Caterina Maniaci, Libero 24/8/2014, 24 agosto 2014
SCOMPARSO IN LIBIA DA 150 GIORNI ERA ANDATO A COSTRUIRE IMPIANTI IDRICI
Tutti i riflettori ora sono puntati sulla Siria e l’Iraq, e sulla sorte degli italiani rapiti in quelle zone «calde», ma ci sono altre tragedie che si consumano in altre fronti ad alto rischio: è il caso del quarantottenne Gianluca Salviato, originario di Trebaseleghe, paese del padovano. Rapito in Libia oltre 150 giorni fa. Lui, però, in Libia non ci era andato con «missioni umanitarie», o per fare un’esperienza forte. Ci era andato suo malgrado, per lavorare. E fino a oggi di lui non si hanno notizie. La Farnesina mantiene il più stretto riserbo sulla sua vicenda e, naturalmente, non conferma né smentisce che esistano trattative con il gruppo che lo terrebbe ancora in ostaggio. Il tecnico impiantista di Trebaseleghe, in provincia di Padova, dove abita con la moglie Maria, ma originario di Martellago, nel veneziano, dove risiedono gli anziani genitori, le due sorelle e il fratello, è in mano ai suoi ignoti rapitori (forse gruppi estremisti islamici) dalla mattina del 22 marzo. Dopo l’allarme dato dai familiari, che non riuscivano più a contattarlo, l’auto di Salviato, che lavorava a Tobruk per l’impresa Ravanelli di Venzone impegnata nella realizzazione degli impianti idrici della città, è stata rinvenuta lungo il tragitto tra l’hotel dove pernottava e un cantiere dove aveva un appuntamento, ma non è mai giunto: all’interno, le dosi d’insulina vitali per la sopravvivenza del tecnico che è diabetico, quindi con gravi problemi di salute. Subito grandi timori per le sue condizioni - l’insulina infatti era stata lasciata in macchina dia rapitori - e l’ipotesi di un rapimento a scopo di estorsione, come è ormai diventata una triste consuetudine non solo in Libia ma in molti altri Paesi «a rischio», ai danni di aziende e lavoratori, nonchè turisti, giornalisti e volontari occidentali. Da allora di Gianluca, non si è saputo più nulla. La ditta friulana per la quale il tecnico lavora ha offerto una ricompensa per chiunque sia in grado di fornire notizie utili alle indagini, mentre i media libici hanno ribadito più volte che il 48enne padovano ha problemi di salute, che ovviamente possono ulteriormente aggravarsi durante la prigionia. La famiglia, in particolare la sorella Cristiana, insieme alla cognata, ha raccontato in alcune interviste, qualche giorno fa, che «siamo al punto di partenza, non sappiamo niente: chi l’ha rapito, perché, cosa vuole. Siamo stanchi, distrutti, dall’angoscia per la sua sorte, dall’attesa, dal non sapere» spiega la sorella Cristiana, che però continua a dirsi ottimista sul rilascio («ci crediamo sempre») e anche sicura che «i rapitori, se mi fratello è vivo, gli hanno procurato l’insulina». Cristiana, che con la cognata è in continuo contatto con la Farnesina, ha ribadito anche la certezza che «stanno lavorando e facendo tutto il possibile: dobbiamo fidarci del nostro Stato», anche se ha sottolineato il fatto che dal ministero non arrivano notizie e che la sua famiglia ha scelto di tenere «un profilo basso», anche perché «questa gente che ha in mano mio fratello non pensi che sia una persona importante: è solo un tecnico emigrato in Libia per vivere, perché qui in Italia non trovava lavoro». Ma l’anziana mamma di Gianluca, Gelsomina Bergamo, ad un certo punto, non ce l’ha fatta più. Consumata dall’angoscia, qualche settimana fa ha scritto una lettera aperta contro il Governo dopo l’approvazione in Senato del decreto -carceri: «Ai clandestini danno 42 euro al giorno, ai delinquenti 8, ai nostri disoccupati zero: mio figlio in Libia non voleva andarci, ma per lavorare non ha avuto scelta e guardate cosa gli è successo». E ancora, in un appello al ministro degli Esteri, Flavia Mogherini, la signora Gelsomina ha dichiarato: «Ora che in Libia hanno eletto un governo, perché il Ministro Mogherini, come fa per gli altri Paesi, non si reca anche laggiù per sottoporre il caso di Gianluca? Va dappertutto...Mio figlio non va dimenticato».
Caterina Maniaci, Libero 24/8/2014