Corriere della Sera 25/8/2014, 25 agosto 2014
PARTE IL CAMPIONATO, BASTA ALIBI
QUI JUVENTUS
A cinque giorni dal debutto in campionato (contro il Chievo in trasferta) e a sette dalla fine del mercato, la nuova Juve è un enigma che divide l’Italia in due. C’è chi spera che dopo tre scudetti consecutivi il dominio sia finito e chi invece confida in una nuova alba di gloria con Allegri.
Ma è difficile fare una esatta valutazione preventiva dei primi della classe. Per una serie di ragionevoli fattori. La Juve ha cambiato guida, passando dalla dolce ossessione di Conte alla normalizzazione di Max, che significa stessa abnegazione sul campo, ma più libertà fuori. Inoltre, ha fatto il giro del mondo, 33 mila chilometri tra Indonesia, Australia e Singapore, viaggiando più che lavorando, esportando il marchio più che pensando all’amalgama del gruppo. Allegri non è uno specialista delle partenze e stavolta le difficoltà sono superiori al passato perché deve rimodellare una squadra nata, cresciuta e diventata grande con il 3-5-2. La rivoluzione morbida dell’ex milanista è già in atto e prevede la difesa a quattro, l’uso del trequartista dietro le due punte o due trequartisti dietro un centravanti. Il primo esame è andato male. La sconfitta contro il Milan ha allargato i confini del dubbio e reso problematica la settimana che porta all’esordio in campionato. Allegri però ostenta serenità e promette: «Sabato a Verona vedrete la vera Juve».
Ora è lecito chiedersi se in questi giorni continuerà sulla strada della rivoluzione tattica perché nella tana del Chievo di Corini, i bianconeri saranno privi di due interpreti fondamentali del pacchetto arretrato: l’infortunato Barzagli e lo squalificato Chiellini. Allegri ci sta ragionando. Mentre Marotta e Paratici, gli uomini mercato, stanno affilando la strategia per gli ultimi botti. Il difensore arriverà, ma soltanto se capiterà un’occasione e in questo senso il brasiliano Luisao del Benfica resta una soluzione possibile anche se non probabile. L’attaccante, invece, è una priorità: senza l’infortunato Morata, è bastato un attacco influenzale, che ha messo fuori gioco Llorente, a creare problemi alla Juve nel trofeo Tim. «Siamo pronti a cogliere un’occasione», va ripetendo da giorni Marotta. Allegri vorrebbe un giocatore in grado di fare la differenza. E il preferito, manco a dirlo, è Radamel Falcao, un top player che nel Principato doveva fare l’apripista all’arrivo di altri campioni e che adesso rischia di rimanere prigioniero del suo contratto dorato da 12 milioni netti. La Juve è in vantaggio sul Milan, ma l’operazione è ricca di insidie perché se è vero che il Monaco è pronto a farlo partire e il giocatore a ridursi di tre milioni lo stipendio, è altrettanto vero che i termini economici di questa operazione non inducono all’ottimismo. Sarà per questo che la Juve oggi parlerà con l’Arsenal per il tedesco Podolski, mantiene vivi i contatti per lo svizzero Shaqiri del Bayern Monaco (due di prestito, 12 per il riscatto), non perde di vista il brasiliano Luiz Adriano dello Shakhtar.
Alessandro Bocci
QUI ROMA -
Roma costruita per il titolo Napoli in cerca di se stesso Fiorentina con l’enigma Rossi
La pretendente, l’alternativa e l’outsider: l’ordine in griglia di Roma, Napoli e Fiorentina è quello delle loro ambizioni.
La squadra di Garcia non si nasconde più: punta allo scudetto. I mezzi per l’attacco a un sogno che non si realizza dal 2001 i giallorossi li hanno: acquisti pesanti (39,5 milioni di uscite contro 2,5 di entrate), una bellissima stagione alle spalle, un allenatore sempre più padrone della situazione. Il modulo è consolidato (4-3-3) ma, con una rosa al momento degna della Juventus, pare più flessibile che in passato, il che è sempre un plus valore. Pensarla in velocità con Gervinho e Iturbe lanciati sulle fasce da Totti esalta i tifosi e atterrisce gli avversari. Le incognite sono il doppio impegno con la Champions (che non aveva l’anno scorso), la situazione di Destro (forse in via di cessione, e non si capisce perché) e una difesa non ancora registrata: se Benatia andrà via, urgono interventi. Perché comunque è sempre da lì che si costruiscono i titoli.
