Guido Santevecchi, Corriere della Sera 25/8/2014, 25 agosto 2014
MACAO ALLA ROULETTE DELLA DEMOCRAZIA. LA CITTA’ DEL GIOCO SFIDA PECHINO
Dalla borsetta della signora in giacca di seta color cielo escono con naturalezza dieci biglietti da mille, che scivolano sul tavolo e poi tra le mani veloci di Miu, la croupier. Cambiati in fiches, i dieci bigliettoni entrano subito in una partita di baccarat, e si perdono. Il banco incassa ancora. La signora cinese riapre la borsetta e ripete l’operazione. È successo molte volte l’altra notte ai 270 tavoli del casinò del «Grand Lisboa» a Macao. Al 39° piano c’è un tavolo solo, in una saletta dorata: qui le dieci banconote da mille servono da biglietto da visita, infatti dopo un minuto una simpatica ragazza ci indica la porta dell’ascensore, le è bastata un’occhiata per valutare che siamo gente da piani bassi. Questo era solo uno dei 35 casinò di Macao.
Affacciato sulle portiere dei taxi, il volto di José Mourinho sorride e invita a seguirlo in «Paradise». Il mister è molto popolare a Macao, la città per quattro secoli è mezzo, fino al 1999, è stata una colonia di Lisbona e i portoghesi hanno lasciato un’impronta che nessuno vuole cancellare. Il grattacielo con i vetri dorati dell’hotel-casinò «Grand Lisboa», il kitsch estremo del «Venetian» che copia a grandezza quasi naturale Piazza San Marco sono stati costruiti a distanza di rispetto dagli edifici coloniali dichiarati patrimonio mondiale dall’Unesco; anche i nomi delle strade sono scritti ancora in portoghese, da Avenida da Amizade a Rua dos Piscadores. Gli indicatori socio-economici del territorio restituito alla Cina 15 anni fa possono dare l’illusione del paradiso pubblicizzato da Mourinho: nella classifica della ricchezza stilata dalla Banca mondiale, Macao ha superato la Svizzera salendo al quarto posto con 91.376 dollari di Pil pro capite; nel 2013 l’incremento è stato del 18 per cento. È una corsa inarrestabile: dal 1999 l’economia di Macao è cresciuta del 557%. Stanno bene i circa 560 mila abitanti della città: sono i secondi più longevi al mondo, con un’aspettativa di vita di 84,3 anni. Per farli più felici l’assemblea legislativa locale, che siede nell’Edificio do Leal Senado costruito dai portoghesi nel 1784, quest’anno ha distribuito a ciascuno un bonus da novemila «patacas», circa mille euro. E poi c’è un’amministrazione speciale che dovrebbe garantire libertà negate al resto dei cinesi nella madrepatria.
Il miracolo economico si deve al gioco d’azzardo, seguito da un fiume di turisti-scommettitori: 120 mila al giorno solo al «Venetian». Il primo casinò fu aperto dai portoghesi 150 anni fa per rispondere a Hong Kong che aveva soppiantato Macao come centro dei commerci. Il governo comunista di Pechino, dove il gioco è proibito, ma molto amato, ha mantenuto la tradizione. E dal 2002 le autorità cinesi hanno anche abolito il monopolio del gioco, aprendo le concessioni ai grandi gruppi internazionali, da Sands a Wynn e Mgm: così a Macao ora ci sono 35 casinò di lusso e l’industria ha prodotto 45 miliardi di dollari nel 2013, sette volte più di Las Vegas.
Però, a fine primavera ventimila persone hanno marciato lungo Rua do Campo verso la Colina da Penha, dove c’è il palazzo del governo: protestavano contro l’immunità penale per il Chefe do Executivo, come si chiama qui il sindaco-governatore. E poi, ispirati dal movimento democratico che sta scuotendo la vicina Hong Kong, i dimostranti hanno scandito slogan per elezioni libere a suffragio universale: attualmente il capo dell’esecutivo è scelto da una commissione di 400 notabili vicini a Pechino che si riunirà il 31 agosto.
