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 2014  agosto 24 Domenica calendario

MARE MONSTRUM

[Draghi & Co., la paura dell’ignoto prima di Google Maps] –
Più di cinquecento anni prima di Google Maps, strani e affascinanti mostri marini popolavano le mappe dei più autorevoli cartografi d’Occidente. Draghi, pesci-leoni, conigli marini. O il leggendario kraken, mega calamaro groenlandese che appare anche nella strabiliante mappa dell’Islanda del fiammingo Abraham Ortelius. Oppure quel simpatico maialino marino della Descriptione dela Puglia di Giacomo Gastaldi. Per noi gli oceani non hanno quasi più segreti, al punto che grazie a Google Maps Ocean possiamo “passeggiare” in sei fondali marini. Ma allora vi si continuavano a vedere mostri di ogni tipo. «Anche se quei disegni possono sembrarci bizzarri, in molti casi si fondavano su informazioni che si credevano affidabili, scientifiche, come le enciclopedie illustrate. Insomma, i cartografi dipingevano animali che allora si credevano realmente esistenti», ci racconta lo studioso Chet Van Duzer, che ora fa rivivere quelle creature degne di Bosch in un volume illustrato pubblicato dalla British Library, Sea Monsters on Medieval and Renaissance Maps, una raccolta di mappe geografiche che vanno dal decimo al sedicesimo secolo.
Il confine tra realtà, mito e sentito dire era allora assai labile. Anzitutto c’erano da rispettare le tradizioni, bibliche e non. Se ne sente l’eco in quelle illustrazioni che dipingono un uomo nel ventre di una bestia marina, reminiscenza del racconto di Giona. O in quelle che si rifanno alla storia dell’ aspidoceleon, una balena enorme, con il guscio simile a quello di una tartaruga, che viene scambiata per un’isola e fa affondare la barca quando i marinai vi accendono un fuoco per cucinare: a lungo si ritenne che il primo a imbattervisi fosse stato San Brendano di Clonfert, abate irlandese del VI secolo detto il Viaggiatore.
In fondo, per Sant’Agostino e Isidoro di Siviglia i mostri erano anch’essi parte del piano di Dio, ed erano particolarmente atti ad ammonire dai pericoli del peccato. Molti di quegli esseri, poi, erano stati descritti dai grandi classici, come Plinio il Vecchio, secondo il quale tutto ciò che la Natura aveva creato sulla Terra l’aveva creato anche nel mare (da cui i cavalli e i leoni marini, mentre sono usciti nel frattempo dal catalogo i maiali e le lepri, e quei topolini di mare che, per Plinio, indicavano la via alle balene, ostruite agli occhi da folte sopracciglia). Chi erano i cartografi per discutere simili autorità? Altre volte i disegni erano il frutto delle deformazioni dei racconti dei marinai. È una specie di pesce sega, ad esempio, quello che taglia in due le navi nel manoscritto Gerona Beatus del 975. I “testimoni” non erano allora le telecamere itineranti di Google Street View ma, oltre ai marinai, i viaggiatori come Marco Polo, i pellegrini, persino Francesco Petrarca, citato per la descrizione di una remora. Van Duzer spiega che quelle bestie erano disegnate sulle mappe sia perché ci si credeva veramente, e sia perché era un modo per segnalare i pericoli ai marinai (si scopre così che l’Oceano Indiano era il più temuto). Ma potevano esserci anche ragioni economiche: illustrazioni particolarmente immaginifiche potevano infatti alzare il prezzo della mappa, e dunque il compenso dell’autore.
Così vedevano il mondo nel Medioevo e nel Rinascimento, quando non tutto era noto. Era un globo però in rapido mutamento, come confermano le due mappe, del 1507 e del 1516, con cui Martin Waldseemüller, cartografo tedesco, diede agli europei una nuova visione del mondo rivelato di recente dai navigatori. Quella del 1507 è la prima a mostrare, separata dall’Asia, l’“America” (così etichettata per la prima volta). Nella seconda compare invece, sotto l’Africa, una bestia tranquillamente cavalcata da re Manuele I del Portogallo, che stava diventando il padrone del traffico marittimo dall’Africa alle Indie.
Van Duzer fa parte di una ristretta cerchia di studiosi mondiali che su riviste specializzate discetta di mappe antiche. Un altro, Joseph Nigg, ha pubblicato un libro simile in questi stessi mesi, per la University of Chicago Press, concentrandosi però solo su una carta, quella della Scandinavia e dell’Islanda prodotta tra il 1527 e il 1539 da Olaus Magnus. Californiano di 47 anni, Van Duzer è stato anche cartografo alla Biblioteca del Congresso americano, a Washington. La sua passione per le mappe antiche è nata a Roma, ai Musei Vaticani, e quella per i mostri marini alla Biblioteca nazionale spagnola di Madrid, dove se ne trovò di fronte 476 su un manoscritto rinascimentale italiano della Geografia di Tolomeo, il famoso matematico vissuto ad Alessandria d’Egitto nel II secolo d. C. L’Italia e i suoi cartografi rivestono un ruolo centrale in questa storia: «Nel Medioevo esistevano tre tipi principali di mappa, ovvero i generici mappae mundi, le carte nautiche e quelle che comparivano nei manoscritti della Geografia di Tolomeo. Molti degli ultimi due tipi vennero prodotti nel vostro Paese».
Era nato nel 1530 a Castiglion Fiorentino, ad esempio, uno dei più grandi innovatori del settore, ovvero Tommaso Porcacchi, che a Venezia nel 1572 pubblicò L’isole più famose del mondo , un volume che oggi si può sfogliare su Google Books, e dove si legge ad esempio la “descrittione dell’isola Iamaica, ora detta di S. Iacopo”, che “ha nel mezzo un monte, ma tanto piacevole, che chi lo sale non par punto che salga”.
La vera svolta si ha nella seconda metà del sedicesimo secolo, quando appaiono mostri totalmente inventati. In altre parole, iniziano ad avere una funzione meramente decorativa sulle mappe. Nel diciassettesimo i ritratti dei giganti del mare si fanno sempre più realistici, l’uomo sta imparando a dominare le acque e le loro bestie, che infatti pian piano escono di scena. Ma allora perché, da Moby Dick a Jules Verne a Pinocchio, da Godzilla a Cloverfield e fino ai Pirati dei Caraibi, i mostri marini hanno continuato a popolare il nostro immaginario? «Sono l’incarnazione della nostra paura dell’ignoto. E a dirla tutta non abbiamo del tutto smesso di crederci davvero», risponde Van Duzer: «Basta pensare a quello di Loch Ness, in Scozia, oppure a Tahoe Tessie, che abiterebbe il lago Tahoe tra California e Nevada».
Nelle mappe medievali comparivano anche mostri irreali come i dumbo octopuses, i granchi yeti, le aragoste cieche e i gamberetti fantasma… Anzi no, pardon, questi ultimi quattro esistono davvero, e sono stati scoperti nell’ultimo decennio dalla rete internazionale Census of Marine Life. Aggiornate le mappe, please. I mostri marini sono ancora tra noi.
Daniele Castellani Perelli, la Repubblica 24/8/2014