Se il Napoli potrà lottare con la Roma e la Juventus lo sapremo presto. Dopodomani a Bilbao gli azzurri si giocano infatti il passaggio in Champions League, cioè un sacco di soldi (almeno 30 milioni) e un extra-carburante di cui l’ambiente, dalla squadra al pubblico, ha disperato bisogno. Insieme, va da sé, a qualche nuovo giocatore. La sessione di mercato è stata fin qui povera di qualità, benché virtuosa (11,5 milioni spesi, 14,3 incassati), e Benitez vorrebbe almeno un paio di centrocampisti di sostanza. La qualificazione alla Champions potrebbe finalmente risvegliare le voglie di De Laurentiis, in caso contrario sarà dura e i segnali si sono già visti nell’andata del preliminare con l’Athletic: il 4-2-3-1 di Rafa è troppo monolitico, la difesa soffre come l’anno scorso, Hamsik non si è ancora risvegliato (perché non provarlo in mediana?), Insigne è sotto pressione e Higuain, il totem che tutto muove, è nervoso: senza Champions, per lui, non c’è calcio. Forse, neanche Napoli. Che però non ci sarebbe senza Higuain. È un vicolo cieco, se ne esce solo passando a Bilbao.
Di rincorsa, piena di fiducia e, come si dice, a fari spenti, scatta invece la Fiorentina. È leggera di spirito, senza le pressioni delle altre due, tatticamente modulabile (3-5-2 o 4-3-1-2 con Borja Valero dietro le punte), tecnicamente notevole (la mediana resta di gran qualità, e in avanti torna Mario Gomez) e con due filoni appena scoperti dai quali può uscire oro fresco: Babacar e Bernardeschi. A loro, per ora riserve, Montella potrebbe ricorrere dovesse partire in extremis Cuadrado, ma la vera spina è Giuseppe Rossi, magnifico talento indifeso come una piuma. Oggi le visite diranno se il ginocchio destro soffre di menisco. Si spera di no, in ogni caso la sua gestione è fondamentale: è lui la variabile che indirizzerà il futuro viola.
Alessandro Pasini
QUI INTER -
Il passaggio della maggioranza azionaria è storia vecchia (15 novembre 2013); gli argentini del triplete (Cambiasso, Milito, Samuel e Zanetti) sono usciti di scena il 18 maggio, all’ultima di campionato persa a Verona con il Chievo; la rivoluzione è compiuta. Questa è l’Inter di Erick Thohir (torna a Milano mercoledì) e di Walter Mazzarri e questa deve ballare. Così c’è molta curiosità intorno alla squadra, ora che il presidente ha insediato i suoi uomini e l’allenatore conosce tutto o quasi. È alla seconda stagione in nerazzurro e al secondo anno era arrivato alla finale di Coppa Italia con la Sampdoria (2009) e aveva conquistato il terzo posto e la zona Champions con il Napoli (2011).
Nemanja Vidic, 33 anni, preso dal Manchester United a parametro zero, avrà il doppio compito di pensare a se stesso, ma anche ai compagni di linea, perché la sua esperienza sarà fondamentale, anche per la maturazione definitiva di Ranocchia e Juan Jesus; l’acquisto di Dodò, 22 anni, è importante, per le caratteristiche specifiche del giocatore (un sinistro naturale) e per l’importanza che Mazzarri dà al gioco sulle corsie laterali, anche perché consente di spostare Nagatomo a destra, in alternativa a Jonathan. In mezzo al campo, sono stati acquistati due giocatori fondamentali per il tipo di gioco che ha in mente Mazzarri: Yann M’Vila, 24 anni, francese e Gary Medel, cileno, 27 anni. Se staranno bene, se saranno in condizione e sapranno interpretare bene le indicazioni dell’allenatore, è difficile immaginare, almeno in questo momento, che non possano giocare stabilmente in coppia, visto che quello che Mazzarri cerca è un centrocampo tecnico, ma solido, con uomini che sappiano recuperare in fretta il pallone, per rigiocarlo. Più difficile adesso pensare che possano essere scelti in contemporanea Kovacic ed Hernanes, anche se a volte è il campo a imporre le soluzioni più ardite, come era accaduto con la promozione a titolare di Matteoli nel centrocampo dell’Inter 1988-1989.
