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 2014  agosto 24 Domenica calendario

DRAGHI OFFRE UN PATTO PER LO SVILUPPO: SÌ AGLI INVESTIMENTI MA LA SPESA VA TAGLIATA

Nell’inverno di tre anni fa l’Italia era sull’orlo dell’asfissia, il governo di Silvio Berlusconi era appena caduto e Mario Monti saliva a Palazzo Chigi nel suo loden. Era il primo dicembre 2011 quando Mario Draghi, presidente della Bce da un mese, dall’europarlamento propose un patto ai governi: un “fiscal compact”, nuove regole di bilancio. Quelle parole sarebbero diventate non solo realtà, ma anche l’emblema di una stagione. Ora Draghi ci riprova.
La stagione è cambiata, presenta rischi diversi e l’italiano alla guida dell’Eurotower vuole spingere i governi a stringere un nuovo patto. Non si candida a guidare la classe politica, un compito scivoloso per un banchiere centrale, ma indica nel dettaglio la strada per uscire dall’angolo in cui l’economia europea si è cacciata. Con la ripresa in stallo, la deflazione a un passo e 20 milioni di disoccupati nell’area euro, il presidente della Bce da Jackson Hole ha formulato la sua idea: più che un “compact”, un trattato Ue, per ora è la proposta di un compromesso a vasto raggio fra grandi contraenti. Così il suo discorso è stato letto ieri in varie cancellerie d’Europa. Senza far nomi, l’offerta di Draghi va in primo luogo a Matteo Renzi, Angela Merkel e François Hollande. La stessa Bce implicitamente avrebbe un ruolo, perché può fare ancora molto per ridare fiato all’export favorendo finalmente una svalutazione dell’euro. Il patto immaginato da Draghi (lui lo chiama un’«azione complementare a livello europeo») include due grandi componenti: mira a combinare il tipo di spinta ai consumi e agli investimenti chiesto da Francia e Italia, con i tagli di spesa, le profonde modifiche delle regole del lavoro e l’aumento di competitività delle imprese nel Sud Europa che reclama la Germania. Politiche della domanda e dell’offerta non in alternativa le une contro le altre, ma in simultanea: «Dobbiamo agire su entrambi i lati — dice Draghi — . Politiche di domanda vanno accompagnate da politiche strutturali nazionali» e le une «non saranno efficaci» senza le altre.
Il presidente della Bce deve averci pensato a lungo, perché le sue indicazioni vanno nel dettaglio. Non è difficile capire quando si rivolge a Renzi e Hollande e quando a Merkel. C’è l’idea della “flessibilità” nel ritmo di riduzione del deficit, sempre entro il 3% del Pil, «per far spazio alle riforme». Ma suona pensato per l’Italia e per il bonus da 80 euro anche il consiglio di «ridurre il carico fiscale con impatto neutro sul bilancio», cioè senza far salire il disavanzo. Qui, con tatto, Draghi affida a due note a piè di pagina del discorso di Jackson Hole i suoi suggerimenti più delicati. In una ricorda le raccomandazioni dell’ultimo vertice europeo, che chiede ai governi di «ridurre il cuneo fiscale sul lavoro»: va limato il carico fiscale o contributivo per le imprese di ogni dipendente, in modo che costi meno assumere e produrre. Non è esattamente la via scelta dal governo Renzi, che invece ha alleggerito le tasse alle famiglie con redditi medio-bassi. La seconda nota di Draghi richiama invece uno studio di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi: i tre economisti dimostrano come i tagli di spesa pubblica creino nel giro di poco tempo investimenti e fiducia se i piani del governo sono chiari, certi e prevedibili. In Italia invece da settimane si assiste a un continuo stop-and-go su pensioni, pubblico impiego e lo stesso futuro del commissario alla spending review Carlo Cottarelli.
Sempre a Renzi e Hollande sembrano rivolti i consigli del presidente della Bce su come cambiare le regole del lavoro. Draghi fa presente che nei Paesi in cui i salari da contratto nazionale sono rigidi e crescono in base ad automatismi (oggi Francia e Italia), la disoccupazione sale di più perché le imprese riducono i costi mettendo fuori i lavoratori, specie se precari. Prima in Germania, poi in Irlanda e infine in Spagna l’aggiustamento dei costi si è fatto invece rinegoziando contratti, turni o orari a livello delle aziende e non più su base nazionale. Lì l’occupazione e la produttività sono migliorata. Neanche questo è previsto nella delega di riforma del lavoro in parlamento a Roma.
Ce n’è anche per la Germania, naturalmente. Senza nominarla, ma pensandoci, Draghi lascia chiaramente capire che ha spazio per far salire il deficit e fare investimenti, in modo da compensare l’austerità del Sud Europa. A sostegno della domanda il banchiere centrale schiera poi il piano di investimenti da 300 miliardi proposto dalla Commissione europea, che aspetta ancora il sì di Berlino. E ricorda che la Bce può ancora agire, senza però specificare né come né quando.
Nel complesso è la proposta di un nuovo “compact” europeo, per il quale ormai resta poco tempo. L’Italia è di nuovo in recessione, la deflazione ha già afferrato il fianco Sud d’Europa. Draghi chiede a ciascun leader di garantire la propria parte del patto, sapendo che per tutti comporta un prezzo. Lui non vede altre vie, se l’euro deve avere un futuro: «Visti i costi altissimi se la coesione dell’unione è minacciata, tutti i Paesi dovrebbero avere interesse a riuscire».
Federico Fubini, la Repubblica 24/8/2014