolocskij. Protagonista Pierina Legnani. Una italiana dunque, una delle tante virtuose di scuola milanese che vanno di moda nei grandi teatri europei alla fine dell’800, la Legnani. Sarà proprio lei, dalla tecnica saldissima, a inventare i «32 fouetté», 32 piroette in punta dove la ballerina gira su se stessa dandosi una spinta con l’altra gamba come un colpo di frusta (fouet). 32 frustate dunque, che ben si adattano al carattere aggressivo e un po’ sadico di Odile, il «doppio cattivo» di Odette, la figlia del perfido Rothbart, che conquista il principe durante il ballo: e qui c’è lo zampino di Petipa che di donne se ne intendeva. È il 15 gennaio 1895: il Lago torna in vita. Dopo un secolo e passa di cigni di ogni tipo (per ricordarne solo alcuni, quelli maschio di Matthew Bourne, quelli all black della sudafricana Dada Masilo, fino a quelli hollywoodiani del thriller di Aronofsky Black Swan con Natalie Portman) continuano impassibili a solcarne la superficie.
Sergio Trombetta, La Stampa 25/8/2014