Il punto interrogativo resta legato all’attacco: Rodrigo Palacio ha segnato 17 gol nell’ultimo campionato, ma è reduce dal Mondiale e salterà la prima giornata; Icardi deve crescere ancora, dopo una buona annata (9 gol), anche se condizionata dalla pubalgia; Osvaldo è la novità, ma è reduce da una stagione non da titolare (Southampton/Juve). Così c’è grande attenzione per le opportunità che si possono manifestare in questi ultimi giorni di mercato (Lavezzi è una pista che viene seguita da un anno), ma la priorità è la cessione di Guarin, che appare fuori dal progetto: in due stagioni e mezzo, ha messo in vetrina grandi potenzialità, ma non ha ancora compiuto il salto di qualità. Lo vuole lo Zenit (c’è Villas Boas), lui temporeggia, ma alla fine cederà. Cedere Guarin o Ricky Alvarez significherebbe trovare nuove risorse da investire. Da domenica (in casa del Torino), si capirà dove può arrivare l’Inter: in Europa League si gioca di giovedì e questo non semplifica la corsa in campionato. Lo scudetto è per altri; il terzo posto appare un traguardo lontano; quello in Europa è un obbligo.
Fabio Monti
QUI MILAN -
Senza Balotelli, con Cerci più lontano, ma con Honda, El Shaarawy e Menez in spolvero. Soprattutto, con «più voglia e più gruppo».
L’addio di Mario e le indicazioni delle ultime amichevoli (in particolare il Trofeo Tim) stanno indirizzando il mercato del Milan verso nuove direzioni. La partenza per Liverpool del numero 45 è già stata archiviata e non si registra un filo di rimpianto, nonostante ancora non si conosca il nome del successore. Non potrebbe essere più chiaro Pippo Inzaghi: «Quando un giocatore se ne va, vuol dire che tutte le tre componenti hanno preso questa decisione: allenatore, società e calciatore. Perdiamo un grande ma probabilmente acquisiamo qualcosa in più sotto altri punti di vista, della voglia e del gruppo. Dobbiamo esserne contenti».
Di conseguenza, la priorità del Milan è trovare un’altra punta centrale, che abbia lo spessore per partire titolare. Nei prossimi giorni (forse mercoledì) ci potrebbe essere un’altra cena ad Arcore: è chiaro che spetta a Silvio Berlusconi pronunciare la parola definitiva. Intanto Galliani e Inzaghi si sono riuniti tra loro per scremare un po’ di opzioni. I «big» sono sempre difficili da raggiungere ma le situazioni sul mercato cambiano il tempo di bere un bicchiere d’acqua o, come va di moda, di prendere una secchiata d’acqua in testa (ieri ha pagato pegno Galliani). Quindi vietato sbarrare ogni pista: Jackson Martinez sembra impossibile, ma il giocatore ha chiesto un colloquio con il Porto per essere ceduto; la Roma valuta Destro 25 milioni ma bisogna aspettare per vedere se le pretese scenderanno, considerato che il giocatore gradirebbe il Milan; infine Falcao, il più difficile di tutti («impossibilissimo», l’ultima definizione di Galliani) potrebbe essere però l’unico in grado di smuovere l’entusiasmo di Berlusconi. Restano i nomi più «avvicinabili»: Eto’o che non ha ancora chiuso con il Liverpool, Fernando Torres che potrebbe arrivare in prestito e poi il trio di brasiliani tristi Fred, Jo e Leandro Damiao che si sono proposti.
D’altra parte si è fermata la ricerca di un attaccante esterno. Galliani ieri ha sentito Cairo per telefono ma è saltato l’incontro. L’ad e l’allenatore sono soddisfatti dalle prestazioni di Honda («Se gioca come al Tim è titolare», ha commentato Galliani), El Shaarawy e Menez (e prima quelle di Niang). Quattro esterni per due posti possono suggerire che l’emergenza è altrove. Magari a centrocampo, dove sono sempre «calde» le idee Rabiot o Dzemaili. Al Trofeo Tim si è visto il calcio di Inzaghi: cuore, corsa, palla rubata in mezzo ed esterni che volano in contropiede. Una via intelligente per adattarsi alla rosa che c’è. «Abbiamo dimostrato che, giocando da squadra e correndo più degli altri, possiamo tenere testa a chiunque — il commento di Pippo dopo la sfida vinta con la Juve —. Quando in 45’ tieni testa a una squadra nettamente superiore, vuol dire che tutti hanno fatto qualcosa di straordinario. Il mercato? Se arriva qualcuno bene, altrimenti siamo competitivi così». Altrimenti lo straordinario dovrà diventare ordinario.
Arianna Ravelli