Ventimila persone contro il regime sono tante per Macao. Gli attivisti e intellettuali che sognano la democrazia sono tentati di scommettere su quel numero. Il giovane Jason Teng Hei Chao, leader del gruppo Coscienza di Macao, è uno di loro, anche se non è un illuso. «So bene che la maggioranza di chi ci ha seguito nella protesta chiede solo una casa popolare e si lamenta per l’inflazione», ci dice. «Qui la terra è poca, meno di 30 chilometri quadrati, e viene concessa a chi vuol costruire nuovi alberghi, resort e casinò, così le abitazioni decenti costano troppo; sta di fatto che la gente si sta svegliando». Jason e i suoi compagni attivisti hanno lanciato un referendum per il suffragio universale, sul modello di quello tenuto a fine giugno a Hong Kong, una sfida aperta a Pechino che lo ha subito bollato come illegale e ieri, all’apertura dei seggi per la consultazione, ha ordinato l’arresto di quattro organizzatori e schierato la polizia nei cinque luoghi designati per il voto. A fine serata secondo il fronte democratico avevano votato già in 1.900: le operazioni riprenderanno oggi fino a sabato, se la polizia lo consentirà, ci dice Jason Chao.
Ma per il momento l’assemblea legislativa del territorio amministrativo speciale cinese ha altro di cui preoccuparsi: l’altro giorno c’è stata una seduta animata. Si discuteva di due casinò che hanno rifiutato di pagare ai giocatori le vincite di 133 slot machines perché secondo il banco «non funzionavano a dovere». Il più deluso è stato il signor Ip Choi-peng, che aveva infilato nelle macchinette quattro milioni di «patacas», la moneta locale ereditata dai portoghesi, e aveva vinto venti milioni. Episodi come questi possono destabilizzare il sistema perfetto di Macao più di una marcia per il diritto di voto e un referendum dimostrativo.
Comunque il dottor Fernando Chui, leader uscente dell’amministrazione speciale, ricandidandosi per le elezioni del 31 agosto ha annunciato che sarà «felice di informare Pechino sull’opinione della gente riguardo la democrazia». Il dottor Chui è tranquillo: è il candidato unico e la sua rielezione sarà garantita da un comitato di 400 notabili graditi alla Cina, perché la mini-costituzione di Macao, al contrario della Basic Law di Hong Kong, non contiene neanche un accenno al suffragio universale: i portoghesi erano troppo ansiosi di andarsene per discutere di questi dettagli con Pechino quando restituirono la colonia nel 1999. Così basterà il plebiscito dei 400, senza scomodare i 560 mila abitanti.
Alla Universidade da Cidade de Macau il professor Li Jiazeng, docente di Sviluppo economico e sociale ci assicura che «il governo è molto attento alla qualità della vita: rispetto a Hong Kong il nostro welfare è migliore, scuole gratuite fino al liceo, l’assistenza ospedaliera non si paga». E che pensa del gioco d’azzardo? «Buono, assolutamente buono», risponde con entusiasmo. Poi corregge un po’: «I casinò sono economicamente indispensabili per Macao, finanziano tutto, hanno portato il boom economico. Il gioco è nella cultura cinese ed è neutro: non è la fonte di tutti i vizi; certo, anche i corrotti vengono qui a spendere i loro soldi e alimentare l’illusione del guadagno facile non è bello. Ma lo spirito iniziale del gioco è tentare la fortuna per divertirsi, senza vincere molto o perdere tutto». Chiediamo al professore che cosa pensa del movimento democratico: «Spiacente, non posso: è una materia sensibile della quale mi è proibito parlare». Capiamo: due suoi colleghi docenti sono stati appena licenziati e uno sospeso per essersi espressi sulla materia.
La città vive al suo ritmo rilassato, la gente sembra lontana dall’infiammarsi per la democrazia, non c’è segno della stessa passione che si vede nella vicina Hong Kong. In Rua dos Mercadores, nel negozio con l’insegna Bicicleta, il proprietario I Heng ci guarda un po’ stupito: «Non ho tempo da perdere con queste faccende politiche; che c’è da votare? Tanto vince comunque Fernando Chui». Sulla Avenida de Almeida Robeiro ci sono diverse edicole dei giornali, ai cinesi piace leggere e informarsi. Il giornalaio Lu Rong espone parecchie riviste di retroscena sulle lotte di potere in Cina: a Pechino questo materiale lo porterebbe in carcere per sovversione, a Macao invece non c’è censura. Ma neanche Lu è eccitato dal movimento democratico: «A che serve? Chi governa decide, non fa differenza se te lo scegli».
Però, c’è quella marcia dei ventimila, ora l’attesa per il referendum «illegale» di fine agosto. A Pechino sono già preoccupati dalla possibile rivolta nella piazza finanziaria di Hong Kong per consentire anche alla loro capitale mondiale dell’azzardo di scommettere sulla democrazia.
Guido Santevecchi